A Pompei arriva un nuovo progetto

Il Parco Archeologico e il gruppo Tenute Capaldo insieme per ricreare la viticoltura romana con vitigni autoctoni, metodi biodinamici e anfore, offrendo un viaggio nel tempo ai visitatori.
Quando Pompei pulsava di vita prima della tragica eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., il vino era una componente essenziale della quotidianità, presente nelle taverne, nei ristoranti e nei vigneti che punteggiavano la città. Oggi, come racconta la giornalista Olivia Nolan, la viticoltura sta per tornare a vivere nel cuore del sito archeologico più famoso del mondo, grazie a una significativa partnership siglata tra il Parco Archeologico di Pompei e il rinomato gruppo vinicolo irpino Tenute Capaldo.
Il gruppo Tenute Capaldo, che include eccellenze come Feudi di San Gregorio in Campania e Basilisco in Basilicata, ha da sempre tra i suoi valori fondamentali la tutela e la valorizzazione dei vitigni storici dell’Italia meridionale. Il progetto pompeiano, spiega Nolan, prevede di reimpiantare vigneti proprio dove sorgevano quelli antichi, riportando in vita un paesaggio produttivo sepolto per secoli. Il gruppo prenderà inoltre in gestione circa un ettaro di terreno (corrispondente ai 2.5 acri menzionati nell’articolo originale) già vitato e coltivato per anni dalla storica cantina Mastroberardino nell’ambito del progetto “Villa dei Misteri”. L’obiettivo finale è di arrivare a coltivare un totale di circa 6 ettari (15 acri) all’interno dell’area archeologica.
L’approccio mira alla massima autenticità storica e agronomica. Tenute Capaldo metterà a disposizione la propria esperienza sui vitigni antichi e sulla gestione di vecchie vigne, adottando pratiche rigorosamente biologiche, sostenibili e biodinamiche. Si utilizzeranno sistemi di allevamento tradizionali come le pergole, che garantivano una protezione solare naturale alle uve, proprio come nell’antichità romana. Nei nuovi impianti troveranno dimora vitigni autoctoni campani come per’e palummo (noto anche come piedirosso), coda di volpe, caprettone, aglianico, falanghina, fiano e greco. Seguendo l’uso romano della coltivazione promiscua, le viti saranno piantate accanto a legumi (come le lenticchie) e cereali, ricreando così l’antica policoltura che caratterizzava le fattorie pompeiane.
Per Antonio Capaldo, presidente di Tenute Capaldo, questo progetto va oltre la semplice produzione vinicola. Si tratta di considerare il “vino come manufatto culturale, non solo come qualcosa da bere“, afferma nell’intervista riportata da Nolan. È un’iniziativa per “creare qualcosa che viaggi nel tempo“. “Pompei è incredibile“, ha dichiarato Capaldo a Wine Spectator, “ci permetterà di viaggiare nel tempo per scrivere nuove pagine importanti per il mondo del vino, e per quello italiano in particolare“.
Ma quando potremo degustare il vino nato all’ombra del Vesuvio? Sebbene sia prevista una vendemmia celebrativa inaugurale già quest’anno, il 2025, per le prime bottiglie destinate al mercato bisognerà avere pazienza. Le prime annate commerciali, spiega Capaldo, non arriveranno prima del 2028-2030, con l’intenzione di produrre sia vini rossi che bianchi.
Un aspetto affascinante del progetto è la volontà di rendere l’intero processo parte dell’esperienza di visita. Si prevede infatti di creare delle cantine all’interno del parco dove il pubblico potrà osservare da vicino le antiche tecniche romane di pigiatura delle uve e di affinamento del vino, probabilmente in anfore. “La cantina all’interno del parco è l’altra parte meravigliosa di questo progetto“, ha spiegato Capaldo. Non appena la produzione raggiungerà una certa capacità (50-60 per cento), verrà allestita un’area di pigiatura vicino ai vigneti. “Utilizzeremo una struttura a cupola esistente appena fuori dal parco per l’affinamento in anfore, che saranno poi esposte all’interno dell’area archeologica“, aggiunge. “Quindi, tra due o tre anni, parte della visita a Pompei sarà dedicata interamente al vino. È un’opportunità incredibile, considerando gli 8 milioni di persone che visitano il parco ogni anno“.
Il direttore del Parco Archeologico, Gabriel Zuchtriegel, sottolinea come i vigneti rinnovati serviranno a “raccontare la storia della città antica e a farla conoscere sotto diversi aspetti“, valorizzando l’intreccio profondo tra Pompei e la sua storia vitivinicola. Una visione condivisa da Capaldo: “vogliamo far rivivere Pompei non solo come luogo di ricerca e conoscenza, ma anche come centro di produzione e scambio, ripristinando le sue radici storiche“. Un viaggio affascinante tra archeologia e viticoltura, destinato a regalare nuove emozioni ai visitatori e, tra qualche anno, nuove etichette agli appassionati di vino.