Il mito della bassa resa: diradare i grappoli serve ancora?

Il mantra “bassa resa uguale alta qualità” è da tempo un pilastro della viticoltura. Ma è ancora valido? La domanda, sollevata dalla giornalista Amy Beth Wright in una dettagliata analisi per la stampa specializzata americana, sta diventando sempre più attuale.
Per decenni, questa convinzione ha spinto i produttori a praticare il cosiddetto “diradamento” o “vendemmia verde”: il sacrificio di una parte dei grappoli prima della maturazione. L’idea era che, riducendo la quantità, la vite potesse concentrare le sue energie sui frutti rimanenti. Questa certezza, però, viene oggi messa in discussione da figure come la professoressa Patricia Skinkis dell’Oregon State University, il cui lavoro è al centro dell’inchiesta.
L’equilibrio della vite
La logica del diradamento ha solide basi fisiologiche. I grappoli sono dei “pozzi” che attingono a nutrienti, zuccheri e composti organici prodotti dalla pianta. In una vite giovane o debole, l’energia è necessaria non solo per maturare i frutti, ma anche per sviluppare radici e gemme per l’anno successivo. In questi casi, eliminare alcuni grappoli prima dell’invaiatura (il cambio di colore dell’acino) aiuta la pianta a trovare un equilibrio ottimale tra crescita vegetativa e riproduttiva. Questo concetto, descritto in enologia come il rapporto tra la superficie fogliare e la resa, è fondamentale per ottenere frutti con un bilanciamento ideale tra zuccheri e acidi. Come spiega l’enologo Antonio La Fata sull’Etna, l’obiettivo è raggiungere un “equilibrio” tra il vigore del fogliame e i grappoli.
Quando, quanto e dove serve
La ricerca scientifica ha aggiunto ulteriori livelli di complessità. Uno studio del 2024 della Michigan State University ha rilevato che la severità del diradamento (la quantità di grappoli rimossa) ha un’influenza più marcata del tempismo, ma con effetti tutto sommato modesti su zuccheri e pH, e un impatto quasi nullo su altri composti fenolici. Il tempismo, tuttavia, rimane cruciale: un diradamento troppo precoce può portare ad acini più grossi ma meno complessi, mentre molti viticoltori preferiscono intervenire dopo l’invaiatura per eliminare solo i grappoli in ritardo di maturazione.
Soprattutto, la risposta al diradamento dipende enormemente dalla varietà. Vitigni come il petit verdot, il tannat o il syrah, che tendono a essere molto produttivi, possono trarne grande beneficio. Altri, come il pinot nero studiato in Oregon, possono raggiungere un’eccellente qualità anche con rese più alte, a patto che il vigneto sia sano e ben gestito.
Le voci contro: una nuova filosofia
Sempre più produttori, tuttavia, si stanno allontanando da questa pratica, considerandola un intervento tardivo e talvolta innaturale. La frase di Fabio Sireci, proprietario di Feudo Montoni in Sicilia, è lapidaria: “se devi tagliare i grappoli, è già troppo tardi”. Per lui, e per molti altri, il vero controllo della quantità e della qualità si fa con la potatura invernale, che imposta fin dall’inizio l’equilibrio della pianta.
Questa filosofia trova eco in diverse parti del mondo. Nella Rhône, Chloé Simonou la considera una pratica da riservare solo a casi eccezionali, notando come le tendenze attuali favoriscano vini “succosi e golosi” che non richiedono un’estrema concentrazione.
In California, Ryan Roark di Demetria Estate, che pratica la biodinamica, esprime una preoccupazione filosofica: “per me, tagliare i grappoli allontana la pianta dal suo stato naturale”. A queste considerazioni si aggiungono quelle economiche: il diradamento è una pratica costosa che non sempre si traduce in un reale valore aggiunto.
La conclusione è che non esiste una regola universale. L’approccio moderno, più che inseguire ciecamente le basse rese, mira a comprendere a fondo il proprio vigneto — l’età delle piante, il clima, il suolo, la varietà — per guidare la vite verso il suo equilibrio ideale, fin dal primo giorno di potatura.