Canavese Doc e Carema Doc: i vini dei ghiacciai
Non sono icewine ma arrivano dal freddo: nascono tra Piemonte e Valle d’Aosta, circondati dall’Anfiteatro Morenico di Ivrea. Dove un tempo c’era il ghiaccio ora si coltiva la vite. Una degustazione tra tipologie diverse organizzata dal Consorzio di Tutela e Valorizzazione Vini Caluso DOCG, Carema e Canavese DOC e introdotta dal vicepresidente Lorenzo Simone racconta di bellezza e di un terroir unico.
Il freddo non fa paura, soprattutto quando diventa un alleato prezioso anche in epoca di cambiamento climatico: se è vero che i vini sono quello che calpestiamo e quello che respiriamo, le produzioni di Caluso, Carema e Canavese sono profondamente connesse con il terroir. Vini, produttori e luoghi sono tra loro interconnessi in una sorta di patto che trascende mode o tendenze. Suoli estremamente poveri, terreni acidi tipici delle colline moreniche caratterizzati dalla presenza di grosse pietre, sassi, sabbie, limo e una minima quantità di argilla, che hanno origine dall’attività erosiva del ghiacciaio Balteo, che ha rilasciato il cosiddetto materiale di risulta nell’antistante piana canavesana durante le fasi successive alla glaciazione. Qui hanno trovato dimora le viti di nebbiolo, localmente chiamato picutener, ma anche barbera, bonarda, freisa e neretto, oltre che erbaluce. La degustazione organizzata dal Consorzio, è un viaggio sensoriale nelle due denominazioni Canavese e Carema DOC alla scoperta dei vini e di un territorio di cui è sempre suggestivo raccontare le sfumature.
Il Consorzio
Nasce nel 1991 dall’evoluzione del Centro di Tutela e Valorizzazione Vini DOC di Caluso, fondato da sette viticoltori nel 1986. Nel 1996 la competenza si è allargata alla DOC Carema e nel 1998 a quella Canavese, l’ultima nata tra le DOC di competenza. Al momento conta 39 soci: un consorzio dalla size ridotta, ma dalla qualità elevata e, soprattutto, dalle enormi potenzialità. Sono 107 i comuni di appartenenza, all’interno di un areale ampio e diversificato che ha inizio con Verbania dalle morene a ridosso della pianura sino alle pendici del Gran Paradiso. C’è chi la chiama viticoltura eroica, altri ancora coraggiosa, altri estrema: fare vini in queste zone è un’impresa, che vale la spesa, come avrebbero chiosato le nostre nonne. Tra le varietà presenti l’erbaluce, il nebbiolo, la barbera, la freisa, la croatina e i vitigni storici chatus e neretto. La superficie del Canavese è in leggera crescita da 170 ettari a 200 ettari, mentre quella del Carema è di circa 20 ettari: la produzione nel Canavese è di circa 250mila bottiglie, mentre Carema si attesta 50-60 mila bottiglie l’anno. Produzione di nicchia ma dall’elevata qualità, che attesta la caratteristica di sopravvivenza di questa viticoltura.
Il terroir
Si tratta di un areale vasto e complesso, che ha un’origine geologica particolare ed eterogenea, che si discosta rispetto a quella dei territori più celebri e blasonati del Piemonte: rocce, minerali, struttura e tessitura dei suoli, morene e anfiteatri morenici, fanno sì che questi vini poggino le loro radici su un sottosuolo che è un vero e proprio patchwork geografico. Decine di milioni di anni fa a ridosso delle Alpi c’era il mare: il Canavese appariva come una sorta di fiordo ricco di fossili e di sedimenti marini, poi coperto dai ghiacciai lungo l’intero arco alpino circa 2,5 milioni di anni fa. Nello scioglimento durante le fasi di post glaciazione l’unica via di uscita era proprio il Canavese, e il ghiacciaio ha depositato materiali di diversa natura: rocce alpine ricche di minerali e metalli, accumulandole ai lati e arrivando a formare le morene. Suoli composti da sabbia per il 65% circa, legata al lento sgretolamento e polverizzazione delle rocce, con circa l’8% di argilla: “È un territorio profondamente diverso rispetto a quelli che lo circondano. Molti confondono il Canavese con l’Alto Piemonte di Boca, Lessona, Gattinara, Bramaterra, ma geologicamente siamo separati per via dell’impatto glaciologico registrato nel Canavese”, commenta l’enologo Vittorio Garda. La topia, una pergola di legno di castagno molto ampia, è la forma caratteristica di allevamento che viene utilizzata nel Canavese, e che nasce duemila anni fa dall’alteno, che utilizzava piante da frutta come sostegno per la Vitis vitifera. Anche la storia gioca un ruolo importante: la dominazione dei Savoia ha lasciato un inventario nel quale vengono descritti gli appezzamenti già a vigneto, con lasciti testamentari e documenti del catasto che indicano le proprietà e le modalità agronomiche nell’allevamento del vigneto. Per la vinificazione in queste zone raramente si fa ricorso al monovitigno: il blend tra varietà diverse è una delle caratteristiche di queste produzioni. La gran parte dei produttori produce ancora il vino con forme di allevamento riconducibili a quelle antiche: questo è un grande tesoro che fa parte di un patrimonio di tradizioni da conservare per l’intero territorio. Erbaluce, nebbiolo, barbera, freisa, croatina e chatus e neretto sono varietà interessanti per il loro ciclo molto lungo di maturazione: il numero dei giorni che intercorre dal germogliamento alla maturazione è molto esteso, e colloca questi vitigni in una sorta di safe zone in tempi di cambiamento climatico, in quanto sembrano essere protetti dall’incremento delle temperature che accorcia i cicli vegetativi della vite.
La degustazione
La conduzione è condotta dall’enologo Gianpiero Gerbi, con un ventaglio di assaggi che ricopre diverse tipologie di vini del territorio.
Cantina della Serra, Serra Blu Canavese DOC Spumante
La “famigerata” acidità dell’erbaluce e la sua buccia spessa che lo predispone all’appassimento vengono correttamente valorizzate in questa produzione. L’erbaluce è ricco di polifenoli ed ha un carattere neutro, lontano da varietà aromatiche: ha pochi aromi liberi e nella sua primissima fase di vita è un vino che tende ad avere profumi tenui, dove non ha la perentorietà di lunghi invecchiamenti, ma in cui si celano importanti precursori aromatici, che hanno necessità di tempo per esprimersi. In questo calice la spumantizzazione è uno Charmat lungo: i colori sono molto delicati, brillanti. I profumi sono legati alla varietà, ma anche a quel complesso territoriale di origine morenica all’interno del quale l’erbaluce esprime sensazioni più sapide, fredde e meno fruttate, meno calde rispetto a un timorasso o a un riesling. Il sorso è dotato di ottima acidità, con un piccolo residuo zuccherino che testimonia una certa versatilità di interpretazione. Bella acidità che si sviluppa verso il fondo bocca, dando sensazioni precise di freschezza da pera bianca e mela croccante che sostengono il vino e lo dotano di una chiara persistenza acida. È quella che l’enologo definisce acidità strutturale, che sostiene il vino e che mantiene l’assaggio prolungato. La morbidezza iniziale è alternata all’acidità spiccata e conferisce un equilibrio di grande piacevolezza.
Alberta Luciana, Grecale Canavese Bianco DOC 2023
Colore leggermente più carico, con un’espressione varietale netta, legata a sensazioni glaciali, come vengono definite dal Dott. Gerbi: un naso che si apre su note fresche e fredde, che sfiorano il comparto dell’erbaceo, senza essere verdi e mantenendo il carattere sapido. Un’espressione molto legata alla varietà, con tre condizioni che legano questo vino nel territorio: l’ingresso, dove percepiamo un corpo che viene incanalato da un’acidità che si sviluppa a bocca piena. Acidità che ha una marca caratteristica, che prescinde da un carattere citrino e vira sulla caratteristica dell’acidità, come pilastro della struttura del vino. Un lieve amaro da mandorla chiude il sorso, effetto dei tannini dell’erbaluce, per un vino che lascia comunque spazio a interessanti equilibri gustativi.
DonnaLia, Roc della Regina Canavese Bianco DOC 2018
Il tempo per l’erbaluce ha un significato importante: il bicchiere chiacchiera con il nostro naso, con sfaccettature profonde, un po’ meno fredde. Brillantezza del colore, con tonalità più accentuate. Il tempo dà calore e profondità alla sapidità: pietra focaia e roccia scaldata al sole si alternano a evidenze floreali di zagare e di ricordi di pera Williams. Il sorso è dotato di un buon equilibrio per un vino più completo, armonico e duraturo: è un vino di carattere ma, nel contempo, elegante e sobrio. L’erbaluce non eccede, resta un vino di calibro e di cesello.
Le Masche, Roccia Canavese Nebbiolo DOC 2023
Un vino che racconta il nebbiolo del ghiacciaio, diverso da quello delle Langhe con terreni calcarei ed espressioni di terre emerse da fondali marini. Un nebbiolo giovane, con una maturazione solo acciaio, che viene allevato nella parte più prossima al Gran Paradiso: dal punto di vista genetico è legato alla famiglia del picotendro. Un colore brillante carminio, per un naso che esprime freschezza e il carattere più estroverso che il nebbiolo ha in queste zone: frutta rossa freschissima, immediato nell’approccio con sensazioni molto nette, fragranti e moderne, leggiadro, dalla struttura misurata, lontano dall’idea di nebbioli prevedibili e canonici, che si muovono lungo binari di acidità e polifenoli. Su terreni acidi il nebbiolo esprime la sua forza vegetativa e produttiva, con una tannicità poco accentuata, che non lascia rugosità a fondo bocca.
Luca Leggero, Maura Nen Canavese Nebbiolo Bio DOC 2021
Un traguardo più avanzato nel tempo, dotato di un colore molto chiaro e da un’espressività olfattiva più aristocratica e più matura. Il vino trascorre dieci mesi in botti di rovere da 25 hl e 50 hl e in anfora da 7,5 hl, seguiti da un periodo di affinamento in bottiglia di almeno 12 mesi. Sottobosco, foglie umide, sbuffi di erbe officinali, spezie da bacche e come il ginepro, sentori di cuoio e di vaniglia per un corpo e una struttura misurati, dotati di una persistenza piacevolissima.
Cantine Crosio, Gemini Canavese Nebbiolo DOC 2021
Sfumature granate: vino di grande eleganza tra ricordi del legno e note più floreali e fruttate. Un vino dai profumi fini e dal sorso più ricco: i tannini sono molto giovani, ma già ben integrati. Un video giocato su essenza e finezza, dove nulla è fuori misura. Roberto Crosio è cresciuto respirando l’eleganza: è figlio della chef stellata della Gardenia di Caluso, e dai profumi del cibo è passato a quelli del vino. Crea la sua cantina nel 2000 con l’obiettivo di valorizzare i vitigni nativi del Canavese.
Tenuta Roletto, Nobilis Canavese Nebbiolo DOC 2020
Un vino che nasce da terreni totalmente morenici. A livello olfattivo avvertiamo un aspetto più vegetale, senza che l’eleganza venga sfiorata o compromessa. Ricordi di ciliegia fresca, sottobosco, corteccia e tabacco. A livello bocca è un nebbiolo un po’ più arcigno, profondo e austero, dove i tannini che, inizialmente appaiono più aggressivi, finiscono per essere più docili, fino a divenire quasi solubili. Si ritrova una modernità espressiva, più sottile, fine e agile.
Figliej, Darecà Canavese Rosso 2019
Siamo nella zona di Carema, con una viticoltura legata a Donnas e alle zone della Valle d’Aosta. Parliamo di viticoltura terrazza e mai meccanizzata, con vigneti non raggiungibili con mezzi, fatta di fatica. Erba secca, fieno umido, cuoio, pellame: un vino dal carattere scuro, più profondo, con rimandi alla china. Il vino sta iniziando la sua fase di evoluzione e il suo carattere più spigoloso si rivela sempre più interessante e dinamico: un approccio diverso da uve che nascono sostanzialmente su rocce vive. Lo spigolo non è tagliente, è presente ma mai violento, al pari di una danza tattile alleggerita dall’acidità, senza che la tannicità si aggrappi troppo alle mucose.
Cantina Produttori Nebbiolo di Carema, Carema DOC 2020
Qui si fa vino per continuare a portare avanti la viticoltura, commenta il dott. Gerbi. Tenacia, resistenza, resilienza e irriducibilità: il carattere della gente di Carema è nei vini che produce. Il colore è molto tenue: al naso il bouquet si concentra sulla spezia dolce (pepe e cardamomo) e su una parte vegetale di tabacco fresco. Un’annata dove la acidità è un po’ più contenuta, con un ritorno – in un corpo leggero – di spezie e di elementi eterei. La parte polifenolica è molto integrata, con un effetto quasi vellutato al palato.
Abbandonando l’idea di struttura, i vini esprimono grande carattere ed espressività, con un lessico interessante e accattivante. Espressività diverse raccontano i grandi bianchi attraverso l’erbaluce, ma anche interpretazioni di una complessità da nebbiolo che trascende quelli più conosciuti e degustati. Non resta che provare: queste sono zone che conquistano con l’essenza e la solidità a garanzia, senza mai voler necessariamente compiacere il consumatore e strizzare l’occhio al mondo del vino più glamour.
Photo credits: Consorzio per la Tutela e la valorizzazione dei vini DOCG di Caluso e DOC di Carema e Canavese.