Grenache d’Australia: metamorfosi di un gigante rosso

L’Australia è in fermento per il grenache, vitigno un tempo bistrattato e oggi al centro di una vera e propria rivoluzione qualitativa. Abbandonata la vecchia immagine di “mulo da soma”, i produttori australiani, guardando più alla garnacha iberica che ai classici Châteauneuf-du-Pape, ne stanno plasmando un volto nuovo: vini più leggiadri, profumati, capaci di conquistare al primo sorso. Cuore pulsante di questa trasformazione sono le preziose, antiche vigne della Barossa Valley e di McLaren Vale. Jancis Robinson ci guida alla scoperta della sua sorprendente rinascita, grazie a vecchie vigne e a un’innovativa sensibilità produttiva, oggi regala vini di straordinaria finezza ed eleganza, ispirati più alla leggerezza spagnola che alla potenza francese.
Un’autentica febbre da grenache sta contagiando l’Australia. Questo vitigno, originario del sud del Rodano e fino a un recente passato relegato al ruolo di semplice gregario, vive oggi una stagione di gloria senza precedenti. Tuttavia, scordatevi la muscolarità imponente di un classico Châteauneuf-du-Pape. La stragrande maggioranza dei vignaioli australiani sembra aver abbracciato un nuovo paradigma stilistico, ispirato alle garnacha spagnole più raffinate e quasi “borgognone”. Il risultato? Grenache australiani che si presentano con veste più scarica, un bouquet aromatico accattivante, un frutto invitante e una beva agile e appagante, discostandosi nettamente dai canoni di potenza e austerità, pur con le dovute eccezioni che confermano la regola.
C’è un però: il grenache è un’uva esigente, che necessita di una lunga e paziente maturazione in vigna per esprimere al meglio il suo corredo aromatico e la giusta levigatezza tannica. Questo rende i Grenache con moderato tenore alcolico una vera rarità. In una recente e significativa degustazione londinese che ha visto sfilare ben 45 etichette australiane, solo cantine del calibro di Alkina, Robert Oatley, Kalleske e Ochota Barrels sono riuscite a presentare rossi al di sotto della soglia del 14% di alcol – un dettaglio non trascurabile in un mercato, come quello britannico, sempre più sensibile a questo aspetto, anche per via di un sistema di dazi che penalizza le gradazioni elevate.
Il tesoro nascosto: vecchie vigne di Barossa e McLaren Vale
Come accade per i grandi Zinfandel californiani, il segreto del fascino di molti di questi vini risiede nelle vecchie vigne allevate ad alberello (le cosiddette bush vines). I terroir d’elezione, autentiche culle di questa rinascita, sono la Barossa Valley e McLaren Vale, rispettivamente a nord-est e a sud di Adelaide, nel cuore dell’Australia Meridionale. È stato il grenache di McLaren Vale a catturare per primo i riflettori della critica internazionale, nonostante lo shiraz continui a essere il vitigno dominante nell’area. Come sottolineano Jane Lopes e Jonathan Ross nel loro volume del 2023, How to Drink Australian, il grenache occupa meno del 7% della superficie vitata di McLaren Vale. Questa drastica riduzione è figlia del famigerato programma di estirpazione degli anni ’80, un periodo buio in cui le uve grenache trovavano acquirenti quasi esclusivamente tra le famiglie di origine italiana di Adelaide, che le destinavano alla produzione di vino per autoconsumo.
Una sorte simile toccò anche alle vecchie vigne di Shiraz della Barossa Valley, sacrificate sull’altare di un Cabernet Sauvignon francese che, all’epoca, appariva irresistibilmente più glamour. Nonostante la Barossa sia universalmente riconosciuta come la patria dello Shiraz, anche il suo grenache sta vivendo un momento di straordinaria affermazione. È proprio in questa valle che si cela, forse, il vigneto di grenache più antico del pianeta: quello della famiglia Cirillo, le cui radici affondano a metà del XIX secolo. Sempre nella Barossa, la storica azienda Yalumba coltiva con orgoglio il suo Tri-Centenary grenache, proveniente da un appezzamento di alberelli impiantati nel distretto di Vine Vale nel lontano 1889.
A McLaren Vale, la lungimiranza e la tenacia della famiglia Smart hanno permesso a vigne di grenache ultracentenarie di scampare all’oblio. Il loro vigneto nel distretto di Clarendon, risalente al 1922, è oggi un vero e proprio cru, le cui uve preziose abbiamo ritrovato, nella degustazione londinese, nei vini di Willunga 100 e Ministry of Clouds. La sopravvivenza di queste antiche piante è, a tutti gli effetti, un piccolo miracolo.
Svolta in cantina: l’arte della sottrazione
Un elemento cruciale nella ridefinizione stilistica del grenache australiano è stata la rivoluzione nelle pratiche di affinamento. Si è progressivamente abbandonato l’uso delle piccole barrique di rovere nuovo di stampo bordolese o borgognone, che tendono a concentrare e marcare il vino, a favore di botti di legno usato di grande capacità o, con sempre maggiore frequenza, di contenitori inerti come vasche di cemento, anfore di terracotta o persino sofisticati tini ovoidali in ceramica.
Se è vero che lo stile “Pinot Nero delicato” che caratterizza molti di questi nuovi grenache seduce per charme, versatilità e piacevolezza immediata, è altrettanto probabile che la loro longevità sia contenuta. Tuttavia, non mancano interpretazioni più ambiziose, capaci di unire fascino a una solida struttura e a una notevole complessità. Penso a etichette come il MV 2020 di Chapel Hill, il MMAD 2022 dal terroir sabbioso di Blewitt Springs, l’intera gamma di S C Pannell (nonostante le vigne del cru Little Branch, recentemente acquisito, contino “solo” trent’anni), le proposte di Willunga 100, il Fool on the Hill 2022 di Thistledown (dalla fresca Eden Valley, sovrastante la piana della Barossa) e tutti i vini di Yangarra, pioniera nell’adozione di tecniche di affinamento non convenzionali.
Yangarra, fondata nel 2001 da un gruppo americano parte del colosso Jackson Family Wines, ha scommesso sul grenache quando ancora non godeva della considerazione attuale. (Lopes e Ross evidenziano come solo nel 2020 il prezzo delle uve grenache di McLaren Vale abbia finalmente superato quello dello Shiraz). L’azienda può vantare un magnifico appezzamento piantato nel 1946, con marze provenienti dal vigneto originale della famiglia Smart.
Nuovi interpreti e il valore crescente
L’interesse per “The Vale” (McLaren Vale) ha attirato anche nuovi investitori. MMAD, creatura del team che ha dato vita a Shaw + Smith nelle Adelaide Hills, ha rilevato nel 2021 vigne storiche, alcune delle quali impiantate addirittura nel 1939. Robert Oatley Wines, realtà produttiva di peso con tenute nel Nuovo Galles del Sud e in Australia Occidentale, ha iniziato a produrre un grenache di McLaren Vale non barricato nel 2017, per poi alzare l’asticella nel 2023 con il Finistere grenache, un vino di grande spessore ottenuto da uve acquistate da un vigneto di ottant’anni a Blewitt Springs. Mark Bulman, già vincitore del prestigioso Jimmy Watson Trophy ai tempi della sua militanza presso Turkey Flat nella Barossa, ha da poco lanciato la sua linea, Bulman Wines, che include grenache da singola vigna e da vecchie piante, affinati in quelle che lui stesso definisce anfore di arenaria: vini vibranti di gioventù, pensati più per la tavola che per il wine bar.
Nella Barossa Valley, una delle novità più intriganti è rappresentata da Alkina. Il magnate argentino del settore energetico Alejandro Bulgheroni, già proprietario di ben 14 aziende vinicole sparse tra Uruguay, Argentina, California e Toscana, si è avvalso della consulenza di Alberto Antonini e del celebre pedologo cileno Pedro Parra. Quest’ultimo ha meticolosamente suddiviso i terreni acquistati nella Barossa in micro-parcelle omogenee, battezzate “poligoni”. Nonostante nuove piantagioni di grenache siano state effettuate nove anni fa, l’80% dell’Estate Grenache 2024, vino che ha particolarmente impressionato Jancis Robinson, proviene da ceppi risalenti agli anni ’50. Alkina adotta con rigore i principi dell’agricoltura rigenerativa e la giovane enologa Amelia Nolan affida il suo grenache esclusivamente al cemento, persino per il prestigioso Polygon 3 Grenache 2023, un’etichetta che in Australia sfiora i 300 dollari.
Inevitabilmente, la crescente fama del grenache australiano si è tradotta in un generale aumento dei prezzi. Sul proprio sito, Yangarra propone l’annata 2021 del suo cru di punta, l’High Sands Grenache (da quel vigneto del 1946), a 300 dollari australiani. Tuttavia, il miglior acquisto in termini di rapporto qualità-prezzo emerso dalla degustazione londinese, escludendo l’etichetta di Tim Smith, è stato il Barossa Bush Vine Grenache 2022 della linea Samuel’s Collection di Yalumba, un vino che nasce da vigne la cui età varia dai 60 ai 105 anni.
Un arcobaleno di stili: dai rosati alle vette più fresche
Il grenache è l’anima di molti grandi rosati provenzali, e anche in Australia non delude in questa veste. Due etichette rosa hanno brillato nella degustazione: il Lux Venit Rosé 2023 di Chaffey Bros, da vigne di 75 anni, e il Surfer Rosa 2024 di Ochota Barrels (con un tocco di Gewürztraminer), da piante del 1946. Si tratta di vini che meritano attenzione da parte di chi è alla ricerca di rosati con una spiccata personalità.
Sebbene il palcoscenico, sia della degustazione che del panorama produttivo del grenache australiano, sia stato calcato principalmente da McLaren Vale e Barossa Valley (regioni dove, peraltro, la sensibilità verso pratiche biologiche, biodinamiche e sostenibili è molto diffusa), non sono mancati validi esempi provenienti da zone dal clima decisamente più fresco, come Frankland River in Western Australia e Clare Valley. Il grenache australiano sta vivendo, senza ombra di dubbio, il suo momento d’oro.
Per la cronaca, si ritiene che l’Aragona, in Spagna, sia la culla di questo vitigno (noto lì come Garnacha), sebbene i sardi ne rivendichino orgogliosamente le origini (dove prende il nome di Cannonau). Il grenache è un’uva tardiva, che necessita di climi caldi per giungere a perfetta maturazione. Le sue bucce, non particolarmente spesse, danno solitamente vini dal colore non troppo intenso, ma oggi, in un’epoca che predilige freschezza e bevibilità, il grenache/garnacha ha trovato la sua consacrazione. La sua notevole tolleranza alla siccità ne fa, inoltre, un candidato ideale per il futuro della viticoltura in regioni come l’Australia e la California, sempre più orientate verso varietà “mediterranee”.