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Vita da Sommelier
23/07/2024
Di Redazione AIS

L’arte di snellire la carta dei vini: meno etichette, più anima

Sempre più ristoranti abbandonano le liste monumentali per programmi agili e curati. Una scelta che, sebbene più impegnativa, crea un rapporto più forte con il cliente, valorizza i piccoli produttori e, in definitiva, migliora l’esperienza.

Per decenni, la carta dei vini monumentale è stata un simbolo di prestigio per un ristorante. Migliaia di etichette, rilegate in pesanti tomi, sembravano un’opportunità di esplorazione infinita per gli addetti ai lavori e un segno di serietà per la clientela. Eppure, per il cliente medio, questa abbondanza si trasforma spesso in una fonte di ansia e intimidazione. È il cosiddetto “paradosso della scelta”: troppe opzioni possono paralizzare, invece che liberare. Per questo, un numero crescente di professionisti sta riscoprendo la potenza di un approccio opposto: la creazione di una carta dei vini snella, con 100 etichette o meno.

È una filosofia che, come esplora la giornalista Kathleen Willcox in un articolo su SevenFifty Daily, sta conquistando sempre più ristoranti di successo. Costruire un programma così mirato è, per certi versi, molto più difficile. “Devi assicurarti che ci sia qualcosa per chiunque entri dalla porta“, afferma Savannah Riedler, wine director di Lilo in California. “Con meno opzioni è più complesso. Richiede grande disciplina”. Ma i vantaggi, sia per il cliente che per il locale, sono innegabili. Ecco come i migliori professionisti stanno ottenendo grandi risultati pensando in piccolo.

L’equilibrio è tutto: tra certezze e scoperte

Con meno spazio a disposizione, ogni bottiglia conta. La precisione diventa fondamentale. Al ristorante Parallel di Portland, la sommelier e co-proprietaria Stacey Gibson mantiene la sua lista tra le 80 e le 100 etichette. “Il mio obiettivo è offrire qualcosa per tutti, da chi beve vino occasionalmente fino al super appassionato“, spiega. “Per me, questo significa avere regioni e uve riconoscibili, offrendo allo stesso tempo varietà meno note da luoghi che la maggior parte delle persone non conosce“.

La sua carta include quindi vini della vicina Willamette Valley, ma anche “chicche” attentamente selezionate, capaci di offrire valore e sorpresa. Un esempio? Un Nerello Mascalese del 2015 di Calabretta, un vino siciliano evoluto a un prezzo accessibile, o un Vidiano greco di Douloufakis a 14 dollari al calice. “È un’uva autoctona di Creta“, dice, “qualcosa che molti esperti non hanno mai assaggiato. Ma alla fine, è semplicemente un bianco fresco e delizioso che piacerà anche a chi non sa nulla di vino”. L’equilibrio tra la scommessa sicura e l’emozione della scoperta è la chiave.

Il valore, prima del profitto

Tradizionalmente, il vino è visto come uno dei pochi centri di profitto sicuri per un ristorante. Ma con i margini che si assottigliano e le vendite generali di vino in calo, molti sommelier stanno cambiando prospettiva, puntando sul valore come strumento per fidelizzare il cliente. “I soldi contano sempre, ma oggi più che mai“, dice Gibson. “Voglio che le persone si sentano a proprio agio nell’ordinare un secondo bicchiere o una seconda bottiglia“.

Le fa eco Aimee Olexy del ristorante The Love di Philadelphia, la cui filosofia è ancora più radicale: “più basso è il prezzo che possiamo offrire, meglio è. Voglio che le persone comprino vino per elevare la loro esperienza e il loro ricordo della cena, non per fare profitto“. Per lei, offrire valore è il modo migliore per creare clienti che torneranno per tutta la vita.

L’agilità: ascoltare il cliente, non il fornitore

Una lista più corta è, per sua natura, più dinamica. Aimee Olexy, che mantiene la sua carta intorno alle 60 etichette, la cambia costantemente in base al menu della cucina e, soprattutto, a ciò che i clienti scelgono. “Studio attentamente ciò che gli ospiti comprano, non ciò che i distributori cercano di vendermi“, spiega. “Ascolto anche i camerieri e i responsabili del bar“.

Questa agilità le permette di reagire rapidamente. Il suo team è addestrato a chiedere ai clienti cosa conoscono e amano, per poi, se interessati, guidarli gentilmente verso nuove esplorazioni. Un amante del Sauvignon blanc, per esempio, potrebbe essere incoraggiato a provare il Pecorino al calice in carta.

Raccontare una storia, creare un’identità

In una lista così curata, ogni vino deve contribuire a una narrazione coerente. Da Lilo, Savannah Riedler vuole raccontare la storia della California e dell’oceano, in linea con la cucina del ristorante che si ispira a tecniche francesi e giapponesi applicate alla cultura gastronomica della costa californiana. “Per me, questo significava definire la California nella carta dei vini“, dice. “Grandi e piccoli produttori, vitigni storici, la storia dei missionari e persino l’effetto del film Sideways“. Ogni bottiglia ha un motivo per essere lì.

La vetrina per i piccoli artigiani

Infine, una lista snella è la piattaforma ideale per valorizzare i piccoli produttori. In una carta enciclopedica, le cantine meno conosciute rischiano di perdersi. In un programma curato, invece, possono brillare. Aimee Olexy ama mettere in evidenza aziende con una storia avvincente, come Illahe Vineyards, una cantina dell’Oregon che pratica la sostenibilità e consegna l’uva con carri trainati da cavalli, o produttori locali di qualità come Galen Glen Winery in Pennsylvania.

“Non seguo le regole“, conclude Olexy. “I clienti non comprano un vino perché hai coperto ogni annata o ogni denominazione. Comprano per il servizio impeccabile, i prezzi onesti e le proposte interessanti. Noi la facciamo semplice“.

Redazione AIS
Redazione AIS

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