Pugnitello: un vitigno pronto a conquistare il mondo

Un tempo sull’orlo dell’estinzione, il pugnitello sta vivendo una lenta ma costante rinascita negli ultimi decenni. Questo vitigno autoctono toscano, il cui nome evoca la forma compatta e serrata dei suoi grappoli, è stato riscoperto e valorizzato da pochi produttori illuminati, tra cui spicca un nome: San Felice. La storia del Pugnitello è quella di una “Cenerentola” del vino, pronta a prendersi la scena, come scrive Louis Thomas su The Drinks Business.
Le origini del pugnitello rimangono avvolte nel mistero. Per anni è stato confuso con altri vitigni, come il montepulciano abruzzese o il perricone siciliano, ma l’analisi del DNA ha fugato ogni dubbio, confermando la sua unicità e la sua identità toscana. E’ stato inserito nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite solo nel 2002. Un riconoscimento tardivo per un vitigno che rischiava di scomparire nel silenzio.
Leonardo Bellaccini, enologo di San Felice dal 1984, è stato il vero artefice della rinascita del pugnitello. Negli anni ’80, insieme alle università di Firenze e Pisa, Bellaccini ha piantato il “Vitiarium”, un vigneto sperimentale di 2,5 ettari con oltre 270 varietà di uve dimenticate, tra cui il Pugnitello. La sua intuizione è stata quella di riconoscere in questo vitigno le caratteristiche che mancavano al sangiovese, allora in difficoltà: colore intenso, buona acidità e tannini morbidi e dolci.
Dopo anni di sperimentazione e micro-vinificazioni, Bellaccini ha deciso di impiantare un migliaio di viti di Pugnitello in un vecchio vigneto, ottenendo risultati sorprendenti. La qualità del vino è migliorata ulteriormente con l’affinamento in legno, rivelando un potenziale straordinario. Oggi, San Felice possiede 12 ettari di pugnitello, diventando il principale custode di questa varietà, che in Toscana conta solo 35 ettari.
Ma perché il sangiovese ha soppiantato il pugnitello e altre varietà toscane? Bellaccini spiega come, prima degli anni ’60 e ’70, la qualità non fosse una priorità. Il sangiovese, versatile e produttivo, si adattava sia alla produzione di vini di qualità controllando le rese, sia a grandi produzioni. Una caratteristica che lo ha reso popolare e dominante.
Oggi, il pugnitello non è un rivale del sangiovese, ma un suo alleato naturale. San Felice lo utilizza in piccole percentuali (circa 5-6%) nel suo Chianti Classico DOCG Borgo, dove contribuisce a rendere i tannini più morbidi e amichevoli, senza però alterare il profilo tipico del Chianti Classico. Come afferma Bellaccini, l’obiettivo è creare un vino che esprima il territorio, non un vino dove si percepisca la presenza di altri vitigni. L’enologo paragona il pugnitello a una spezia che, pur presente in un piatto, non deve sovrastare gli altri sapori, ma contribuire all’armonia del risultato finale.
Il pugnitello è diventato il tratto distintivo dei vini di San Felice, il loro marchio di fabbrica. Un legame con il territorio e con il produttore che si traduce in un’impronta unica nel bicchiere. Nonostante le regole del Chianti Classico Gran Selezione permettano l’utilizzo di una piccola percentuale di pugnitello, San Felice ha scelto di produrre il Poggio Rosso con solo sangiovese.
Il pugnitello, però, non rimane nell’ombra. San Felice ha deciso di celebrarlo con un vino in purezza, il Toscana IGT Pugnitello, un’etichetta che esprime tutta la sua unicità. La fermentazione sulle bucce dura 20-25 giorni a 30°C, seguita da un affinamento di 18-20 mesi in barrique di rovere francese. Un vino che, come dice Bellaccini, “dà sensazioni diverse ogni cinque minuti“, un caleidoscopio di aromi e sapori che riflette la passione e la dedizione di chi lo ha riportato in vita.
Bellaccini, che ha celebrato 40 anni di carriera a San Felice, non ha intenzione di fermarsi. Vuole vedere l’evoluzione del suo progetto, il punto di arrivo di un percorso iniziato anni fa. Il pugnitello, un vitigno difficile da coltivare per via dei grappoli piccoli e della bassa resa, rappresenta una sfida e una scommessa per il futuro. Richiede meno acqua di altre varietà, una caratteristica preziosa in un contesto di cambiamenti climatici.
San Felice non è l’unico produttore a coltivare il pugnitello, ma è sicuramente quello che lo ha fatto conoscere al mondo, salvandolo dall’oblio. Un vitigno che, grazie al “pugno di ferro” di un enologo visionario, è pronto a conquistare un posto di rilievo nel panorama enologico italiano e internazionale.