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Trend e Mercati
10/07/2023
Di Redazione AIS

Il vino francese ha stancato?

In tono critico e ironico, Simon Woolf mette in discussione il dominio secolare e indiscusso del vino francese. La supremazia? Non deriva da una qualità intrinsecamente superiore, ma da fattori storici, politici e da una certa dose di snobismo. Oggi, la scelta esclusiva di vini francesi rappresenta un’opzione conservatrice e priva di fantasia, che ignora l’eccellenza ormai diffusa in moltissime altre regioni vinicole del mondo.

L’articolo di Simon J. Woolf si apre con una premessa: non ha nulla contro la Francia, anzi, ne apprezza la gastronomia. La sua critica, però, è rivolta al modo in cui i vini francesi sono spesso presentati come una categoria d’élite, quasi intoccabile. Woolf si chiede perché sia la norma che i ristoranti di lusso dedichino il 90% delle loro carte a un solo paese e perché gli appassionati passino anni a studiare oscuri angoli della Borgogna, come se “l’uva non crescesse da nessun’altra parte“.

Nonostante Italia e Spagna abbiano superato la Francia in volumi di produzione, la sua fama resta intatta. L’autore si interroga quindi sulle ragioni di questo status: è merito di una qualità superiore, di un marketing geniale o semplicemente di un vantaggio storico?

“La Francia è la nazione vinicola più prestigiosa e venerata al mondo da almeno due secoli. Un decennio fa era anche il più grande produttore in volume, ma sia l’Italia che la Spagna l’hanno da tempo superata. Allora, qual è il segreto della Francia? Fanno semplicemente un vino migliore? Sono geni del marketing? O sono in gioco da più tempo di chiunque altro? Come siamo arrivati a questo punto e, soprattutto, come possiamo uscirne?“.

Il potere del brand (e del portafoglio)

Secondo Woolf, la francofilia nella ristorazione è guidata tanto dai clienti quanto dai sommelier. Cita l’esempio di Hiša Franko, ristorante tre stelle Michelin in Slovenia, che, pur vantando un forte legame con il territorio, ha dovuto affiancare ai vini locali un’imponente selezione francese. Il motivo? Quando la reputazione del ristorante è cresciuta, sono arrivati clienti facoltosi che si aspettavano di trovare certe bottiglie. “Ricordo che Valtar Kramar (il creatore della carta originale) mi disse di aver iniziato con una lista interamente slovena. Ma quando la reputazione del ristorante è decollata e hanno iniziato ad arrivare i clienti facoltosi, è sorta la necessità di stappare le bottiglie che i clienti facoltosi amano bere. E i soldi, che non ci siano dubbi su questo, bevono francese. Non sloveno. E nemmeno spagnolo, tedesco o italiano”.

L’ascesa della Francia al primo posto

Woolf ripercorre la storia, riconoscendo l’antichità della viticoltura francese ma sottolineando come altre culture, come quella georgiana, siano ancora più antiche. Il vero salto di qualità, sostiene, avvenne nel Medioevo, quando la Chiesa iniziò a perfezionare la produzione vinicola.

“La viticoltura francese ha senza dubbio una lunga storia, almeno 2.600 anni. Eppure i georgiani possono dimostrare di ubriacarsi da molto più tempo, fino a 8.000 anni fa. Ma non è solo una questione di longevità. Durante il Medioevo, la Chiesa acquisì enormi quantità di vigneti e iniziò a elevare la produzione di vino. Devoti monaci, leggermente brilli, ci hanno regalato di tutto, dal Clos Vougeot al Quarts de Chaume.“

La classificazione del Médoc del 1855 e l’abilità dei commercianti fecero il resto, consolidando un primato che né la fillossera né le guerre mondiali riuscirono a scalfire. Woolf analizza poi il XX secolo, notando come i principali concorrenti della Francia fossero bloccati da contingenze storiche e politiche: “il Portogallo era isolato dal regime di Salazar, gran parte dell’Europa centrale e orientale era dietro la cortina di ferro, impegnata a distruggere le proprie industrie vinicole con lo strumento ottuso della produzione cooperativa. Gli spagnoli facevano la siesta e gli italiani erano troppo occupati a discutere su quali formati di pasta rendere illegali. A parte gli scherzi, una cosa è certa: il totalitarismo fa male all’industria del vino. E qualunque affronto o calamità la Francia abbia subito, questo non è stato uno di quelli”. La Francia, non avendo subito questa sorte, ha mantenuto il suo posto d’onore.

“Nessuno è mai stato licenziato per aver scelto la Borgogna”

Oggi, però, la situazione è cambiata e vini di qualità si producono in ogni continente. Eppure, osserva Woolf, la diversità rimane una nicchia, perché “la maggior parte dei professionisti e degli amanti del vino rimane fedele alla propria devozione per la Francia“. Secondo lui, non si tratta di una superiorità intrinseca, ma di un misto di storia, politica e della “capacità francese di elevare lo snobismo a una forma d’arte“.

A riprova di ciò, Woolf racconta un aneddoto personale, accaduto durante una sua masterclass sui vini orange ad Amsterdam. “Non dimenticherò mai una masterclass sui vini orange che tenni ad Amsterdam nel 2018. Avevo versato quelli che ritenevo esempi eccezionali da Italia, Spagna, Slovenia e Austria. Alla fine un signore olandese si alzò e chiese: ‘qualcuno ha mai provato a fare questi vini partendo da un terroir davvero buono?’. Rimasi allibito e gli chiesi di chiarire. ‘Sa, tipo Borgogna o Bordeaux‘, azzardò. La sua implicazione era che nessuno dei vini che avevamo assaggiato provenisse da un buon terroir. L’idea che non esistano vigneti eccezionali fuori dalla Francia mi lasciò perplesso. La Borgogna non ha certo il monopolio dei suoli argillo-calcarei. Hanno solo imparato a venderli bene dopo 1.200 anni“.

La scelta esclusiva di vini francesi, per Woolf, insomma, è paragonabile a un vecchio adagio del mondo informatico: “nessuno è mai stato licenziato per aver scelto Microsoft“. È la via più sicura, che non richiede fantasia né coraggio, ma non per questo è la migliore.

Redazione AIS
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