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Personaggi e Storie
20/05/2025
Di Fabio Rizzari

Il curioso caso di Roberto Ferrari

A tagliare con l’accetta, nel mondo del vino la produzione è suddivisa in quattro categorie: le aziende agricole che hanno vigneti, le cooperative, gli industriali che comprano grandi partite di uve, gli imbottigliatori che comprano vino sfuso.
L’etichetta, quindi, varia dalla normale dicitura “Tenuta di Pinco Pallo”, “Cantina Sociale di xy”, e pittoreschi marchi di fantasia per il resto.
Personalmente non ho mai visto in giro la definizione di “Manifattura di vino”, se non nel caso di Roberto Ferrari. Roberto è infatti una figura (relativamente) singolare nel settore: non è un vignaiolo ma – in sostanza – lo è, non è un semplice imbottigliatore, ma nei fatti è anche un imbottigliatore, è un enologo ma non è soltanto un enologo.

Un percorso in solitaria

Altoatesino, poco meno che sessantenne, Ferrari ha alle spalle una lunga esperienza nel mondo del vino. La sua avventura in solitaria inizia nel 2007, dopo aver lasciato il posto di lavoro presso un’azienda locale.
Come recita il suo dépliant di presentazione, “non possedendo masi e casali, né campagna, non potevo definire la mia attività come Azienda Agricola. Ho però trovato il nome giusto per descrivere il mio lavoro: ManifatturaVini/Weinmanufaktur. Questo nome riflette la dedizione e l’impegno nel creare vini di alta qualità, artigianali e autentici. Rappresenta con semplicità e chiarezza quello che faccio: rispetto della materia prima, approccio artigianale nella produzione dei vini, cura sartoriale dei dettagli e stretta collaborazione con diversi contadini della zona che condividono gli stessi miei valori nel trattare con rispetto la terra e la vite”.

Metodo da vingaragista?

Insomma, una figura di acquirente/imbottigliatore come ce ne sono tante, magari di alto livello, magari in linea con i metodi dei vecchi vingaragisti?
Anche qui: sì e no.
Ferrari si discosta da quel modello per alcuni aspetti: le vigne non sono sue, ma le segue in prima persona come fossero sue, non limitandosi quindi a comprare la materia prima una volta vendemmiata. E in vinificazione non segue protocolli ripetitivi, per realizzare vini omologati nello stile.
“Non seguo le mode o le tendenze temporanee, ma cerco di creare vini vivi e veri tramite fermentazioni spontanee e interventi indispensabili.
Desidero proporre vini che abbiano una loro personalità distinta. È un sottile esercizio di equilibrio, come un funambolo su una corda: se è troppo marcante il protocollo enologico – e quindi la firma di chi vinifica – i vini perdono il proprio carattere individuale; se è troppo forte il lato anarchico e “selvaggio”, i vini non sono più un prodotto civilizzato.
Quindi da un lato faccio vini che portano il mio nome, che ottengo tramite la mia visione e le mie convinzioni; dall’altro lato faccio vini che rispettano la natura del luogo dove nascono, del quale rispecchiano con chiarezza le caratteristiche peculiari.”

Qualche assaggio

E i vini, quale più quale meno, hanno in tutta evidenza una personalità originale. Il mio primo incontro con le sue creazioni è stato una quindicina di anni fa, quando – insieme a Ernesto Gentili – ho attribuito una valutazione molto alta a un sorprendente taglio di varie uve a bacca bianca, il Pulsar. Un vino incredibilmente luminoso e reattivo, di notevole energia propulsiva. La gamma è attualmente piuttosto articolata, variando da rossi stilizzati quali un limpido Pinot Nero (velato soltanto, en vin jeune, da un leggero timbro di rovere dolce, nota che si integra al vino dopo qualche tempo in bottiglia) a cuvée ottenute da assemblaggi.
Del tutto atipico il Gewürztraminer della casa, che all’opposto del modello in voga un tempo in Alto Adige – colore giallo pieno, profumi intensi di frutta esotica e rosa, gusto denso e appiccicoso, solcato da zuccheri residui – è chiaro nella tinta, vivace nei profumi, scattante e rifrescante al palato.
Tutti i vini sono accomunati da un tratto molto stimolante, soprattutto con la deriva alcolica generale che sembra oggi inarrestabile: hanno quasi sempre meno di 13 gradi, fermandosi di solito a 12,5. 

Fabio Rizzari
Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato come redattore ed editorialista presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, a cominciare da Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS. È relatore per l’Accademia Treccani.

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