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Coltivare e Produrre
10/12/2024
Di Redazione AIS

La vite “eterna” di Napa Valley: il piano di Joseph Phelps per salvare il futuro del vino

In un’intervista esclusiva a The Drinks Business, il CEO di Joseph Phelps svela una strategia radicale per il futuro del brand, ora nell’orbita di Moët Hennessy. David Pearson racconta la sua conversione all’agricoltura rigenerativa dopo un viaggio in Francia: basta suoli arati e nudi, sì a consociazioni con alberi da frutto e radici profonde. L’obiettivo non è solo ecologico, ma economico: produrre vini migliori e raccontare una storia nuova per riconquistare i consumatori di fine wine.

C’è una domanda che assilla i produttori di grandi vini in tutto il mondo, dalla Toscana alla California: come si giustifica il prezzo e il prestigio di una bottiglia in un’epoca in cui i consumi di fine wine calano e il clima diventa sempre più ostile? La risposta, secondo David Pearson, CEO della celebre cantina Joseph Phelps a Napa Valley, non sta nel marketing tradizionale, ma sotto i nostri piedi: nella terra.

In un lungo articolo firmato da Patrick Schmitt per la testata britannica The Drinks Business, Pearson racconta la sua visione, che ha il sapore di una vera e propria crociata agronomica. Arrivato alla guida di Joseph Phelps nel giugno 2023, dopo che la tenuta è stata acquisita dal colosso del lusso Moët Hennessy, Pearson non è certo un novellino: ha guidato per sedici anni un altro gigante di Napa, Opus One. Eppure, è stato un periodo sabbatico tra i due incarichi a cambiargli la prospettiva.

Durante un viaggio in Francia, tra le colline dell’Ardèche, Pearson ha avuto quella che definisce una “epifania”. Osservando un vigneto gestito secondo i principi dell’agro-forestazione e della permacultura, ha visto un suolo scuro, umido, pieno di lombrichi e profumato di vita. Il contrasto con la sua California è stato brutale: a Napa, spiega Pearson, la prassi è ancora quella di piantare leguminose in inverno per poi ararle in estate, lasciando il terreno nudo e spoglio. Il risultato? Quello che in America chiamano dirt, polvere inerte e senza vita, contrapposta al soil, il suolo vivo.

Tornato negli Stati Uniti, Pearson ha deciso che il futuro di Joseph Phelps – considerata un “gioiello della corona” della regione – doveva passare per la viticoltura rigenerativa. Non si tratta di una moda passeggera, ma di una necessità economica e qualitativa. Il mercato del vino di lusso sta soffrendo dopo il boom post-Covid, e per sopravvivere serve un prodotto inattaccabile e una narrazione potente che il consumatore possa abbracciare.

Il piano è ambizioso e scientifico. Niente scorciatoie: Pearson e il suo team hanno passato gli ultimi nove mesi a mappare ogni centimetro della tenuta, misurando umidità, flussi d’acqua, flora, fauna e vita microbica del suolo. Vogliono dati certi per poter dire, tra cinque anni: ecco cosa è cambiato davvero.

La parte più affascinante del progetto riguarda i nuovi impianti. L’obiettivo dichiarato è smettere di espiantare le vigne ogni 15 o 20 anni, come spesso accade nella viticoltura intensiva moderna, per creare piante capaci di vivere e produrre per cento anni. Per farlo, stanno lavorando con un vivaio dello Stato di Washington per sviluppare portinnesti speciali, con un fittone centrale profondo e quattro livelli di radici laterali, pensati per ancorarsi al terreno e resistere a siccità estreme.

Ma non basta: il vigneto del futuro immaginato da Pearson assomiglia in modo sorprendente alla nostra antica coltura promiscua, quella che i contadini italiani praticavano prima dell’avvento della monocoltura industriale. Tra i filari, ogni quattro o cinque viti, verranno piantati alberi da frutto, e i bordi delle vigne saranno protetti da siepi naturali. Solo dopo tre anni di assestamento di questo ecosistema complesso, si procederà all’innesto in campo delle varietà desiderate.

È interessante notare come questo approccio “rivoluzionario” per la California trovi una sponda solida in Europa. Pearson cita esplicitamente Château Cheval Blanc, altra proprietà di Moët Hennessy a Bordeaux, come esempio magistrale di policoltura. Per noi italiani, questo suona familiare: stiamo riscoprendo che la biodiversità non è un orpello poetico, ma l’assicurazione sulla vita del vigneto. Se in Italia il dibattito tra chi vuole il vigneto “pettinato” e chi lascia l’inerbimento integrale è ancora acceso, la direzione indicata da Napa sembra dare ragione a chi cerca un ritorno alla complessità naturale.

Pearson è convinto: non si può vivere di rendita sulla storia passata del fondatore Joe Phelps. Bisogna guadagnarsi il futuro, e questo passa per un atto di umiltà agronomica. Se onori i desideri della vigna, conclude, lei ti ricompenserà con vini che hanno un’anima, e non solo una tecnica perfetta.

Redazione AIS
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