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Lifestyle
21/02/2025
Di Fabio Rizzari

Il vino e i giovani: un evento sorprendente nel Jura

“È sempre meglio non generalizzare, anche se questa è ovviamente una generalizzazione”, affermava saggiamente un personaggio che ora non ricordo (nella mia memoria declinante, la paternità dell’aforisma può andare da George Bernard Shaw a Giorgio Mastrota, passando per Johann Wolfgang von Goethe). Per questo sostenere che le fasce più giovani della popolazione mondiale non si interessino più al vino è una generalizzazione sbrigativa.

La realtà somiglia più a una torta millefoglie: uno strato è di 20/30enni iper salutisti, magari vegetariani/vegani, che guardano al vino come a un qualsiasi altro alcolico e quindi se ne tengono alla larga. Un altro strato è di 20/30enni meno radicali, che però bevono vino solo raramente, magari un paio di volte al mese. Un altro strato è di 20/30enni interessati a bere vino su base settimanale o anche quotidiana, ma solo se si tratta di vino “naturale”, da agricoltura bio o biodinamica, senza solfiti aggiunti, senza additivi, senza eccetera.
E così via, di strato in strato, di sfumatura in sfumatura.

Generazione Z distante dal vino

Stando ai freddi dati statistici, negli Stati Uniti oltre la metà degli appartenenti alla cosiddetta generazione Z – i nati tra il 1997 e il 2012 – non beve alcolici, pressappoco come in Spagna e in Francia (dove il consumo di vino, in particolare di vino rosso, è crollato del 90% dal 1970 a oggi). Per il quotidiano The Guardian “le generazioni più giovani stanno allontanandosi dal vino, considerandolo ‘superato’ e preferendo alternative come cannabis, cocktail e mocktail”; a margine, non chiedetemi cosa sia un mocktail, non lo so e non voglio nemmeno approfondire.

Una percentuale credo molto bassa della millefoglie è però formata da giovani eno-impallinati che vivono il vino come un’icona rock; e se il rock non è più un genere seguito dai giovani, come un’icona pop.
Ho personalmente assistito a scene per me surreali durante il banco di assaggio Le nez dans le vert, salon des vignerons bio du Jura, un evento annuale che si tiene nella nota regione francese.
Il nome è un gioco di parole tra verre (bicchiere) e vert (verde), che si pronunciano più o meno nello stesso modo.   

“Le nez dans le vert” come a un concerto rock

Mentre nelle tradizionali manifestazioni enoiche l’età media dei partecipanti è sui 57 anni, camminando tra le postazioni di Le nez dans le vert sembrava di stare a un concerto dei Måneskin: il visitatore più agée avrà avuto 31 anni, la maggioranza si aggirava tra i 20 e i 25.
Alcuni stand erano circondati da una piccola folla entusiasta, come se si trattasse di ottenere un autografo; impossibile fendere la massa umana per provare a farsi versare un po’ del prezioso liquido.

Le varie tipologie del Jura sono quindi molto cool per i giovani, almeno stando a questo infinitesimo pezzo di realtà registrato personalmente.
Nonostante il tifo da stadio, durante l’edizione 2024 di Le nez dans le vert sono riuscito a strappare qualche decilitro di vino da assaggiare, tra una sgomitata e l’altra.

Di seguito alcune note prese al volo presso una delle firme più prese d’assalto, il Domaine de la Borde – Julien Marechal. Nota bene: per la suddetta calca ho scritto gli appunti in modo caotico, quindi, annate e nomi dei vini sono da prendere con il beneficio del dubbio.

Arbois Ploussard 2023
In insistente riduzione all’olfatto, molto più aperto e comunicativo al palato, leggero, snello, beverino, molto succoso (campione da botte).

Arbois Pupillin Plous’saperlipopette 2022
Molto luminoso, slanciato, rinfrescante, delicato finale sulla nocciola tostata.

Arbois Pupillin Naturé Foudre à Canon 2020
Davvero complesso nello spettro aromatico, vinificazione sous voile gestita con maestria, lungo, molto puro.

Vin Jeune 2016
Particolarmente brillante e trasparente, quasi senza peso, aromi sottili e infiltranti, gusto davvero fine, multidimensionale, persistentissimo.

La foto di apertura è di Kelsey Knight su Unsplash.

Fabio Rizzari
Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato come redattore ed editorialista presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, a cominciare da Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS. È relatore per l’Accademia Treccani.

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