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Viaggio
12/08/2025
Di Giovanni Solaroli

Cronaca di un miracolo di Ferragosto

Cari soci AIS, permettetemi di raccontarvi una storia che sa di strutto e nostalgia. È successo l’altro ieri. Ero in vacanza in un Albergo a Maiorca, uno di quelli dove il cocktail all’aperitivo costa quanto una cassa di Chianti Gran Selezione, quando al buffet hanno messo un cartellino: “Piadina internacional fusion – Traditional italian flatbread with jamón ibérico and mediterranean herbs”.

“Me Cojón”, ho pensato e ho sentito le vene del collo gonfiarsi come il mare quando soffia il mistral. “Disculpe”, ho detto al cuoco con il cappello da chef alto come il campanile di Santarcangelo, “ma io vengo da Cesenatico. Da noi la piadina non è international. È romagnola e basta”. Il tipo mi ha guardato come se avessi detto che la sangria si fa con il Brunello.

Ma io ho continuato perché, quando un romagnolo si scalda sotto il sole delle Baleari, neanche l’aria condizionata del resort lo ferma: “Vedete, la piadina è come le nostre canzoni da spiaggia: sembra semplice, ma è piena di sfumature che voi spagnoli non potete capire. Lo strutto dev’essere quello giusto, l’impasto deve avere la consistenza della pelle di mia nonna dopo una giornata in Riviera, e la cottura… Madonna, la cottura! Sul testo, di terracotta (di Monte Tiffi possibilmente) che sa di storia e di generazioni di donne che hanno imparato a misurar tutto a occhio”. Gli ho chiesto se sapesse cos’è un testo per la cottura della piadina. Un po’ seccato mi guarda e risponde “¿Testo? ¿Eso qué es, una marca de aceite? Mire, señor, yo cocino la piadina en la plancha como todas las tortillas. Es muy fácil: masa, jamón, queso, ¡y listo! ¿Por qué complicar? Los italianos siempre con nombres raros para cosas simples…” (Trad: “Testo? Ma cos’è, un nuovo tipo di condimento? Io la piadina la faccio sulla piastra elettrica, come le tortillas. Roba facile: farina, prosciutto, formaggio e buonanotte! Voi italiani fate sempre tutto difficile con ’sti nomi complicati…”

Poi il cuoco si è seduto su una cassa di birra Estrella, forse per svenimento. “E poi,” ho rincarato la dose mentre una famiglia di tedeschi mi guardava incuriosita, “non esiste la piadina internacional. È come dire ‘un abbraccio con sottotitoli’ o ‘una imprecazione tradotta con Google’. La piadina è un gesto d’amore che si piega su sé stesso, ¿comprende? Come quando mia zia Pierina abbracciava il nonno dopo che lui aveva bevuto troppo Albana e cantava ‘Romagna mia’ mentre le cicale facevano il coro.” A quel punto il direttore dell’hotel, un signore abbronzato con l’aria di chi ha visto troppi turisti italiani in crisi di nostalgia, si è avvicinato e mi ha sussurrato: “Ma usted es de dónde exactamente?”.

“Cesenatico,” ho risposto, e lui ha annuito come se avesse sentito nominare El Dorado. “Ah,” ha fatto in un italiano perfetto, “allora lei saprà che cos’è la vera piadina.”

E qui, cari soci, è successo il miracolo ferragostano. Quest’uomo, che gestiva un hotel dove vendevano paella ai russi e gazpacho ai finlandesi, è andato nella cucina del personale e ha tirato fuori una teglia di terracotta che sembrava uscita da un museo e un sacchetto di farina che profumava di Romagna. “Una volta all’anno,” mi ha confessato mentre gli altri ospiti facevano l’aperitivo in piscina, “mia moglie italiana mi porta tutto da Rimini. Gli altri dipendenti dicono che sono pazzo, ma io rispondo che ci sono follie necessarie, soprattutto a Ferragosto”.

Abbiamo fatto la piadina insieme, lì sotto il gazebo della cucina, mentre il sole di Maiorca picchiava come un martello e i turisti tedeschi si spalmavano la crema solare. Lui impastava e io raccontavo di quando andavo con mio papà alle sagre di agosto, dove la piadina costava duemila lire e la riempivano con tutto quello che avevano: prosciutto, salsiccia, crescioni, mozzarella, pomodori, formaggio di fossa che puzzava come i piedi dopo una giornata in spiaggia.

Quando l’abbiamo assaggiata il silenzio è calato sulla folla che nel frattempo si era assiepata in sala nel vano tentativo di capire cosa facessimo. Era perfetta: croccante fuori, morbida dentro, profumava di mamma e dentro di me si è accesa quella nostalgia dolce che ti prende quando senti l’odore di casa mentre sei in un mare straniero, o quando incontri un compaesano sotto l’ombrellone di un resort a tremila chilometri dalla Riviera.

“¿Sabe qué?” mi ha detto il direttore mentre le cicale spagnole cantavano come quelle romagnole, “forse dovremmo organizzare una serata italiana. Piadina vera e vini della sua terra. ¿Qué le parece?” Ho sorriso pensando a cosa avrebbe detto mia nonna: “Brev, burdél, finalmente questi spagnoli capiscono qualcosa!” E così, cari amici dell’AIS, vi invito a riflettere mentre fate le valigie per le vacanze: in un mondo che internazionalizza tutto, forse dovremmo imparare a portarci dietro i sapori autentici, quelli che sanno di casa, di famiglia, di terra che conosci palmo a palmo.

Perché la piadina, come il buon vino, non ha bisogno di passaporto. Ha solo bisogno di essere vissuta. E adesso scusatemi, ma devo andare a comprare dello strutto. Quello vero. Prima che chiudano i duty-free.

P.S.: Se qualcuno di voi va in vacanza a Maiorca, chiedete del direttore Miguel. Sa fare la piadina meglio di certi romagnoli che conosco. E questo, per Ferragosto, è già un miracolo.

Le prime tre foto e l’ultima sono rispettivamente di Mark Olsen, Redcharlie, Simona Sergi e Vincenzo Landino su Unsplash.

Giovanni Solaroli
Giovanni Solaroli

Si interessa al vino più per spirito di ribellione che per autentico interesse. Come in ogni famiglia proletaria, a casa il bottiglione di vino non mancava mai; con il medesimo contenuto si condiva poi l’insalata. Spacciare lo spunto acetico per robustezza di carattere non gli andava proprio. Decide di intraprendere i corsi per sommelier, che conclude nel 2001. La sua formazione in AIS prosegue: dapprima degustatore, poi relatore. Per cinque anni è stato referente della Guida Vitae, per la quale oggi collabora come redattore. Giornalista, commissario per le Doc e Docg romagnole, ha tenuto rubriche su “Il Resto del Carlino” e la “Voce di Romagna”. Oggi scrive per “Winesurf ”, “EmiliaRomagnaVini” e ha un blog tutto suo. È referente della comunicazione e componente del consiglio direttivo di AIS Romagna.

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