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Sommelier e Pro
26/11/2024
Di Redazione AIS

Bottiglie vuote sui social: diario di bordo o pura cafonaggine?

Liz Provencher su VinePair analizza un fenomeno ormai globale: i sommelier che trasformano i social nella vetrina delle bottiglie consumate o appena arrivate. Tra chi lo vive come un atto di trasparenza democratica, mostrando anche vini da 60 dollari, e chi cede alla tentazione di postare solo “unicorni” da migliaia di euro, il confine tra educazione e ostentazione è sottile. E in un mondo accusato di elitarismo, la strategia digitale rischia di diventare un’arma a doppio taglio.

Aprite Instagram un venerdì sera qualunque e date un’occhiata alle Stories del vostro wine bar preferito, che sia nel cuore della Chinatown di New York o tra i Navigli milanesi. Molto probabilmente vi imbatterete in quella che potremmo definire la “parata dei caduti”: una carrellata silenziosa di bottiglie vuote, allineate sul bancone come trofei di caccia dopo una notte di battaglia. Liz Provencher parte proprio da qui, osservando i video del Lei, locale newyorkese alla moda, dove in una singola serata sfilano 36 etichette: si passa con disinvoltura da un Premier Cru di Borgogna a un frizzante giapponese, da uno Champagne di piccoli vigneron a un aligoté tagliente.

Questa pratica, ormai onnipresente anche nei nostri feed italiani, solleva un polverone nella community dei professionisti. Siamo di fronte a una nuova forma di educazione digitale o è solo narcisismo etilico? La questione non è banale: per alcuni sommelier è il modo migliore per raccontare la “profondità di campo” della cantina; per altri, è solo un modo poco elegante per dire “guardate cosa ci siamo bevuti stasera”, alimentando l’immagine di un settore elitario e respingente, fatto di club esclusivi e codici indecifrabili.

Democrazia vs trofei: la lezione di New York (valida anche a Roma)

Matt Turner, wine director del Lei, difende la pratica con un argomento che dovrebbe far riflettere molti colleghi nostrani spesso ossessionati dai soliti grandi nomi. Per lui, mettere nello stesso video un bianco greco da 60 dollari e un Volnay da 350 serve a scardinare le gerarchie. “Non è evidenziare la vendita, ma commemorare l’esperienza”, sostiene. Il messaggio è potente: nel vino c’è spazio per tutti, non solo per chi striscia la carta di credito Gold.

Dall’altra parte della barricata c’è la tradizione delle “bottiglie trofeo”, quei vuoti di Romanée-Conti o Monfortino che spesso arredano i ristoranti come reliquie sacre. A Le Chêne, le bottiglie vuote vengono trattate come una “grande famiglia” allineata sui tavoli. Ma c’è un risvolto pratico innegabile che ogni sommelier italiano, alle prese con carte dei vini cartacee perennemente obsolete, comprenderà bene: Instagram è il menu in tempo reale. Tira Johnson, beverage director, racconta di clienti che arrivano al tavolo non con la lista in mano, ma con lo screenshot di una storia vista la mattina: “Voglio quello che è arrivato oggi”. In un mercato veloce, i social battono la tipografia uno a zero.

Cacciatori di unicorni e il rischio dell’ostentazione

Tuttavia, il confine tra servizio e vanteria è labile. Frank Kinyon, direttore a Philadelphia, mette il dito nella piaga di una tendenza che vediamo spesso anche da noi: la caccia all’unicorno. Quando i profili dei sommelier diventano solo una sequenza di etichette introvabili, rarissime e costosissime, l’effetto non è inclusivo, ma respingente. “È difficile resistere alla tentazione di dire a tutti che stai bevendo qualcosa di raro”, ammette Kinyon, “ma spesso sembra solo arroganza”.

La critica è feroce e condivisibile: postare solo i Grand Cru o le riserve storiche rischia di trasformare il vino in un feticcio per pochi eletti. La proposta? Per ogni “unicorno” da mille like, bisognerebbe avere il coraggio di postare un piccolo produttore sconosciuto, un vitigno dimenticato, una bottiglia accessibile che ha bisogno di quella visibilità gratuita. Genaro Gallo, sommelier nella Sonoma County, chiude con una massima che potrebbe essere appesa in ogni sala degustazione d’Italia: i social devono essere un ponte, non un ponte levatoio alzato. “Più siamo trasparenti e appassionati su ciò che versiamo, più invitiamo le persone nel nostro mondo”. Meno ostentazione, più sostanza: potrebbe essere questo il buon proposito digitale per il 2025.

Redazione AIS
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