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Coltivare e Produrre
09/05/2025
Di Alessandro Franceschini

Troy, i 10 anni dello chardonnay alpino di Tramin

Se il gewürztraminer è, indiscutibilmente, la varietà che più identifica la storia passata e presente di Cantina Tramin, lo chardonnay è invece il vitigno con il quale c’è l’ambizione di provare a sedersi stabilmente ai piani alti, se non altissimi, dell’élite mondiale di chi ha portato i vini che nascono da questa varietà ai vertici assoluti.

È probabilmente questo lo spirito che ha animato questa storica cooperativa altoatesina – la terza più antica della provincia nata nel 1898 – a decidere di festeggiare i 10 anni dalla nascita della Riserva Troy non solo con una verticale di 4 annate, a partire proprio dal suo primo millesimo del 2015, ma anche con un confronto alla cieca con alcuni chardonnay, francesi ma non solo, che certo non mancano di blasone e fama.

Azzardo? Provocazione? Puro divertimento? Desiderio di dimostrare come uno chardonnay alpino possa sedersi tranquillamente alla tavola di vini che non devono dimostrare (quasi) più nulla? Probabilmente è dal mix di tutti questi fattori, e altro ancora, che sono nate le motivazioni che hanno spinto Willi Stürz, storico enologo di Cantina Tramin, e Wolfgang Klotz, direttore commerciale, a organizzare una degustazione di questo tipo, pur senza alcun intento competitivo che invece avrebbe avuto poco, se non, alcun senso. 

Willi Stürz

La nascita del Troy

“Negli anni Novanta avevamo ancora circa l’85% di schiava, oggi invece…” ricorda Wolfgang Klotz, evidenziando quanto sia cambiata la cantina negli ultimi 30 anni. E così se il gewürztraminer rimane oggi il vitigno più coltivato con 57 ettari dei circa 270 coltivati dai 300 soci della cooperativa, lo chardonnay nel corso degli anni è salito a 35, diventando la seconda varietà allevata. L’idea di poter creare un grande chardonnay che potesse sfidare il tempo, e non solo, nasce nei pensieri dell’enologo e direttore tecnico Willi Stürz già poco dopo il 2002, con la nascita della cuvée Stoan, che vede la presenza di questo vitigno per oltre il 60%, ma in blend con sauvignon, gewürztraminer e pinot bianco.

“Da quella esperienza nasce la selezione e individuazione di 4 specifiche parcelle di chardonnay per un totale di 2 ettari” spiega l’enologo. La località dei terreni è denominata Sella, sul versante orientale del massiccio della Mendola, tra i 500 e i 550 metri di altitudine, con vigne di età oltre i trent’anni allevate sia a guyot che a pergola, su pendenze che arrivano anche al 50%. “I terreni sono molto calcarei e misti ad argilla, con porfido nel sottosuolo”. Non era scontata l’idea di scegliere queste parcelle per provare a fare un grande chardonnay ricorda ancora Willi Stürz. “Nella zona del Troy spesso le acidità sono altissime e spesso ci siamo detti: non è possibile riuscire a fare un grande chardonnay in purezza”.

Invece è andata diversamente e, per riuscirci, non è stata secondaria la scelta di una precisa “ricetta” da seguire in cantina. Il vino fermenta in barrique e qui vi rimane per quasi un anno sui lieviti, portando a termine anche la fermentazione malolattica. Poi viene travasato in contenitori di acciaio e continua a riposare per quasi due anni. Infine, altri quattro mesi di affinamento in bottiglia ed è pronto per essere commercializzato in circa 6000 esemplari e poco più di un centinaio di magnum.

La verticale e il confronto alla cieca

Quattro annate, dalla prima, la 2015, all’ultima, la 2021, passando per la 2018 e la 2019. Il filo conduttore? Quel timbro alpino, sempre evidente, anche nelle annate più calde e ricche come la primissima in commercio, che si esprime con note di erbe aromatiche e un tocco agrumato che non manca mai. La decisa mineralità che ben caratterizza soprattutto i millesimi 2018 e 2019 è un fattore che caratterizza il Troy non tanto e solo dal punto di vista aromatico al naso, quanto al palato: quando riesce a raggiungere un ottimo equilibrio con l’acidità, sempre ben viva, fa sì che si sprigioni un’eleganza di grande incisività, tipica dei vini realmente di razza. È il caso del 2021, vino molto raffinato e che sarà molto interessante, per chi ha la fortuna e possibilità di conservarne qualche bottiglia, di verificare l’evoluzione e la tenuta nel tempo.

Gli sparring partner scelti per essere degustati insieme al Troy? Gaia & Rey Langhe Chardonnay DOC 2015 di Gaja, Houillères Chassagne-Montrachet 2015 di Domaine Olivier Leflaive, Corton Charlemagne Grand Cru 2019 di Domaine Jacques Prieur, Charlemagne Grand Cru 2021 di Domaine de la Vougeraie e, infine, Powder House Estate Vineyard Sonoma Coast Chardonnay 2021 di Aubert.

Al di là del divertente confronto alla cieca – per la maggior parte dei partecipanti, ad esempio, non è stato così semplice prendere le misure e individuare il campione statunitense, sorprendente per freschezza e compostezza – e della bellezza espressiva di alcuni campioni – indiscutibile il fascino, quasi magnetico, dello Chassagne-Montrachet 2015 di Domaine Olivier Leflaive – è indubbia la riconoscibilità che questo chardonnay riesce a conquistarsi senza particolare difficoltà.

A 10 anni di distanza dalla sua nascita, se la strada da percorrere è ancora molta – “troy” nella lingua locale significa non a caso sentiero – è certamente possibile certificare già ora il raggiungimento di più di un obiettivo a partire dal più importante probabilmente, che il confronto con altri vini ha messo in netta evidenza: la presenza di una personalità precisa che rende questo chardonnay altoatesino particolarmente distintivo.  

Alessandro Franceschini
Alessandro Franceschini

Giornalista free-lance, milanese, scrive principalmente di vino, grande distribuzione e temi inerenti il mondo agroalimentare. Dirige il sito e la rivista ViniPlus dell'Associazione Italiana Sommelier della Lombardia, è docente al Master della Scuola di Comunicazione dell’Università IULM di Milano, collabora con diverse testate di settore e non.

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