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Consorzi e Produttori
10/11/2024
Di Redazione AIS

La grande maturità del Chianti Classico

Vi presentiamo un’analisi di Jancis Robinson, pubblicata sul suo autorevole sito JancisRobinson.com, sulla recente evoluzione del Chianti Classico. La critica inglese sottolinea l’importanza storica dell’introduzione delle Unità Geografiche Aggiuntive (UGA) per la Gran Selezione. Questa mossa, spiega, segna una nuova e matura consapevolezza del territorio e un definitivo ritorno al sangiovese, abbandonando la rincorsa ai vitigni bordolesi. Il risultato è una regione che sta finalmente raggiungendo la sua piena e meritata statura.

Oggi vi proponiamo un’importante riflessione di Jancis Robinson, una delle firme più autorevoli del giornalismo enoico mondiale, pubblicata sul suo portale JancisRobinson.com (e in versione ridotta sul Financial Times). L’articolo, intitolato “Chianti Classico grows up” (Il Chianti Classico cresce), celebra un momento di svolta che molti appassionati attendevano: finalmente, il cuore pulsante della Toscana del vino sta riconoscendo e valorizzando la sua complessa e ricchissima geografia.

La novità centrale, spiega la Robinson, riguarda l’annata 2021: da questa vendemmia, i vini della categoria di punta, la Gran Selezione, potranno fregiarsi del nome del comune che li ha generati. La regione è stata infatti suddivisa in 11 sottozone, chiamate con un acronimo non elegantissimo, UGA (unità geografica aggiuntiva), che ricalcano a grandi linee i confini dei comuni più importanti.

Chiunque abbia guidato tra le colline boscose della regione, scrive la Robinson, sa quanta diversità esista in questo cuore storico della Toscana. Le vigne crescono tra i 300 e gli oltre 650 metri di altitudine, influenzate da una varietà di fattori rari in altre zone vinicole. Ci sono vigneti rinfrescati dalle foreste e altri, come nella famosa “Conca d’Oro” di Panzano, che godono di un’esposizione luminosa per tutto il giorno.

La Robinson nota un cambiamento significativo dettato dal clima: se negli anni ’60, quando la viticoltura divenne un affare serio attirando ricchi investitori, si cercavano deliberatamente le esposizioni a sud per massimizzare la maturazione, oggi, con l’aumento delle temperature estive, i produttori vanno a caccia di siti freschi esposti a nord. Di conseguenza, i terreni a Lamole, il comune più alto e fresco di tutti, sono diventati improvvisamente molto ricercati.

Ma il cambiamento più incoraggiante, secondo la critica, è la rivalutazione del sangiovese, il vitigno simbolo della regione. Dopo il lungo lavoro di selezione clonale del tardo ventesimo secolo, le vigne sono ora mature e capaci di produrre vini “con una vera vita” e un carattere derivato dal vigneto, piuttosto che dalla botte.

Di conseguenza, nota l’autrice, le piccole barrique nuove di rovere francese sono state in gran parte abbandonate nelle cantine del Chianti Classico. Si preferiscono oggi botti più grandi e vecchie, o persino recipienti in argilla o cemento, che lasciano che sia il frutto a parlare.

In parallelo, tramonta l’era dei vitigni bordolesi. Il cabernet e il merlot, che andavano di moda negli anni ’90 mentre i produttori si sforzavano di rilasciare “Supertuscan” sempre più costosi a immagine dei rossi di Bordeaux, stanno perdendo favore a vantaggio di un ritrovato rispetto per il sangiovese. Addirittura, alcuni produttori stanno reimpiantando varietà locali che tradizionalmente facevano parte dell’uvaggio: canaiolo, ciliegiolo e colorino. (Le uve a bacca bianca, un tempo sfortunatamente obbligatorie, sono state abbandonate). La Robinson cita l’esempio della famiglia Anichini di Vallone di Cecione a Panzano, che produce un canaiolo in purezza, definito “il perfetto vino quotidiano del contadino”.

L’articolo riepiloga poi l’attuale piramide qualitativa: l’Annata (minimo 80% sangiovese, 12 mesi di affinamento), la Riserva (stesso uvaggio, 24 mesi) e la relativamente nuova Gran Selezione. Quest’ultima deve contenere almeno il 90% di sangiovese, essere coltivata e imbottigliata nella tenuta, non può contenere cabernet o merlot e richiede 30 mesi di affinamento. È l’unica, da poco, che può specificare la UGA in etichetta.

La Gran Selezione, ricorda Jancis Robinson, ha avuto un “parto difficile”. Inizialmente, i vini selezionati non erano affatto i migliori della regione e la scelta sembrava orientata a favore delle aziende più grandi. Le tensioni tra le centinaia di membri del Consorzio, per lo più piccoli e medi, e i colossi storici come Antinori, Frescobaldi e Ricasoli sono reali.

Tuttavia, prosegue l’analisi, grazie al “tatto e alla determinazione” dell’attuale presidente del Consorzio, Giovanni Manetti di Fontodi, le UGA sono state adottate, dando finalmente nuovo valore alla categoria. La Robinson nota anche segni di miglioramento nei giudizi delle commissioni di assaggio che, come molte altre nel mondo, in passato erano composte da degustatori anziani con visioni “troppo novecentesche”. Ad esempio, alcuni vini eccezionali di Lamole, comprensibilmente pallidi, erano stati inizialmente respinti.

Nonostante i progressi, la Robinson nota come alcuni produttori di spicco preferiscano ancora etichettare i loro vini migliori come IGT Toscana, la vecchia categoria dei Supertuscan. Cita il team di Isole e Olena, una delle tenute storiche, che “piuttosto snobisticamente”, scrive, di non aver bisogno di una UGA sul loro famoso Cepparello (un sangiovese in purezza): “non ci aiuterebbe dal punto di vista del mercato, e comunque sappiamo da dove veniamo”.

La giornalista trova strano che ci sia voluto così tanto per promuovere le origini geografiche, date le rivalità medievali tra i diversi comuni, ancora oggi vive e vegete. Cita l’enologo sudafricano Manfred Ing di Querciabella, che lamenta quanto sia difficile persuadere i produttori ad agire a livello regionale piuttosto che comunale: “saremmo molto più forti insieme”.

Forse, ipotizza, i grandi produttori hanno resistito alla precisione geografica perché permetteva loro di assemblare liberamente uve da tutta la regione. Ma ora, con l’ampiamente lodata annata 2021, una forza come la famiglia Antinori ha sposato il progetto, rilasciando Gran Selezione specifiche per i comuni di Gaiole, San Casciano e Castellina. Questo, sottolinea la Robinson, è un “endorsement” fondamentale per la categoria.

Le regole, prevede la critica, continueranno a modificarsi. Si chiede se il requisito minimo di 13% di alcol, forse istituito per mantenere basse le rese, non sia un peccato, quando alcuni vini di altitudine come quelli di Lamole si fermano a poco più del 12%, pur essendo “pieni di sapore e carattere”. Proprio il tipo di vini che il mercato cerca oggi.

L’articolo si chiude con una nota importante sull’invecchiamento: una degustazione verticale di vini di Panzano del 2015 ha dimostrato che i migliori Chianti Classico non beneficiano sempre di un lungo affinamento in botte, ma possono certamente “evolvere magnificamente per molti anni in bottiglia”, proprio come i grandi Bordeaux.

Redazione AIS
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