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Trend e Mercati
15/10/2024
Di Redazione AIS

Il mondo del vino negli ultimi 25 anni: cronaca di una rivoluzione

Secondo un’analisi di Ray Isle per Food & Wine, informazione, abbondanza e cambiamento hanno guidato la trasformazione del settore, con l’Italia protagonista di fenomeni globali come il boom del Prosecco e la riscoperta degli orange wines.

Le tre parole chiave per descrivere gli ultimi venticinque anni nel mondo del vino potrebbero essere: informazione, abbondanza e cambiamento. All’alba del nuovo millennio, le carte dei vini si concentravano ancora sulle regioni classiche, termini come “biologico” o “naturale” erano sussurri per pochi iniziati, nessuno beveva rosato secco e la figura del sommelier evocava un altero professionista francese che intimidiva il cliente. Oggi, il panorama è irriconoscibile. Come sottolinea Ray Isle in una sua ampia retrospettiva per la testata americana Food & Wine, la trasformazione è stata profonda, alimentata da una disponibilità di informazioni senza precedenti che ha liberato il vino dalla morsa degli esperti.

Il motore di questa rivoluzione è stata la tecnologia. Con l’avvento di internet, degli smartphone (il primo iPhone è del 2007) e di app come Vivino (lanciata nel 2010), la conoscenza del vino è diventata accessibile a tutti. I giovani consumatori di oggi si fidano più dei consigli degli amici che del punteggio di un critico, e questo ha portato alla progressiva obsolescenza della scala dei 100 punti. Questa democratizzazione del vino ha generato una domanda di varietà che il mercato ha prontamente soddisfatto. Il risultato è un’abbondanza mai vista prima: più vini, più consumatori, più conoscenza, più stili, più paesi, più vitigni. Semplicemente, di più.

Questa sete di conoscenza ha alimentato una richiesta di diversità geografica senza precedenti. Improvvisamente, è diventato possibile trovare sui nostri scaffali vini da ogni angolo del mondo, da una rebula slovena a un blaufränkisch austriaco. I sommelier, a loro volta, hanno iniziato a preferire le regioni oscure e dimenticate rispetto ai soliti noti, trasformando vitigni come il rkatsiteli georgiano o i bianchi vulcanici delle Isole Canarie in vere e proprie “calamite” per appassionati. Un trend che, per un paese come l’Italia con il suo immenso patrimonio di vitigni autoctoni, ha rappresentato un’opportunità straordinaria.

In questo scenario globale, l’Italia si è ritagliata un ruolo da protagonista assoluto, guidando due tendenze di mercato colossali. La prima è l’esplosione degli spumanti. Mentre i prezzi dello Champagne continuavano a salire, i consumatori hanno cercato alternative di qualità, trovandole in primis nel nostro paese. Tra il 2007 e il 2012, le vendite di Prosecco negli Stati Uniti sono più che quadruplicate, un successo commerciale che ha aperto la strada anche ad altre bollicine come il Franciacorta. Il secondo fenomeno, più di nicchia ma culturalmente potentissimo, è quello degli orange wines. Sebbene la tecnica risalga a millenni fa, l’era moderna di questo stile è iniziata in Italia a metà degli anni ’90, quando Josko Gravner in Friuli, ispirato dai vini georgiani in qvevri, ne divenne il pioniere. Da interesse per pochi sommelier d’avanguardia, oggi gli orange wines sono prodotti e apprezzati in tutto il mondo.

Parallelamente, si è affermata una controrivoluzione filosofica che ha messo in discussione il modello produttivo dominante. L’agricoltura biodinamica, già consolidata in Europa, ha fatto il suo ingresso trionfale negli USA nel 2004 con una degustazione organizzata da Nicolas Joly. Pochi anni dopo, il vino naturale è diventato un movimento con negozi, bar e ristoranti dedicati. Questa corrente ha favorito un cambiamento epocale nel gusto, segnando un progressivo allontanamento dalla cosiddetta “parkerizzazione”, ovvero la preferenza per vini potenti, maturi e molto legnosi tipica dei primi anni 2000. Oggi, il pubblico e i professionisti cercano leggerezza, freschezza e gradazioni alcoliche più contenute. In questo contesto, anche gli Champagne dei piccoli produttori (i “grower”), spesso più legati al terroir e a pratiche sostenibili, hanno conquistato il centro della scena.

Infine, non sono mancate le tendenze guidate da fenomeni culturali o da specifiche intuizioni di mercato. Il film Sideways del 2004 ha reso il pinot noir improvvisamente “cool”, facendone aumentare la produzione del 170% in California. Il boom dei rosati secchi, in particolare quelli pallidi in stile provenzale, ha resuscitato una categoria che era stata annientata commercialmente decenni prima. E chi avrebbe mai immaginato che abbinare Champagne e pollo fritto o vino e patatine sarebbe diventato di moda? Anche la figura del sommelier è diventata “pop” grazie al film Somm del 2012, per poi affrontare una crisi di credibilità a causa di alcuni scandali. Nonostante le sfide che si profilano all’orizzonte — cambiamento climatico, nuove correnti proibizioniste, dazi — una cosa è certa: il vino è con noi da 8.000 anni e, senza dubbio, ci sarà anche tra altri venticinque.

Redazione AIS
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