Alfio Longo, uno chef affermato in USA di fronte ai dazi

Intervista al responsabile Beverage & Food di un grandioso hotel di Las Vegas, in cui ci spiega cosa potrebbe accadere con l’imminente applicazione delle maxi imposte volute dal Presidente statunitense Donald Trump. Inoltre, abbiamo sentito anche la voce di alcuni vignaioli.
“In media, dalla nostra cantina escono ogni mese vini per 350 mila dollari. Il cinquanta per cento sono nettari italiani, i restanti francesi e americani e una minima parte dal resto del mondo”. Da gennaio, lo chef Alfio Longo ha assunto il ruolo di vicepresidente della Divisione Beverage & Fooddi The Rio Hotel & Casino di Las Vegas, un colosso da 2500 camere aperto nel 1990 (un luogo storico per gli Usa), acquisito nel 2019 dalla Dreamscape Companies (azienda del settore edilizio alberghiero) e di recente restaurato con un investimento da 340 milioni di dollari. “Da capitale del gioco d’azzardo, negli anni Las Vegas ha subito una grande trasformazione, puntando prima sull’intrattenimento, poi sulle offerte per le famiglie e oggi pure sullo sport”, dice Longo. “Céline Dion canta e vive qui, musical e spettacoli circensi invitano i turisti a soggiornare per un intero fine settimana e, un anno fa, la città ha ospitato il Superbowl. Da alcune stagioni, vi fa tappa anche il Mondiale di F1. Las Vegas si presenta come una città viva, sempre in movimento e al passo coi tempi”.

Accento toscano, Longo si è formato ai fornelli di ristoranti prestigiosi a New York (Le Cirque), Macao e nei resort caraibici. Oggi, con un nuovo ruolo, deve fare i conti con lo spettro dei dazi minacciati da Trump. Vini, mozzarelle, prosciutti. I prodotti con marchio “Made in Italy” rischiano di rarefarsi sulle tavole dei ristoranti a stelle e strisce con un danno importante per l’export tricolore, ma anche per il palato dei clienti d’Oltreoceano.

Le prime reazioni
Come stanno reagendo i ristoratori e in generale i businessmen americani che da un giorno all’altro potrebbero non disporre più della materia prima fonte di prestigio, ricchezza e credibilità?
“I dazi annunciati non sono ancora entrati in vigore – dice Longo – Crediamo che si tratti di strategia da parte di Trump e seguiamo speranzosi le negoziazioni con l’Europa. Imporre dazi per il 200% lo reputo improponibile”.
Questo braccio di forza tra Usa ed Europa ha sorpreso i manager americani del settore alimentare?
“Non del tutto. Era scontato che, tornato alla Casa Bianca, Trump avrebbe cambiato molte cose”.
Tu e i tuoi colleghi come state vivendo questo momento storico?
“Teniamo un atteggiamento proattivo, intendo dire che mettiamo in atto il nostro spirito di iniziativa sia per quanto riguarda il vino sia il cibo. Nel primo caso, stiamo valutando alternative guardando con interesse alla migliore produzione interna americana soprattutto etichette dalla Napa Valley. E non solo. Personalmente, sono in trattative con un vinicoltore italiano che produce in Argentina, Antonio Morescalchi. Co-fondatore di Altos Las Hormigas produce vini da uvaggi Malbec che hanno ricevuto apprezzamenti importanti a livello internazionale. Ci siamo conosciuti anni fa a New York e da allora siamo rimasti in contatto”.
In generale, i ristoratori americani stanno pensando di ridurre o persino annullare gli ordini futuri sui vini italiani ed europei?
“Non necessariamente. Ci sono prodotti insostituibili. Il cliente più raffinato e informato è disposto a pagare pur di avere la migliore qualità”.
Chi sarà investito dal terremoto
Quindi, se terremoto sarà, che tipo di imprenditori investirà?
“Abbiamo capito che alcuni brand importanti, con una storia alle spalle e riconosciuti sul mercato internazionale, potranno andare avanti anche se si alzeranno i prezzi. Altri invece, soffriranno e a quel punto li rimpiazzeremo sia con etichette prodotte dal mercato domestico sia con etichette dal Sud America. Tuttavia, un “fine restaurant” di alta qualità, che propone esperienze degustative esclusive, starà attento a modificare la propria carta dei vini”.
Quanto è importante la cantina per Rio e per i suoi ristoranti interni, Canteen Food Hall, Lapa Lounge, Luckley Tavern & Grill per citarne alcuni?
“La nostra cantina, in stile italiano, è uno dei grandi segreti di Las Vegas. Ḕ fondamentale che sia sempre fornitissima. Conserviamo diecimila bottiglie per un valore di dieci milioni di dollari. In base agli eventi in calendario, possiamo vendere vini fino a mezzo milione di dollari al mese. Fino ad oggi, quelli italiani sono i più richiesti ed apprezzati”.
Bianchi, rosé o rossi?
“Prevalgono i rossi”.
In abbinamento col cibo?
“Sì. I nostri clienti si lasciano guidare e amano fare il cosiddetto “pairing”, abbinamento cibo e vino. Di recente, abbiamo organizzato una cena da mille dollari a testa, cinque portate e cinque vini. In questo caso, provenivano da una stessa cantina californiana. Di base, una cena con tre portate e due vini si aggira sui centoquaranta dollari a testa”.
Che tipologia di ristoranti prediligono i visitatori?
“Las Vegas richiama una clientela internazionale. Un turista che resta tre giorni fa prima di tutto tappa in una steak house, per gustare la classica bistecca T-bone da oltre un chilo e mezzo. Come bevanda sceglie in genere un vino rosso”.
Quanto fattura una steak house a Las Vegas?
“Le più piccole dai quindici ai diciotto milioni di dollari l’anno. Quelle più grandi, con oltre cento coperti per turno, anche trenta milioni di dollari”.
Anche se solo annunciati, i dazi stanno già avendo ripercussioni sui mercati, compreso quello americano. I distributori potrebbero trovarsi con limitata materia prima, costretti a reinventarsi. Come stanno reagendo?
“Al momento, stanno facendo ordini importanti per rinvigorire le scorte nei loro magazzini”.
Quindi, per un ristoratore è importante avere una buona relazione con i propri distributori di riferimento, giusto?
“Certo, è fondamentale”.
Le nuove tendenze
Quali le nuove tendenze “drink” negli Usa?
“Il vino rosso prevale sempre. Poi, dipende dalle situazioni. Las Vegas è una città che accoglie visitatori da tutto il mondo e quindi vi troviamo una cucina internazionale. Di norma, la cena è preceduta da un cocktail. Il gin sta guidando il trend, ma il mercato è in movimento. Ieri, in un supermercato, ho trovato la “Texas vodka”, la vodka fatta localmente. Quindi, anche i produttori americani di distillati iniziano a muoversi. Lo stesso per la tequila. La qualità, comunque, vince sempre come pure la credibilità di un grande marchio”.
Ci sono azioni di dissenso verso la politica di Trump tra i businessmen a stelle e strisce del settore alimentare-bevande?
“Al momento no. Nessuno è sceso in piazza soprattutto qui a Las Vegas dove Trump è venuto più volte e la nuova amministrazione ha tolto la tassazione sulle “tips”, le mance. Qui si lavora pochissimo col “cash”, il denaro liquido. I pagamenti avvengono attraverso carta di credito, quindi sono tracciabili. La mancia viene indicata sullo scontrino e le tips vengono calcolate ogni giorno a fine turno di lavoro”.
Cosa dicono i produttori
Anche se solo annunciati, i dazi di Trump stanno producendo conseguenze tra i vignaioli italiani. “Il mercato Usa per Ruffino 1877 vale oltre 60 milioni di dollari l’anno, pari al 50% del nostro fatturato”, dice Sandro Sartor, presidente della storica azienda fiorentina. Parla da Dusseldorf, durante la fiera internazionale ProWein (chiusa il 18 marzo). L’atmosfera tra gli stand? “Tanti timori, tanta incertezza per i problemi legati all’attuale viticoltura e per quanto sta accadendo con Trump. La speranza è che i dazi annuncianti siano solo una provocazione, una strategia”, dice Sartor. “Non ci aspettavamo questo tipo di misura. Eravamo pronti per un aumento del 25%, non oltre. Siamo dunque molto preoccupati. Stiamo interagendo con le Istituzioni per chiedere con urgenza un negoziato a livello europeo”. Una spada di Damocle che lascia col fiato sospeso. Incerto il futuro, incerta la programmazione. Spiega. “Una nave che parte oggi con un carico destinato agli Usa impiega trenta giorni per arrivare a destinazione. Una volta alla dogana, i dazi potrebbero essere già in vigore. Dunque, gli importatori che vorrebbero ordinare non sanno a cosa vanno in contro. Ḕ tutto bloccato, cancellano gli ordini”. Se i magazzini oggi sono ancora pieni, il problema è sulla lunga distanza per Sartor. “Ruffino 1877 vende direttamente ai distributori americani e pure attraverso la capogruppo Constellation Brands con sede a San Francisco. Subito dopo la vittoria di Trump, abbiamo iniziato a muovere volumi maggiori di prodotto, abbiamo aumentato le scorte, ma sono sufficienti solo per assicurare un approvvigionamento di pochi mesi. Non possiamo anticipare le vendite di sei mesi o un anno e quindi viviamo nell’incertezza”.


Non si dormono sonni tranquilli
Per l’azienda Carpineto, gli Stati Uniti valgono il 20% del fatturato. “Esportiamo il 90% della nostra produzione in 72 Paesi, e in questo momento di incertezza la diversificazione è un vantaggio”, dice Antonio Michael Zaccheo, titolare dell’azienda toscana fondata dal padre Antonio Mario Zaccheo e da Giovanni Carlo Sacchet. “Non dormiamo sonni tranquilli. Se i dazi diverranno effettivi al 200% tutti noi produttori europei saremo rovinati. Già una tassazione del 25% sarebbe pesante, e porterebbe alla perdita di una fetta di mercato. Dobbiamo pensare ad altre strategie. Ad esempio, si potrebbe esportare il vino sfuso e imbottigliarlo direttamente negli Usa. Una soluzione possibile per i vini meno prestigiosi. Al momento, tuttavia, non resta che aspettare e sperare in un esito positivo dei negoziati per il Made in Italy”.


Ordini in stand by per il Prosecco
Dazi che si ripercuotono anche nel mondo del Prosecco. “Ordini in stand by anche per noi di Astoria Wines”, dice Filippo Polegato, titolare dell’azienda trevigiana. “Il mercato Usa pre-Covid valeva il 30% del nostro fatturato. Meno di un anno fa, abbiamo cambiato distributore e il 2025 doveva essere l’anno del rilancio su quel mercato. Sulla base degli sviluppi geopolitici, negli ultimi tempi abbiamo diversificato e adesso esportiamo in 120 paesi al mondo, tra cui Senegal, Uganda, Ruanda, Zambia, Costa d’Avorio. Siamo presenti in circa venti Paesi africani, mercati da esplorare e con un potenziale da sviluppare con i nostri partner locali. Quindi, siamo presenti in Turkmenistan, Azerbaigian, Uzbekistan. Il prodotto prosecco funziona in generale. Il brand Astoria Wines è pioniere nel packaging e inoltre, i nostri clienti sono disposti a pagare anche di più per un’azienda storica come la nostra che si avvale anche del ritorno di immagine grazie alla collaborazione con RCS Sport e la presenza sul podio del Giro d’Italia”.

