Castello di Grumello: gestione sostenibile dell’acqua e viticoltura rigenerativa

Siamo andati alla scoperta della gestione sostenibile dell’acqua e della viticoltura rigenerativa in Lombardia, nel cuore della Valcalepio: l’intervista al Direttore Stefano Lorenzi.
Nel cuore della Valcalepio l’acqua può far bene al vino: non è un paradosso, ma la base di una viticoltura sostenibile e innovativa. Al Castello di Grumello l’acqua è una alleata segreta, in grado di sviluppare con l’ambiente una partnership importante. Con un sistema di gestione delle risorse idriche pensato per preservare il terreno e la qualità delle uve, l’acqua non è più un elemento di allerta o di pericolo, ma può rappresentare il futuro della viticoltura in perfetta armonia con ambiente e paesaggio. Vi raccontiamo una storia di innovazione e visione green, diventata un caso di studio per la gestione sostenibile dell’acqua e del suolo.

La storia
Il Castello di Grumello è molto più di una storica dimora del Trecento: è il cuore pulsante della Valcalepio, simbolo di rinascita e innovazione vitivinicola. La sua storia recente, degli ultimi due secoli, racconta un legame stretto con il territorio, con la viticoltura bordolese, e con la sostenibilità. Dalla fine del Seicento fino alla seconda metà dell’Ottocento la proprietà fu dei Gonzaga, ramo mantovano, che oltre a edificare la splendida villa settecentesca ancora visibile oggi, portarono dalla Francia i primi vitigni di cabernet sauvignon e merlot, introducendo così il taglio bordolese in queste terre. Ma non si limitarono a questo. Nel 1880, fondarono una delle prime scuole agrarie della Lombardia (forse d’Italia), per istruire i mezzadri sulle tecniche agricole moderne apprese in Francia: potatura, innesto, disposizione delle viti in filare. La scuola restò attiva fino al 1935. A fine Ottocento, mentre in Francia si scrivevano trattati sulla potatura, al Castello di Grumello si insegnava già come farla. Nessun corso online e webinar: qui l’agroecologia si imparava in campo, per poi degustare un bicchiere di rosso. Dieci anni dopo, nel 1890, realizzarono una zonazione agricola pionieristica: studio empirico del territorio per destinare i terreni a colture specifiche. Il risultato? I migliori vigneti – quelli del Colle Calvario, con suolo calcareo, ciottoli, ottima ventilazione e niente nebbia – erano destinati alla vite. Ancora oggi, 9 dei 15 ettari vitati del Castello si trovano lì. Nel 1954 inizia l’imbottigliamento del vino. Da allora, grazie prima all’enologo Carlo Zadra, scomparso nel 2013, e oggi al figlio Paolo, il Castello di Grumello, entrato nella proprietà della famiglia Gotti, è un punto di riferimento per la viticoltura del territorio. La tenuta agricola del castello si estende su 35 ettari, di cui 15 vitati. I vigneti, situati prevalentemente sul Colle del Calvario, sono coltivati con uve merlot, cabernet sauvignon e chardonnay. Qui nascono etichette prestigiose come il Valcalepio Rosso Colle Calvario Riserva, Le Noci e il VB Valcalepio Doc Bianco e il Moscato Passito Ros da uve Moscato di Scanzo, a cui si è aggiunta anche la produzione di olio extra vergine. Con una produzione annua di circa 80.000 bottiglie, la cantina è oggi un punto di riferimento per l’enologia della regione Lombardia.

I piwi e la merera
Radici solide e sguardo al futuro. Nel 2015, tra i primi in provincia di Bergamo, l’enologo Paolo Zadra alleva vitigni resistenti come bronner e johanniter. Una scelta coraggiosa, nata dalla volontà di sperimentare le varietà super-bio, partendo da uve da tavola fino ad arrivare alla vinificazione. Altro progetto interessante è la riscoperta della merera, vitigno nativo un tempo considerato poco interessante per la sua produttività e il colore molto delicato. Carlo Zadra ne intuì invece il potenziale già negli anni Ottanta, affascinato dalla speziatura e dalla beva elegante. Oggi la merera è vinificata con grande successo, con un profilo moderno, basso grado alcolico, note speziate che ricordano il frappato e la vespolina, senza la nota eccessivamente fruttata che può talvolta risultare invadente.
Una sostenibilità concreta
Per Castello di Grumello la sostenibilità è un impegno concreto, non un’etichetta. Dal vivaio interno per le barbatelle (coltivate nel suolo che poi le ospiterà) fino al recupero dell’acqua piovana, ogni scelta è pensata per un futuro più resiliente. In particolare, il Castello dispone di una cisterna seicentesca da 60 metri cubi, un tempo “riserva segreta” della famiglia, oggi “riserva” contro la siccità e a favore di un uso strategico: l’acqua, riserva preziosa, viene recuperata per irrigazione, lavaggio trattori e piazzali, che consente un risparmio fino al 30% di acqua potabile. La cantina ha infatti realizzato un impianto avanzato per la gestione e la raccolta sostenibile delle acque meteoriche. Il progetto è stato sviluppato con un approccio tecnico e paesaggistico, valorizzando l’ambiente storico del Castello e integrando l’infrastruttura nel paesaggio agricolo. L’iniziativa rappresenta un modello replicabile per la gestione delle risorse in ambito vitivinicolo. Anche nei vigneti è in corso un progetto di agroforestazione introdotto da Stefano Lorenzi (Direttore di Castello di Grumello, esperto di agroforestazione, project manager, arboricoltore tree climber) e condiviso con la consulenza di Lorenzo Costa (esperto di agricoltura coreana, permacultura e gestione delle acque piovane), per rallentare il deflusso delle acque piovane, evitare l’erosione e creare microclimi grazie alla piantumazione di alberi e arbusti. Le chiome degli alberi non solo raffrescano la massa d’uva nelle estati torride, ma proteggono anche dalle gelate tardive, creando ventilazione naturale. L’obiettivo? Non certo giardinaggio ornamentale, ma il miglioramento della qualità delle uve all’interno di un equilibrio vitivinicolo che rispetti il territorio e lo faccia evolvere.

La nostra intervista a Stefano Lorenzi, Direttore di Castello di Grumello
Da dove nasce l’esigenza di ripensare la gestione agricola del Castello?
La nostra storia agricola è lunga e fortemente radicata nel territorio. Tuttavia, la viticoltura da sola non bastava più a garantire sostenibilità economica e ambientale. Inoltre, con i cambiamenti climatici, l’acqua è diventata un fattore critico. Negli ultimi anni ci siamo trovati a fare i conti con un’alternanza estrema tra periodi di piogge intense e fasi siccitose, con conseguenti ristagni idrici, erosioni, perdita di suolo e produttività compromessa. Di fronte a queste sfide, abbiamo capito che dovevamo cambiare prospettiva.
Qual è stata la strategia adottata per affrontare il problema dell’acqua?
Abbiamo deciso di vedere l’acqua non più come un problema, ma come una risorsa. Insieme a Lorenzo Costa abbiamo avviato uno studio approfondito del nostro terreno. Abbiamo mappato le aree di accumulo delle acque meteoriche e individuato i punti critici da cui iniziare. Da lì è nato un progetto strutturato che si basa su tre principi fondamentali: rallentare, infiltrare, conservare.

Può spiegarci più in dettaglio le soluzioni tecniche adottate?
Abbiamo lavorato su diversi fronti con un approccio integrato alla gestione delle acque, focalizzandoci su tre azioni. Per prima cosa, abbiamo puntato a rallentare il deflusso delle acque meteoriche, realizzando cordoli erbosi e piccoli dislivelli trasversali lungo il declivio. Questi accorgimenti servono a spezzare la velocità dell’acqua piovana durante gli eventi meteorici intensi, limitando il rischio di erosione e migliorando la distribuzione superficiale. Successivamente, ci siamo concentrati sull’infiltrazione dell’acqua, intervenendo nei punti di naturale accumulo. Qui abbiamo realizzato trincee drenanti, piccoli invasi superficiali, aree con suolo nudo ma strutturato e coperture pacciamate. Tutti questi elementi sono pensati per aumentare la capacità del terreno di assorbire l’acqua e ridurre al minimo il ruscellamento. Infine, il nostro obiettivo è stato quello di conservare l’acqua trattenuta. Non viene canalizzata né allontanata velocemente, ma lasciata infiltrare in modo graduale nel suolo. In questo modo, si favorisce la ricarica della falda e si garantisce una disponibilità idrica costante alle radici delle piante anche durante i periodi più asciutti. In più, nei terreni più inclinati abbiamo creato micro-ripari e zone tampone, che agiscono anche da habitat per la biodiversità. Tutto il lavoro è stato eseguito senza l’uso di cemento o infrastrutture invasive: solo terra, vegetazione e progettazione.

Quali sono stati i risultati concreti di questo approccio?
I benefici sono tangibili. Oggi possiamo lavorare i campi anche subito dopo un temporale, cosa prima impossibile. I ristagni sono praticamente scomparsi, la struttura del suolo è migliorata, le radici delle piante sono più sane e abbiamo ridotto notevolmente l’erosione. Inoltre, abbiamo registrato un aumento della biodiversità e della presenza di insetti utili. Il miglioramento della fertilità ha avuto un impatto diretto anche sulla qualità delle produzioni.
Verso un’azienda multifunzionale: avete ampliato la produzione agricola oltre la vite. In che direzione?
La nuova proprietà, arrivata nel giugno 2022, ha voluto un cambio di passo totale. L’azienda non deve fare solo vino: deve diventare circolare. Abbiamo comprato un podere confinante dove realizzeremo un’azienda agricola vera e propria. Lì già coltiviamo 60 piante di agrumi in piena terra. L’anno scorso abbiamo raccolto 180 kg di frutta che abbiamo venduto o barattato con produttori locali, come Contrada Bricconi per i formaggi. Entro un anno avremo disponibile frutta biologica: mele, albicocche, susine, pesche, pere. Da questa materia prima realizziamo succhi di frutta naturali, senza zuccheri aggiunti, per un pubblico sempre più attento alla salute e all’origine dei prodotti. Questa diversificazione non è solo economica, ma anche agronomica: le diverse specie migliorano la rotazione, arricchiscono il suolo e rendono l’azienda più resiliente.

Come riuscite a integrare tutto questo con la meccanizzazione?
I mezzi meccanici servono, è inutile negarlo. Ma bisogna usarli in modo intelligente. Ad esempio, abbiamo circa un ettaro e mezzo coltivato a vitigni piwi, che riducono drasticamente il numero di interventi: invece di entrare 25-30 volte all’anno col trattore, entriamo in vigneto al massimo 8-10 volte, vendemmia inclusa. Meno passaggi significano meno compattamento e più porosità del suolo. Dove abbiamo maggiore movimentazione di trattori, in particolare i cingolati, usiamo cippato derivato dalle nostre potature: il legno tritato assorbe l’umidità e impedisce al terreno di indurirsi come cemento. Meno passaggi di mezzi meccanici quindi, più respiro per il suolo. E quando passa, trova una sorta di “moquette” di cippato: il red carpet per un ambiente sano.
Benefici concreti: anche l’inerbimento e il sovescio sono parte della strategia?
Certamente. Usiamo il sovescio ma non lo interriamo: lo crimpiamo con un rullo, lo “sdraiamo” a terra. La parte radicale rilascia azoto, mentre quella aerea serve da pacciamatura. Questo evita l’erosione in caso di piogge intense. Due giorni fa sono caduti 30 mm in due ore, e la pacciamatura ha tenuto. Quando poi il trattore passa, schiaccia meno perché la copertura vegetale attutisce il peso.

Come viene percepita questa filosofia agricola in Val Calepio?
C’è chi ci crede e chi fa più fatica. A livello climatico, qui siamo ancora fortunati: siamo a mezz’ora dalle Alpi, le masse d’aria sono più fresche, l’impatto del cambiamento climatico è meno drastico rispetto a Toscana o Piemonte. Però serve lungimiranza: ho chiesto al Comune di preservare la collina, che è la chiave della gestione delle acque. Anche le strade sterrate comunali, se ben gestite, possono diventare corsi d’acqua utili invece che problemi.
L’approccio sistemico si è esteso anche alla cantina?
Stiamo lavorando sull’hospitality: abbiamo rinnovato il primo piano del castello e le visite alla tenuta stanno crescendo di anno in anno: l’anno scorso abbiamo ricevuto 1300 visitatori, il doppio rispetto al 2023. C’è in progetto un resort e un B&B agricolo al Podere Colle Calvario.

Tutto questo richiede molta energia. È soddisfatto?
Sì, ma c’è ancora tantissimo da fare. Sono contento perché si stanno vedendo i frutti. Ma ogni giorno è una sfida, anche a livello culturale. Lavoriamo in territori dove il cambiamento è faticoso da accettare. Ma vedo che con il dialogo e la concretezza si può fare.
Oltre alla produzione agricola, ci sono sviluppi futuri legati all’ospitalità?
Sì, stiamo lavorando a un progetto di ospitalità agricola e didattica. Vogliamo aprire parte della tenuta a esperienze immersive: visite guidate nei vigneti e frutteti, degustazioni tecniche, laboratori per bambini e corsi di formazione per agricoltori. L’idea è quella di creare un polo agricolo multifunzionale dove si possa apprendere, degustare e vivere il territorio. Sarà un modo per valorizzare il paesaggio e generare nuova economia rurale.

Quali sono i prossimi passi dal punto di vista tecnico?
Continueremo a espandere il progetto idraulico, costruendo anche piccoli bacini di raccolta temporanea in quota. Inoltre, vogliamo implementare un sistema di monitoraggio partecipato che coinvolga anche gli altri agricoltori della zona: condividere dati e soluzioni è fondamentale per una gestione territoriale efficace. Stiamo anche valutando pratiche agroforestali e l’introduzione di siepi e fasce tampone per aumentare la capacità ecologica dell’azienda.
Il vostro modello può essere replicato altrove?
Assolutamente sì. Il nostro è un modello replicabile perché si basa su principi semplici, a bassa tecnologia e a basso impatto economico. Quello che serve è un cambio di mentalità: smettere di combattere l’acqua e iniziare a progettarla. Anche in contesti diversi, collinari o pianeggianti, si possono applicare le stesse logiche con risultati sorprendenti.

Il Castello di Grumello non è solo un luogo di storia e cultura, ma un vero e proprio laboratorio di sostenibilità agricola. Grazie all’impegno di Stefano Lorenzi e alla collaborazione con esperti come Lorenzo Costa, si sperimentano soluzioni concrete per affrontare le sfide ambientali e climatiche. La gestione intelligente dell’acqua, la diversificazione colturale e la visione agroecologica del paesaggio fanno del Castello di Grumello un esempio di fattibilità nella costruzione di un futuro più resiliente e armonico con la natura.
Photo Credit: Alvise Barsanti