ll succo del discorso, sigillo tra arte e vino
Presso la sede di AIS nazionale a Milano è stata presentata la collezione di arte contemporanea, con opere di Tommaso Corvi-Mora, Michele Guido e Loredana Longo, in un progetto curato da Irene Biolchini.
“La perfezione si ottiene non quando non c’è nient’altro da aggiungere, ma quando non c’è più nulla da togliere”. Così scriveva Antoine De Saint-Exupéry e mai come oggi le sue parole scrivono la partitura di un incontro che ruota intorno a un rapporto complesso e affascinante al tempo stesso: quello tra arte e vino. L’iconografia sentimentale del vino è stata protagonista di una tavola rotonda moderata da Roberto Lacarbonara, giornalista di Repubblica e storico dell’arte, con la presenza della relatrice e storica dell’arte a sua volta Federica Spadotto. Il saluto iniziale di Marco Aldegheri, Vicepresidente AIS, sintetizza il nuovo dialogo tra il mondo dell’arte e quello del vino: una neonata collezione d’arte in capo all’Associazione firma un patto significativo e fisiologico al tempo stesso, dove i contesti ambientali, paesaggistici ed enologici sono le direttrici di un crossing che ha radici antichissime: “Abbiamo sempre più bisogno di parlare di vino attraverso un linguaggio che, nell’essenza e nell’anima, vada oltre quello che professionalmente raccontiamo”. Prosegue Camillo Privitera, consigliere nazionale e Responsabile Area Eventi di AIS: “Vogliamo essere promotori e testimoni di una cultura del vino per ciò che potrà rappresentare domani. La curiosità e la voglia di sperimentare e di esplorare nuovi ambiti e registri linguistici ci portano, attraverso l’arte contemporanea, a raccontare il paesaggio vitivinicolo nazionale. Il vino parla così anche ai più giovani e testimonia una cultura più ampia”.
Una nuova dimensione
Si scaldano i motori, la curiosità è nell’aria e in sala i partecipanti sono trasferiti in un’altra dimensione: il tempo sembra sospeso. Vinarte: vino e arte, nella crasi due mondi che finiscono per con-fondersi e amplificare l’universo semantico che esprimono. Si punta al centro, come in uno di quei grandi paglioni da tiro con l’arco: si toglie quello che non serve, per raggiungere il cuore. Non con il lancio di una freccia, ma attraverso un percorso che, a poco a poco, elimina i cerchi più esterni, ovvero sovrastruttura, appesantimento e orpello. Il bersaglio vero è l’essenza, ciò che rimane dopo l’eliminazione di quello che zavorra il pensiero. Al termine resta uno scrigno di contenuti di altissimo profilo. Un percorso in cui arte e vino sono uno strumento di incontro e racconto interiore in una visione olistica, partendo sempre da noi stessi per arrivare agli altri. Roberto Lacarbonara: “È importante indagare il senso e la cornice di questa operazione da parte di AIS. Non si tratta di avviare una raccolta di rappresentazioni figurative, ma di dare spazio a paesaggi antropologici, culturali e anche politici plasmati dagli artisti. L’arte a volte può essere scomoda: può provocare, perché ha un’assoluta osservazione critica ed è costantemente vitale”.
Il succo del discorso
Se pensiamo alla storia dell’Osteria delle Tre Rane, nata sul Ponte Vecchio di Firenze dall’amicizia tra Leonardo Da Vinci e Botticelli, ben comprendiamo quanto il legame tra enogastronomia e arte sia viscerale, profondo e, soprattutto, Made in Italy. Federica Spadotto, storica dell’arte, si interroga su cosa sia il vino, e in un percorso che va da Euripide alla pop-art di Andy Warhol, passando per Van Gogh, de Chirico e Miró, ne sottolinea la molteplicità di rappresentazioni e di significati: mito, religione, gioia, tragedia contemporaneità, solitudine, potere, silenzio, follia, forza, sconfitta, totem. Vino ed emozioni scavano nel nostro immaginario, in una corrispondenza tra espressioni che ratificano l’alleanza tra uomo e natura. Irene Biolchini, storica dell’arte, docente e curatrice del progetto “Il succo del discorso”, racconta le ragioni che l’hanno spinta a coinvolgere i tre artisti Tommaso Corvi-Mora, Michele Guido e Loredana Longo. Hanno registri linguistici e materiali differenti, ma un comune denominatore: il rapporto continuativo con il paesaggio, in un legame profondo con la terra e con la materia. Irene è anche autrice di un podcast in cui ognuno degli artisti parla dell’opera entrata in collezione e di un vigneto tipico. Attraverso un QR code potrà essere impiegato nelle cantine e ascoltato durante i percorsi di visita nelle tenute: il racconto privato e creativo che ha dato origine all’opera propone così una lettura dei territori che non si limita al racconto, ma che unisce geografia e memoria, storia e arte contemporanea.
La contaminazione dell’arte
La sede AIS diventa una agorà, un luogo dinamico di incontri, conoscenza e scoperte: il centro della polis greca, il luogo dove si passa e ci si ferma, dove si ascolta e si racconta. Luogo sacro ma anche di festa, perché, dove c’è vino, la convivialità non può mai mancare. Loredana Longo, catanese di origine e letteralmente stregata dall’Etna, ha presentato Victory, una scultura di rigenerazione, che ha unito lo scarto di cemento e cocci di vetro. Vetri rotti che diventano nuova materia da plasmare. Un vetro in cui soffia una vita nuova: l’artista, che vive e lavora a Milano da molti anni, ricorre a molteplici tecniche e materiali per la realizzazione delle sue opere, figlie di visioni e suggestioni in cui alla distruzione dell’oggetto segue la sua ricostruzione. Vita e morte si sfiorano più e più volte, e la provocazione non è la scelta tra le due, ma la sottrazione da un copione già scritto. Eversione nella sua accezione etimologica di abbattere e distruggere, ma anche di spingere “fuori” e di rovesciare. Arte eversiva e sovversiva, dove “nessuno vincerà, ma tutti ci feriremo”, secondo le parole dell’artista: “Non c’è vittoria che non sia un male reciproco”. Tommaso Corvi-Mora ha presentato un’installazione di cinque vasi-scultura, che si ispira allo psyktèr, un antico vaso di origine greca a struttura bulbacea, usato per refrigerare il vino. L’artista ha iniziato il suo percorso da giovanissimo e nel 1995 ha aperto la prima galleria a Londra. Nel 2009 si innamora della ceramica, ammaliato dal fascino dei vasi dell’antica Grecia e decide di mettere al centro della sua attività questo materiale. Oggetti veri da toccare, opere d’arte che ci riportano al quotidiano, in grado di unire passato e presente in un dialogo fatto di gesti. Michele Guido, pugliese di nascita e milanese nel percorso di studi e nella vita professionale, ha presentato tre opere: foglie, di pisello e di quercia, e un alveare. Visioni “micro” su uno sfondo “macro”, quello della natura. Elementi che interagiscono con gli insetti che, con la loro azione, cambiano aspetto ed essenza delle piante stesse: l’eternità è nella metamorfosi, nel cambiamento, nel rapporto dinamico ed evolutivo con un altro essere vivente. Mezzi e materiali diversi, mondi solo apparentemente lontani, in cui l’artista potenzia il legame tra architettura, storia e immagine. I “garden project” di Michele Guido sono una matrice a tante entrate, un crocevia di percorsi nel mondo vegetale, nella ricerca scientifica, nella geografia del presente, nella purezza e nella geometria delle linee e, infine, nella memoria dei luoghi. Esposizioni che rompono il senso del limite e che si configurano come indagini, non necessariamente per trovare le risposte, ma per porsi le domande. Le opere di Michele si mimetizzano all’interno del paesaggio, non imponendo il proprio “io”, ma sciogliendosi nel paesaggio: una visione non antropocentrica ma orizzontale e sempre inclusiva. Il vino non collide mai con questi messaggi: in realtà li amplifica, come strumento di unione tra visione e realtà, nella capacità di esprimere territori e sentimenti e nella sua connaturata biodiversità stilistica, inclusiva e trasversale. “No limits” è la parola d’ordine: perché in ogni opera d’arte c’è molto di più di ciò che vediamo, così come in un calice di vino.
La degustazione
Rosso passione, rosso Ferrari, rosso sangue. Rosso come solo il vino sa essere. E ancora: bollicine, il momento sparkling per eccellenza. Vivo, struggente, energetico, il sorso è una biglia su un piano inclinato, che prende velocità al palato fino a librarsi e a liberarsi nell’anima. Benessere e taumaturgia del calice: al termine dell’evento la degustazione dei vini di Castello di Albola e delle bollicine di Oltrenero, in un immaginario asse tra Toscana e Oltrepò. Il borgo medioevale di Castello di Albola è immerso nelle colline del Chianti, oggi di proprietà della famiglia Zonin. 900 ettari di cui 125 vitati, su un territorio vocato di forti pendenze e con altitudini che vanno dai 350 ai 650 metri s.l.m. Un microclima unico, particolarmente vocato per la produzione di vini di eccellenza. Oltrenero, che fa sempre capo alla famiglia Zonin, è una realtà importante dell’Oltrepó Pavese, interprete della cultura del Metodo Classico da uve pinot nero, che qui ha trovato un terroir idoneo per esprimere il meglio di sé, al punto tale da essere considerata un’uva nativa. Una bacca nera vinificata in bianco, ricca di bellezza e di storia, struggente nella sua eleganza. 104 ettari di verde, di cui 84 vitati: spumanti eleganti ed essenziali, con un packaging molto accattivante. Infine il prestigio dei grandi vini rossi, come il Chianti Classico Riserva e il Santa Caterina Gran Selezione. Da un lato il sangiovese, che fa del succo un vino straordinario, e dall’altro il pinot nero, mai stanco di illuminare il calice con un perlage di rara intensità e persistenza. Tutto torna, e festa sia.
Vinarte ha percorso strade che ancora non esistono, semplicemente per rendere accessibile il percorso a chi verrà dopo: la curiosità è il segreto, in totale assenza di pregiudizi o di stereotipi di genere. Vinarte fa bene e regala benessere: il tesoretto a fine serata che ognuno porta via con sé è prezioso. E ha anche un buon profumo. Di quelli che restano sulla pelle.