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Vino
31/10/2025
Di Fabio Rizzari

Caso per caso

Vado a pranzo con un amico e ordino un vino obiettivamente spettinatissimo, un Soyl della Cantina Ribelà. La presentazione è preoccupante: colore rosso granato, aspetto del liquido torbidissimo, evidenti depositi scuri filamentosi in sospensione. Un vino naturale che più naturale non si può. Al naso la linea – chiamiamola – stilistica è quella: tisana di erbe amare, tamarindo, Iodosan, con la pungenza tipica di vini dall’acidità volatile non timida (d’accordo, l’acidità all’olfatto non si percepisce sotto forma di etc. etc. etc., ma è per far capire qual è l’atmosfera sensoriale). 
Al palato, pur dimostrandosi in effetti piuttosto scalpitante sul piano della corrente acida, è però molto meno fuori sesto, ha una sua rusticissima grazia e soprattutto rinfresca senza scodate aggressive, troppo vegetali o violente.
Insomma, si beve abbastanza bene e fa il suo dovere di buon compagno della tavola.  
Con l’innocenza di chi ha la coscienza a posto – omnia munda mundis – e il menefreghismo sopraggiunto con l’età, scrivo un post su Instagram descrivendo il vino e il piacere di averlo bevuto, e fine. Senza le solite mani avanti, i distinguo, le premesse e le attestazioni di equidistanza che in questi casi servono a prevenire le obiezioni dei benpensanti.
Tuttavia, inschivabile, arriva la puntualizzazione del paladino dei vini “puliti, senza difetti, civili”, che rimarca con velato compatimento la mia “deriva inarrestabile”. Come se fossi un talebano vinnaturista qualsiasi.

La generalizzazione conduce all’errore

Ennò. Proprio no. Da almeno un quarto di secolo metto decine di mani avanti, propongo decine di distinguo, faccio decine di premesse e decine di attestazioni di equidistanza. E qui mi tocca ricominciare.  
Quindi, un’ennesima volta: la chiave dell’interpretazione corretta e onesta di un vino, e più in generale la chiave di una corretta e onesta interpretazione in qualsiasi altro ambito dell’esperienza umana, è valutare caso per caso. Ogni generalizzazione è a rischio di errori pregiudiziali e deformazioni prospettiche (compresa questa).
Tradotto nel nostro orticello enoico: un vino prodotto da un vecchio contadino a partire da un vitigno autoctono usando i sistemi arcaici tramandati dai suoi avi può essere eccellente, ottimo, buono, scadente o pessimo. Allo stesso modo un vino prodotto da un’azienda ipermoderna le cui quote sono detenute da una multinazionale del cosiddetto beverage, realizzato partendo da reiette uve merlot (però magari sane e mature), nonché affinato nelle reiette barrique (però magari con misura nella presa di legno) può essere eccellente, ottimo, buono, scadente o pessimo.
Valutare caso per caso dovrebbe l’ovvio motto del buon bevitore e del buon critico. E invece ancora oggi, nell’anno del Signore 2025, tocca ribadirlo. 

Fabio Rizzari
Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato come redattore ed editorialista presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, a cominciare da Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS. È relatore per l’Accademia Treccani.

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