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Tecnica di Degustazione
24/09/2024
Di Redazione AIS

A lezione di “topo”: viaggio nel difetto che divide i degustatori

Un difetto sempre più diffuso con l’avvento dei vini naturali, che molti professionisti non riescono a percepire. Ma una nuova ricerca dimostra che imparare a riconoscerlo è possibile, come racconta la Master of Wine Tone Veseth Furuholmen.

Il “sapore di topo” è un difetto del vino di origine microbica, percepibile solo in bocca e non al naso, che sta diventando un argomento sempre più discusso. Una recente ricerca per il Master of Wine sfata il mito secondo cui il 30% dei professionisti non sarebbe in grado di rilevarlo. Lo studio suggerisce infatti che la sensibilità a questo off-flavour può essere “indotta” e allenata attraverso l’esposizione a esempi chiari.

Tutto è iniziato con una domanda surreale in una cantina sull’Etna, nel giugno del 2017. “Vuoi assaggiare il peggior caso di ‘topo’ che abbia mai sentito?”. A parlare, come racconta la Master of Wine Tone Veseth Furuholmen in un suo recente articolo, era un produttore di vino naturale. Un’offerta bizzarra e intrigante. All’epoca, il difetto era un concetto quasi astratto, molto discusso con la diffusione dei vini a basso intervento ma raramente identificato con certezza. Quell’assaggio, invece, fu un’esperienza violenta e indimenticabile: un sapore rivoltante di gabbia di roditore, latte cagliato e calzini sporchi, con un retrogusto così intenso da sembrare un tormento. Quel momento, racconta la Furuholmen, segnò una svolta: il “topo” non era più un’idea, ma un ricordo sensoriale preciso.

Questa esperienza è diventata il punto di partenza per la sua ricerca finale del Master of Wine, spinta da una crescente preoccupazione nel settore. Se davvero, come si diceva, circa il 30% dei professionisti fosse “anosmico” a questo difetto, le implicazioni sarebbero serie: produttori che imbottigliano e vendono inconsapevolmente vino difettoso e sommelier che lo consigliano, con un conseguente danno economico e di reputazione. Anche se un consumatore non esperto potrebbe non identificare il problema, la sua percezione della qualità ne verrebbe comunque influenzata negativamente.

La scienza dietro la sensazione

A differenza di altri difetti, il “sapore di topo” è quasi impossibile da percepire all’olfatto. La causa sono tre composti specifici (ATHP, ETHP e APY) che, al pH basso del vino, non sono volatili. Diventano però percettibili quando il vino entra in contatto con la saliva, che ha un pH più alto. È per questo che la sensazione emerge solo sul palato e nel retrogusto, a volte anche 20 secondi dopo la deglutizione. I descrittori variano con l’intensità: a livelli alti si parla di urina di topo e carne in decomposizione, mentre a concentrazioni più basse può manifestarsi con note di popcorn, riso basmati scotto, sentori di terra o semplicemente con un profilo fruttato stranamente spento.

Imparare a riconoscere il difetto

La ricerca della Furuholmen ha dimostrato che la presunta anosmia è in gran parte un mito. Su 80 professionisti del vino testati, solo uno non è stato in grado di percepire il difetto dopo ripetute esposizioni. La stragrande maggioranza, invece, ha mostrato di poter “indurre” o allenare la propria sensibilità, anche solo dopo pochi assaggi di vini chiaramente difettosi. Il problema, quindi, non sembra essere una vera e propria incapacità fisiologica, ma piuttosto una mancanza di formazione: il “sapore di topo” è assente dalla maggior parte dei programmi didattici sul vino, e i professionisti semplicemente non sanno cosa cercare.

È un percorso simile a quello che molti compiono con il sentore di tappo: con il tempo e l’esperienza, la capacità di rilevarlo aumenta e la tolleranza diminuisce. Comprendere i propri “punti ciechi” sensoriali è essenziale. La Furuholmen conclude con un aneddoto eloquente: un sommelier in un ristorante di Londra le consiglia con entusiasmo un Aleatico, descrivendolo come “incredibilmente fruttato”. Al suo palato, però, il vino sapeva di vomito e topo. I loro descrittori non potevano essere più diversi. Un’esperienza che, oltre a rovinare una cena, mina la fiducia nel professionista e nel locale stesso.

Redazione AIS
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