Alla scoperta del Mediterraneo
Palermo, Istanbul, Granada, Atene, Damasco, Cipro, Beirut, Rabat, Gerusalemme. Questo è il Mediterraneo, un mare circondato dalle più belle città del mondo. Con quelle città nei secoli ha dialogato, ma si è anche scontrato. Ma anche gli scontri hanno portato buoni frutti. Le civiltà si sono susseguite, e hanno lasciato alle future generazioni preziosi patrimoni artistici e architettonici, opere letterarie che hanno segnato la storia dell’umanità, e un grande mescolamento di religioni e culture, a partire dalle lingue. Conosciamo bene le parole che l’italiano ha mutuato dal greco: democrazia (δημοκρατία), retorica (tέχνη ῥητορική), enologia (“οίνος” vino + “λόγος” studio), crisi (κρίσις). Conosciamo meno le parole di derivazione araba: limone (lymun), albicocca (al-burqūq), zucchero (sukar), riso (’arz). Quante volte, a Venezia, siamo andati a visitare il Fondaco dei tedeschi o quello dei turchi, c’è pure quello dei persiani. Probabilmente pochi sanno che fondaco è l’italianizzazione dell’arabo fundūq, che significa albergo, locanda. A Genova ai marinai che si imbarcavano si diceva “scialla”: l’espressione richiama l’arabo inshaAllah, a Dio piacendo. E a Dio piacque che anche le religioni si mescolassero. Le carovane che, dal IV all’XI secolo d.C. intrapresero la rotta trans-sahariana, che attraversava da est a ovest le immense distese del deserto nordafricano, divennero veicolo di diffusione dell’islam tra le popolazioni berbere.
Crocevia di popoli e di culture
Il Mediterraneo, chiamato dagli antichi Romani Mediterraneus (in mezzo alle terre), è situato fra Europa, Nordafrica e Asia occidentale. Collegato all’oceano Atlantico dallo stretto di Gibilterra, al mar Rosso e, quindi, all’oceano Indiano, dal canale di Suez, all’Asia dallo stretto dei Dardanelli, è stato nei secoli al centro del mondo. Ha visto transitare i profumi della Palestina, il ferro e i cavalli dell’Anatolia, i cereali e il papiro d’Egitto, il rame di Cipro, l’avorio e l’oro d’Africa, l’argento e lo stagno di Spagna, le stoffe tinte di porpora, vasi e collane di vetro, i tappeti, la seta, proveniente addirittura dalla Cina, di cui sappiamo soprattutto grazie al “Milione”, il libro scritto dal mercante veneziano Marco Polo, di cui quest’anno ricorrono i settecento anni dalla morte. È il 1271 quando Marco, il padre Niccolò e lo zio Matteo, partono da Venezia, attraversano la Terrasanta, laTurchia, la Persia, l’Afghanistan e il Deserto del Gobi e, dopo quattro anni, nel 1275, giungono nel Catài, nella Cina del nord, alla corte di Kublai, Gran Khan dei Mongoli, dove restano diciassette anni. Per lungo tempo, il Mediterraneo fu anche al centro della produzione di sale marino, totalmente controllata dalla Repubblica di Venezia, la cui egemonia marittima rimase incontrastata tra il XIV e il XV secolo.
Cannella, noce moscata, chiodi di garofano, pepe, zafferano e zenzero. Oggi li troviamo in ogni supermercato. Li utilizziamo nelle nostre pietanze. Sapori e odori entrati nell’uso quotidiano. Arrivarono dall’Oriente tra il XV e il XVII secolo, attraverso la Via delle Spezie che collegava l’Europa all’India e all’Indonesia, fino alle isole Molucche, le cosiddette Isole delle Spezie. Il pepe ebbe così tanto valore che, nella Firenze rinascimentale, veniva usato come moneta.
Una storia che parte da lontano
Quei prodotti si diffusero grazie a uomini avventurosi: commercianti, cavalieri, missionari. È una storia appassionante, che inizia nel Neolitico, e che deve molto ai fenici, abili navigatori, capaci, intorno al 1.100 a.C., di coprire i 4.000 chilometri di distanza dalla loro città di origine, Tiro, nel Libano, a Cadice, in Spagna, ai greci e ai romani. Ma è anche una storia che si confonde con la leggenda. Il naufrago Ulisse viene accolto dalla ninfa Calypso nell’isola di Ogigia, identificata oggi con Gozo nell’arcipelago maltese. La figlia di Atlante trattiene per sette anni il re di Itaca, ma poi lui torna da Penelope. Donna innamorata e abbandonata, forse cadde in un abisso di depressione. Chissà. Fatto sta che il punto più profondo del Mediterraneo, a sud-ovest del Peloponneso, si chiama proprio abisso di Calypso, e si trova a ben 5.270 metri. Fosse, canyon e vulcani caratterizzano il fondo del “mare nostrum”, che ha una superficie di circa 2,51 milioni di chilometri quadrati e uno sviluppo costiero di 46mila chilometri, dove vivono 522 milioni di persone. Il Mediterraneo registra tra il 4 e il 18% della biodiversità marina globale. Ma si tratta di un ecosistema reso fragile dall’innalzamento della temperatura globale e dall’antropizzazione: le sue acque si stanno scaldando molto velocemente, i pesci sono soffocati dai rifiuti plastici e molte specie sono a rischio estinzione.
Protagonisti ulivo e vite
Nei Paesi mediterranei oggi vi sono più di 750 milioni di ulivi, pari al 95% di quelli presenti nel mondo, e forniscono 2/3 della produzione globale di olio. E il 60% della produzione mondiale viticola è mediterranea. Chiotico Krasero dell’isola di Chios, Grecia, Aglianico del Vulture della Basilicata, Taurasi Poliphemo del poeta enologo Luigi Tecce, Cannonau di Sardegna, Garnata andaluso, Zibibbo Serragghia: anche nei vini si percepisce la relazione tra Oriente e Occidente. Lo zibibbo è sia il nome del vitigno a bacca bianca che del vino che se ne ottiene (conosciuto anche come Moscato d’Alessandria). Ha una storia millenaria. Intuendo che i venti, i terreni vulcanici e le alte temperature erano condizioni ideali, gli arabi trapiantarono a Pantelleria, in Sicilia, Calabria, e nella zona dei Pirenei, le famose uve zibibbo (in arabo: Zabīb, ovvero “uvetta” o “uva passita”) per produrre uva passa.
Un mare, tante destinazioni
Per me Mediterraneo è soprattutto ricordi di vent’anni di viaggi. Betlemme, 2011. Ramón, il nostro autista palestinese, ci invitò a cena a casa sua in occasione dell’imminente matrimonio della figlia. Mancavano quattro settimane, ma i festeggiamenti erano già iniziati. Tra il prima e il dopo cerimonia – ci raccontava – avrebbe avuto sugli ottocento invitati. Festa grande, insomma. E, siccome rifiutare è offensivo, mi ritrovai a ingurgitare in una sola sera più o meno quello che normalmente mangio in tre giorni. La tavola era imbandita con ogni ben di Dio. Puoi iniziare da dove vuoi, dal maftul, dall’hummus o dal makluba. E magari ti ritrovi a mezzanotte a mangiare spiedini di carne, peraltro tenerissimi, perché lasciati macerare per giorni. Che felicità per lui e per la sua famiglia vedere gli ospiti soddisfatti e… assai rimpinzati! Girovagando tra Africa sub-sahariana e Medio Oriente, ho scoperto che il mondo è proprio piccolo. La cannella a casa mia, in Veneto, c’è sempre stata, anche in tempi – come si dice – non sospetti, anche quando le contaminazioni erano di là da venire. Da sempre mamma cucina gli gnocchi con l’uvetta nell’impasto e li condisce con zucchero e cannella. Una ricetta della cui origine non è dato sapere. Sembra che esista solo a casa mia. Forse il mio destino di globetrotter – o, come dico io, scherzando sul mio cognome, gobbtrotter – era già scritto.