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Coltivare e Produrre
24/03/2025
Di Fabio Rizzari

Un vitigno eccellente ma elusivo

Come gli amatori più smaliziati sanno bene, esistono due macrocategorie di vini: quelli centrati sull’uva di base, chiamati in Francia – spesso in modo sprezzante – vins de cépage, e quelli centrati sul terroir.
I primi vengono considerati prodotti di serie B, e talvolta di serie C e D; i secondi sono acriticamente rispettati, perché “fedeli testimoni della loro terra”.

Per la letteratura classica i vins de cépage sono vini anonimi, standardizzati, replicabili in qualsiasi parte vitata del pianeta, e rispondono alla domanda banale: “Mi porti uno Chardonnay” (o un Cabernet, o un Pinot Nero, o un Syrah). Mentre nei vini di territorio la varietà di partenza viene sublimata nel rapporto più o meno storico con l’areale in cui è coltivata. Così un rosso da uve pinot nero coltivato – per dire – in Australia è soltanto un Pinot Nero*, mentre un rosso da uve pinot nero coltivato a Nuits-Saint-Georges non è più solo un Pinot Nero ma è un Nuits-Saint-Georges, un Borgogna.
Una distanza concettuale e pratica che divide, per fare un ultimo esempio, un semplice Nebbiolo californiano da un augusto Barolo.   

Vini da vitigno e vini di territorio

Fatta questa premessa schematica, come sempre la realtà rimescola le carte e rende il confine tra “banalità” dei vini da vitigno e “classe superiore” dei vini di territorio una linea piuttosto labile. Esistono infatti delle varietà di uva intrinsecamente più inclini a dare prodotti di alta qualità di altre, indipendentemente dalla zona in cui vengono allevate.
Non è un caso che nel suo ormai storico trattato enciclopedico “Vines, grapes and wines” (1986) la celebre critica Jancis Robinson suddivida l’ampia platea di uve coltivate nel mondo in tre livelli: “varietà classiche”, “altre varietà importanti”, “varietà secondarie”.  

Tra le uve più vocate a dare vini difficilmente banali e unidimensionali – a patto com’è ovvio che vengano da valide lavorazioni in vigna e in cantina – si può senz’altro annoverare il pinot bianco. Un vitigno che, curiosamente, non appare spesso in cima alle preferenze degli enofili. 

Da pinot bianco vini di alto livello ma poco appariscenti

Quando ancora facevo degustazioni seriali per le guide, stappando decine e decine di bottiglie ogni mattina, una circostanza si ripeteva ogni anno in Alto Adige: le batterie dei Sauvignon, dei Kerner, dei Müller-Thurgau, dei Traminer, pure dei meno aromatici Chardonnay, erano ricche di bianchi espressivi; quella dei Pinot Bianco molto meno.
Ma riassaggiando le stesse bottiglie a distanza di un paio di giorni dall’apertura, moltissimi vini si spegnevano, mentre non pochi Pinot Bianco risaltavano per nitidezza e ampiezza dei profumi, finezza del gusto, intensità del finale.

Il pinot bianco è un vitigno in grado di dare vini di alto livello, ma non appariscenti, elusivi, che vanno “cercati” e attesi nel bicchiere.
Un esempio felice? Il Pinot Bianco Vom Berg della tenuta Rohregger, che nell’annata 2022 è un vino completo: intenso, limpido, dinamico al palato, e insieme avvolgente, rotondo, pieno.
Ma è solo un nome tra tanti che meritano la massima attenzione del bevitore esigente.

Fabio Rizzari
Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato come redattore ed editorialista presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, a cominciare da Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS. È relatore per l’Accademia Treccani.

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