Il sake, gli elementi
Mi sono avvicinata al sake per caso, ma mai incontro è stato così fatale e oggi, dopo essere diventata sommelier del sake, dopo averlo degustato più e più volte e averne analizzato le caratteristiche con insegnanti, colleghi e amici e, infine, dopo essere stata direttamente a contatto con produttori in varie sakagura giapponesi, beh, ancora oggi alla domanda “Che cos’è il sake?” non saprei come racchiudere la risposta in poche parole se non la definizione da manuale.
In realtà, ci vorrebbero giornate intere per raccontare la storia, la composizione, il processo, le tipologie, il servizio e gli abbinamenti del sake e non basterebbe una vita, per noi occidentali, per addentrarci nella mentalità nipponica, dove questa non è solo una bevanda ma una filosofia di vita.
Nello scorso articolo abbiamo parlato della storia, ora ci accingeremo a dire da cosa è composta questa meravigliosa bevanda alcolica.
Gli elementi del sake
Il sake è formato da soli quattro elementi… più due:
- riso
- acqua
- koji
- lieviti
- acido lattico
- fattore umano
Si dice che se il sake fosse una persona il RISO ne descriverebbe il corpo, l’ACQUA il sesso, il KOJI il cuore e i LIEVITI lo stile.
Il riso
Il riso è l’elemento centrale del sake.
In Giappone esistono essenzialmente due tipologie di riso:
- Hanmai o riso comune, che si usa in genere per cucinare
- Sakamai o riso da sake
Per la bevanda alcolica si usa quasi sempre il secondo tipo, ma non è escluso l’uso del primo.
Il sake prodotto col sakamai risulterà essere più fine ma anche più costoso e pregiato, anche perché la pianta è molto delicata e di difficile coltivazione, essendo più alta delle altre piante di riso, quindi fragile e suscettibile di danni durante le intemperie.
Il chicco del sakamai è più grande e più rotondo di un normale chicco di riso da tavola. Ha un nucleo di amido al centro detto “shinpaku”, ben definito, dove sono presenti bollicine d’aria tale da avere degli spazi all’interno dello stesso. Lo spazio tra queste bollicine fa sì che la luce si disperda quindi noi lo vediamo bianco.
Grazie alla struttura poco compatta dell’amido in questo nucleo bianco, il koji è in grado di inocularsi facilmente nel chicco di riso tale da saccarificare naturalmente l’amido in zucchero, inoltre, questa struttura non compatta aiuta il riso ad assorbire l’acqua durante la cottura a vapore, creando così una buona base per la fermentazione.
L’acqua
È l’elemento più abbondante nel sake, costituisce circa l’80% della quantità totale oltre ad essere indispensabile nelle varie fasi della produzione.
L’acqua usata deve preferibilmente contenere alcuni minerali quali il potassio, i fosfati, il calcio ed il magnesio, necessari per sostenere la diffusione ed il lavoro dei lieviti. È sconsigliato l’uso di acqua in cui sono presenti elementi come ferro o manganese poiché questi tendono per ossidazione a oscurare il colore del sake e a privarlo sia di un buon aroma che di una buona fragranza.
Vista l’importanza dell’acqua sia per qualità che per quantità, le varie sakagura (luoghi dove si produce il sake) sono poste vicino a sorgenti o fiumi le cui acque sono da secoli considerate le migliori per proprietà minerali.
Il koji
L’Aspergillus è un elemento che è stato catalogato nel 1729 da Antonio Micheli che lo ha chiamato così per la somiglianza con l’aspersorio usato durante le celebrazioni religiose ma, come abbiamo raccontato nella parte storica, senza conoscerlo era usato già nell’VIII sec. in Giappone per il processo di produzione del sake.
Nel 2006 è stato nominato koji (“fungo nazionale” , vista la sua rilevanza nella produzione di miso, salsa di soia e molti altri prodotti) per una proposta fatta dal dottor Eiji Ichishima dell’Università di Tohoku.
Per la produzione di sake usiamo l’aspergillus oryzae o koji giallo. Questo è un fungo filamentoso molto simile alla muffa, le cui spore si spargono sul riso precedentemente cotto per avviare la saccarificazione degli amidi presenti nel riso scindendo le proteine.
Ma esistono altre due tipologie di koji altrettanto importanti:
- il koji nero, appartiene alla specie dell’aspergillus niger o awamori, prodotto e usato prevalentemente nell’isola di Okinawa per la fermentazione del distillato di awamori. Esso si distingue da quello giallo per la produzione sia di acido citrico che enzimi per la saccarificazione.
- Il koji bianco, aspergillus kawachi, è una variante del koji nero e ha simili caratteristiche con una maggiore stabilità nello sviluppo degli enzimi per la saccarificazione. È usato quasi esclusivamente per la produzione dello shochu, distillato nazionale giapponese.
In media per fare il sake da un riso molto raffinato si usano all’incirca 10 grammi di koji per 100 kg di riso.
Ogni sakagura ha una stanza dedicata al koji detta Kojimuro. Questa è una camera di circa venti metri quadri, tradizionalmente costruita in legno di cedro giapponese, asettica e coibentata, in cui il riso cotto a vapore viene disteso e inoculato con le spore della muffa.
A chi è capitato di assaggiare il riso in questa fase di lavorazione ha riscontrato un sapore tendenzialmente dolce.
I lieviti
I lieviti sono microrganismi naturalmente presenti nell’ambiente e da sempre utilizzati dall’uomo.
Inizialmente, i lieviti usati nella produzione del sake erano solamente quelli che si sviluppavano in modo naturale all’interno delle varie sakagura, oggi si utilizzano lieviti selezionati.
Nel sake i lieviti intervengono per gradi consecutivi andando a sintetizzare il lavoro dell’aspergillus a cui è demandato il compito di trasformare gli amidi in zuccheri. A questo punto i lieviti nutrendosi di questi zuccheri fanno partire la fermentazione producendo alcool ed anidride carbonica.
Nell’introduzione ho detto che il sake era fatto da quattro elementi più due: acido lattico e fattore umano.
In alcuni casi, nel processo produttivo del sake, ci può essere l’aggiunta manuale di acido lattico che aumenta l’acidità del composto, impedendo ai batteri di attaccare i lieviti, in altri casi questo acido si produce naturalmente. Ma di questi due tipi di processo ne parleremo in seguito.
Infine, c’è il fattore umano senza il quale non esisterebbe la nostra bevanda. E oggi a chi mi chiede “Da cosa è fatto il sake?” io rispondo semplicemente che è vero che è composto da “soli quattro elementi”, ma questi sono messi insieme da uomini che con tanto lavoro e passione producono una bevanda unica, uomini che sono dotati di infinita pazienza e dedizione e attenzione ai particolari, uomini che in maniera minuziosa scandiscono le loro giornate di lavoro affinché noi possiamo gioire del “nettare degli dei”.
Le foto di apertura e di chiusura sono rispettivamente di Manuel Cosentino e Akshay Nanavati su Unsplash.