Vitae Online logo Vitae Online
  • Vitae Online logo Vitae Online
  • Home
  • Il Vino
    • Vini d’Italia
    • Vini del Mondo
  • Sostenibilità
    • Environment ESG
    • Social ESG
    • Governance ESG
  • Assaggi
    • Vino
    • Olio
    • Birra
    • Spirits e non solo
    • Acqua
    • Fumo Lento
  • Food
    • Abbinamenti
    • Chef e Ristoranti
    • Cucina di Tradizione
    • Eccellenze
    • Innovazione
    • Materia Prima
  • Territori
    • Enoturismo
    • Paesaggio
    • Lifestyle
    • Viaggio
  • Personaggi e Storie
  • Sommelier e Pro
    • Trend e Mercati
    • Comunicazione e Personal Branding
    • Vita da Sommelier
  • Vino e Cultura
    • Architettura
    • Arte
    • Cinema
    • Storia
    • Società
  • Eventi AIS
  • AIS Italia
Spirits e non solo
08/05/2025
Di Barbara Turchi

Salute! Cheers! Prosit! 검배! I coreani e il soju

Ormai da diversi anni la Corea del Sud ha assunto un ruolo centrale nell’immaginario collettivo planetario. Non più solo penisola relegata ad appendice insignificante, schiacciata tra colossi geopolitici ed economici, ma entità con proprie caratteristiche, tali da suscitare una curiosità crescente.

Dal Premio Oscar al Nobel, passando per K-pop e K-drama

Sull’onda – ed è proprio il caso di dirlo – dell’Hallyu, cioè della Korean wave, la cultura sud coreana è il nuovo fenomeno pop, cresciuto partendo dalla musica, tanto che oggi i BTS e le Blackpink sono la boyband e la girlband più visualizzata al mondo, in grado di battere record su record nelle classifiche Billboard, fino ad arrivare ai K-drama, le fiction coreane, serie televisive di qualunque genere: sit-com, romantiche, thriller, storiche, fantasy, horror. Famose a livello mondiale, nel 2021 la prima stagione della serie Squid Game ha rotto gli argini diventando la serie più vista di sempre e nel minor tempo sulla piattaforma Netflix. L’ascesa è continua anche in altri settori: l’Oscar 2020 come miglior film e miglior regista vanno a Parasite e a Bong Joon-Ho, la prima volta a un film non in lingua inglese, quindi l’Oscar come miglior attrice non protagonista a Yun Yeo-Jeong nel 2021 per il film Minari, fino ad arrivare al premio Nobel per la Letteratura 2024 assegnato dalla Accademia di Svezia alla scrittrice sud coreana Han Kang che “ nella sua opera affronta traumi storici e insiemi invisibili di regole e, in ciascuna delle sue opere, espone la fragilità della vita umana”.
Proprio a causa della grande complessità della società sud coreana, permeata dal Confucianesimo che irrigidisce la scala sociale, obbliga a un rispetto gerarchico legato alla famiglia, al lavoro, al ruolo, anche solamente all’età (“In che anno sei nato?” è la domanda principe in Corea per stabilire anche in un contesto amichevole chi deve rispetto a chi), per tutto questo e altro, spesso in Corea le tensioni emotive necessitano di uno sfogo “alcolico”. Il rituale del bere viene così coltivato, si beve e a volte ci si ubriaca tra amici o tra colleghi, durante le cene di lavoro o dopo, in un grande rito collettivo – l’ubriacatura solitaria non è ben vista, ma il bere insieme è catartico e liberatorio.
Ma cosa bevono i coreani?

Soju, passione nazionale

Una delle frasi più usate dai coreani è “ 소주 한잔해! ” come a dire “Andiamo a bere soju”, e questo vale per congratularsi per una promozione o un evento familiare, per consolarsi di una disgrazia, per rilassarsi dopo il duro lavoro. Niente di meglio di un bicchiere di soju e un piatto di 삼겹살, la pancetta di maiale grigliata! Ma che tipo di bevanda è il soju?

Tutto ha inizio dopo l’invasione mongola della penisola coreana avvenuta tra il 1231 e il 1259. Gli storici registrano la presenza di una piccola bottiglia legata alla cintura dei guerrieri, il cui liquido 아락주 li rende feroci in battaglia. Sembra sia stato questo che abbia portato a incrociare le vie, che dalla lontana Arabia passando attraverso il mongolo Gengis Kahn, hanno portato alla distillazione delle bevande fermentate già presenti da molto tempo in Corea. La prima ricetta documentata di soju risale al 1540 ed è tratta dal libro di ricette di venticinque pagine manoscritte in cinese da Kim Yu nella città di Andong dal titolo 수운잡방 che può essere tradotto come “Modi per rendere il cibo adatto a un uomo di gusto raffinato”. Tutto inizia con la produzione di nuruk 누룩, un tortino secco di cereali lasciato a riposare in modo che formi muffe sulla superficie. Il nuruk viene aggiunto, insieme all’acqua, al riso o al frumento cotto a vapore, facendo con i suoi enzimi da starter all’idrolisi degli zuccheri dei carboidrati e attivando con i suoi lieviti la fermentazione all’interno di vasi di terracotta. Il prodotto alcolico della fermentazione viene quindi distillato riscaldando con il fuoco (il termine soju deriva dai caratteri cinesi delle parole 불사를 술 “liquore creato dal fuoco”) contenitori di terracotta o di rame o di acciaio, fino ad avere il prodotto finito. Questa tipologia di soju distillato di produzione artigianale è un prodotto di qualità che può competere con il miglior whisky. A seconda del cereale utilizzato può essere più delicato se fatto con il riso, con un aroma molto più forte se utilizzate le patate dolci, con sottili note floreali se si usa il sorgo, mentre con l’orzo si sprigionano sentori di nocciola.

Soju distillato o soju diluito?

Dal periodo dell’invasione mongola con la scoperta del distillato chiamato “arakju” 아락주 (ancora oggi questo è il nome del soju in alcune zone della Corea del Nord), passando attraverso i vari periodi storici coreani per arrivare fino alla Dinastia Joseon, la produzione di liquori fermentati e distillati casalinga non ha mai subito una flessione fino al 1909 quando, sotto la pesante occupazione giapponese, fu introdotto il Liquor Tax Act, proibendo la produzione di alcolici casalinghi con pene severissime. Questo ha distrutto tutto un sistema di tradizioni ancestrali che, nel suo complesso, non è stato più ripristinato, perdendo un patrimonio culturale importante per la nazione. Basti pensare che nei vecchi libri di cucina almeno un terzo delle ricette riguardava la produzione di alcolici. Park Rok-Dam, studioso di antiche tradizioni, ha scoperto in 23 anni di studio e ricerca 573 tipi di bevande alcoliche e registrato 1037 ricette, prodotte con gli ingredienti più disparati, dall’estratto di bambù alle erbe più rare. Ma la realtà odierna è molto diversa, il soju è – sicuramente questo sorprenderà i più – la bevanda distillata più venduta al mondo, con produzioni da capogiro. La Jinro è il colosso coreano del soju che ha venduto nel 2023 2.44 miliardi di bottiglie, qualcosa come 77 bottiglie al secondo. Dicono orgogliosamente che, dal 1966 ad oggi la quantità venduta è di 64.2 miliardi di bottiglie e che, mettendole tutte in fila, la linea può girare intorno alla terra più di 342 volte. Ma questo è il “soju diluted” introdotto nel 1919, dopo il Liquor Tax Act, con lo sviluppo delle prime due grandi aziende, la Pyongyang Joseon Soju e la Incheon Joil Brewery, un prodotto fatto di etanolo, acqua, dolcificanti e acido aspartico per alleviare l’ubriacatura, partito con una gradazione alcolica di alto grado e sceso poi mano a mano ai 30° del 1965, ai 25° del 1970 ai 23° del 1995 fino ai 16° del 2022. Questo prodotto standardizzato ha un costo al supermercato di meno di un euro e permette di riempire 7 piccoli bicchieri da soju. Inutile sottolineare che la qualità del prodotto industriale niente ha a che vedere con le antiche tradizioni, quando per preparare il nuruk si lasciavano scorrere le stagioni.

Nel 1988, con l’avvento dei Giochi della XXIV Olimpiade, il governo coreano ha creduto nell’opportunità di rivalutare il soju tradizionale, dando supporto al Soju di Andong dove, anche durante l’occupazione giapponese, le tradizioni avevano resistito. Questo inizio ha fatto sì che ad oggi le bevande tradizionali presenti sul mercato siano molte di più e le distillerie artigianali registrate siano circa millecinquecento. Fortunatamente una tradizione così antica non è andata perduta e si può ancora apprezzare un soju di qualità. Allora 검배! Brindiamo con un piccolo bicchiere di soju e con le parole del poeta 이색 Lee Saek (1328-1396) che dice:
“Metà bicchiere è abbastanza
per infondere calore nelle mie ossa…”.

La foto di apertura è di Eiliv Aceron su Unsplash.
La seconda immagine è di Guillermo Pérez su Unsplash.

Barbara Turchi
Barbara Turchi

Studi classici, una laurea in Odontoiatria, curiosa di letture, di viaggi, di cibi e di culture. Diventare Sommelier AIS è stato un cammino naturale lungo il percorso della rivalutazione di antiche ricette e della scoperta di piatti distanti dal nostro quotidiano. Quando ho tempo leggo gialli, studio il coreano, realizzo ricette, cerco vini insoliti. In famiglia mi seguono curiosi e anche un po’ preoccupati.

Vitae Online logo
  • Home
  • Chi siamo
  • Contatti
  • Rinnova la tua quota
  • Associati ad AIS
  • Modifica i tuoi dati
Vitae Online Lights Newsletter
  • Legal
  • Cookies
  • Privacy
©Vitae Online 2025 | Partita IVA 11526700155