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Comunicazione e Personal Branding
15/10/2024
Di Redazione AIS

Perché la moda della carta dei vini “a voce” è una pessima idea

Sebbene appaia come un approccio interattivo e moderno, l’assenza di una lista scritta crea frustrazione e rischia di minare il rapporto di fiducia con il cliente. Un’analisi di John Sumners che, pur partendo da esempi internazionali, solleva una questione centrale per la cultura dell’ospitalità italiana.

Per chiunque sia l'”esperto di vino” di un gruppo di amici, il momento in cui si chiede la carta dei vini è un rito. È l’attimo in cui si giustifica la propria fama. Ma, come evidenzia John Sumners in un articolo per Wine Enthusiast, poche risposte sono più irritanti di quella che sta diventando una moda dilagante: “mi dica cosa le piace e le trovo il vino giusto“. Il sottotesto è chiaro: non abbiamo una lista scritta. Per quanto possa sembrare un approccio interattivo e divertente per un bevitore occasionale, per un vero appassionato questa tendenza rischia di essere un autentico supplizio.

Certo, ci sono ragioni per cui un locale potrebbe scegliere questa strada. Molti indirizzi di tendenza, da Brooklyn a Parigi, offrono programmi di alta qualità senza una lista cartacea. Dal punto di vista del gestore, questo sistema permette di avere un controllo maggiore sull’inventario, spingendo prodotti specifici e guidando i clienti verso una selezione curata. Offre inoltre grande flessibilità, specialmente per chi lavora con piccole quantità e un assortimento in continua evoluzione, evitando l’imbarazzo di presentare una lista piena di etichette cancellate. “Quello che apprezzo di questo sistema è che instaura un dialogo diretto con l’ospite fin dall’inizio“, ammette Erling Wu-Bower, chef e ristoratore di Chicago.

Tuttavia, i contro superano di gran lunga i pro. Quando la lista non è scritta, l’onere della comunicazione ricade interamente sul personale di sala. E descrivere sapori e aromi a parole è una danza complessa. “Si può perdere molto in questa conversazione“, afferma l’educatrice Nicole Muscari. “I consumatori spesso confondono il fruttato con la dolcezza o i tannini con la secchezza“. Senza i punti di riferimento di una lista, anche l’appassionato più esperto si trova a fare un salto nel buio. “Se vedo un Cornas del Rodano settentrionale in carta, so cosa aspettarmi“, continua Muscari. “Senza quel contesto, perdo la capacità di guidare la mia esplorazione, e la scelta diventa più una questione di caso che di decisione. E a volte il caso può essere molto costoso“.

Inoltre, questo approccio rischia di trasformare un gesto di ospitalità in un atto di paternalismo. La dinamica può facilmente ribaltarsi, passando da un “si fidi di me” a un “berrà quello che voglio io”. L’equilibrio si rompe: il personale diventa l’autorità onnisciente e l’ospite si sente messo all’angolo, privato della possibilità di scegliere in autonomia. Invece di incoraggiare la scoperta, si crea una relazione di potere sbilanciata.

Questa pratica impone anche un fardello enorme sul team di sala, che dovrebbe avere una preparazione d’élite. Ma la realtà, come ammette Wu-Bower, è spesso diversa. “Non credo che la maggior parte dei locali raggiunga quel livello di formazione. La sfortunata verità è che molti membri dello staff in questi ambienti stanno semplicemente improvvisando“. Il risultato è un servizio che, dietro una facciata di competenza, può portare a consigli inadeguati e a un’esperienza deludente per il cliente.

Per gli appassionati di vino, questa tendenza è una fonte di crescente frustrazione. Impossibilitati a scorrere la lista in tranquillità, a confrontare regioni, annate e prezzi, sono costretti a un irritante rituale di “chiedi, attendi, spera, assaggia, ripeti”. E se anche un vino di loro gradimento fosse disponibile, potrebbero non venirne mai a conoscenza. Il risultato, in un clima economico in cui i consumatori sono sempre più attenti, è che i locali potrebbero perdere i loro clienti migliori, quelli disposti a spendere di più per una buona bottiglia. Si tratta di una ferita auto-inflitta che nessun ristoratore può permettersi. La soluzione, come suggerisce Michael Goss del The Absinthe Group di San Francisco, è semplice e si basa su un principio fondamentale: l’ospitalità. “Preferirei sempre avere una lista scritta in aggiunta alla conversazione“. Offrire al cliente ogni strumento per fare la sua scelta, che sia un consiglio verbale o una carta da consultare, non è una debolezza, ma la massima espressione del servizio.

Redazione AIS
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