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Vini del Mondo
23/04/2024
Di Redazione AIS

Bhutan, l’ultima frontiera del vino

Per la prima volta nella sua storia, il Regno del Bhutan sta producendo vino, grazie alla visione e all’ambizione di due americani, Ann Cross e Mike Juergens, che arrivarono nel paese per correre una maratona e ne ripartirono con l’idea, quasi folle, di avviare un’industria vinicola da zero. Per celebrare questa storica prima annata, alcune bottiglie uniche sono state messe all’asta questo mese dalla prestigiosa casa Bonhams. Ann e Mike, co-fondatori della Bhutan Wine Company, hanno raccontato la loro incredibile esperienza durante un’intervista con Richard Siddle.

Galeotta fu la maratona

Come può nascere l’idea di fare vino in Bhutan? Tutto inizia dalla passione di Ann Cross per questo regno himalayano, un fascino nato tra i banchi di scuola leggendo Beyond the Sky and the Earth, il racconto di una donna canadese che vi insegnò negli anni Ottanta. “Avevo ripetuto a Mike un milione di volte quanto desiderassi visitarlo”, racconta Ann. Parallelamente, i due condividevano la passione per le maratone in luoghi remoti. Fu così che Mike, ricevuta un’email su una corsa in Bhutan, decise di iscriverli entrambi come sorpresa per Ann. “Lui non sapeva nulla del Bhutan”, continua Ann, “e di certo non avevamo alcuna intenzione di avviare un progetto vinicolo quando partimmo. Andammo lì solo per correre”.

Dall’idea all’impresa

Come si è passati da una corsa a un’impresa vinicola? “O la va o la spacca!”, esordisce Mike. “Sentivo con estrema convinzione che i bhutanesi stessero perdendo l’opportunità di produrre alcuni dei migliori vini al mondo, e credevo fermamente che dovessero provarci”. Spinto da questa idea, Mike redasse un primo studio di fattibilità, un business plan decennale e persino una bozza della normativa vinicola per il paese. L’idea iniziale era che fossero i bhutanesi stessi a realizzare il progetto, e lui sarebbe tornato ad assaggiarne i frutti.

Ma il governo bhutanese, entusiasta del progetto, chiese proprio a loro due di collaborare attivamente per trasformare l’idea in realtà, insieme a partner locali. “Rimanemmo piuttosto sbalorditi, ma pronti al 110% per l’avventura“, ricorda Mike.

Un mosaico di terroir

Il Bhutan presenta un’incredibile escursione altimetrica, da 150 a oltre 7.500 metri in circa 500 km di distanza, offrendo una miriade di microclimi e suoli diversi. Piuttosto che tirare a indovinare, la strategia iniziale fu quella di testare 9 varietà d’uva in 6 microclimi radicalmente differenti, per capire cosa funzionasse e cosa no. Negli anni, il progetto si è ampliato: oggi contano 17 varietà distribuite in 9 vigneti, e stanno iniziando a definire le combinazioni ottimali tra vitigno, microclima, forma di allevamento, gestione irrigua e della chioma, controllo dei parassiti (principalmente uccelli e vespe) e tipologia di suolo.

Esperienza internazionale al servizio del Bhutan

Il primo enologo coinvolto fu Francois Raynal, di formazione bordolese, con alle spalle un’esperienza decennale nell’avvio di una cantina in Myanmar, paese con sfide simili al Bhutan. L’attuale winemaker è Matt Brain, con esperienze in prestigiose cantine di Napa e un passato da docente di viticoltura in California, scelto per la sua competenza e per l’affinità culturale con il team e il paese. Collabora con loro anche il consulente viticolo Russell Moss.

La prima vendemmia, quella del 2023, è stata volutamente limitata e dal valore commemorativo. È stata prodotta una sola botte, frutto dell’assemblaggio di tutte le uve raccolte (6 varietà rosse e 4 bianche da 5 vigneti diversi). Questo vino unico è stato battezzato “Ser Kem”, che in dzongkha significa “dono alcolico agli dei”. La maggior parte è stata donata a chi ha reso possibile il progetto (figure governative, investitori, la Famiglia Reale), mentre pochissime bottiglie speciali sono state destinate all’asta di Bonhams nell’aprile 2025.

Per l’annata 2024, i blend finali non sono ancora definiti, ma si prevede di produrre un Riesling semi-secco monovarietale, un Sauvignon Blanc secco (parte in legno, parte in acciaio), un blend Chenin/Chardonnay e un Traminette per i bianchi; un rosato da syrah; e per i rossi, tre diversi blend bordolesi da terroir distinti, un blend a base tempranillo e un pinot noir. Tutte produzioni minuscole (circa 300 casse in totale). La distribuzione globale è ancora da decidere. “Sappiamo di essere pionieri”, sottolinea Mike.

Un’asta per la storia

L’asta Bonhams assume un significato particolare. “Immaginate di avere una bottiglia dalla prima botte mai prodotta in Francia, Italia o Stati Uniti?”, chiede retoricamente Mike. “Questi vini sarebbero nei musei, l’orgoglio di qualche collezione”. Si ritiene che l’ultimo paese ad aver avviato un’industria vinicola da zero, dove la Vitis vinifera non esisteva, sia stata la Nuova Zelanda nell’Ottocento. “Francamente”, aggiunge Mike, “il Bhutan potrebbe essere l’ultimo posto al mondo a farlo, a meno che il cambiamento climatico non renda coltivabili luoghi come la Svezia”. Da qui la volontà di offrire al mondo del vino la possibilità di acquisire alcune di queste bottiglie storiche, destinate a grandi collezionisti e musei.

Visioni future

La convinzione dei fondatori è che il Bhutan possa produrre alcuni dei vini più pregiati al mondo. Puntano su un terroir unico, sull’essere il primo paese al mondo a impatto carbonico negativo, con aria pura, acqua incontaminata dell’Himalaya e suoli fertili e integri. Fanno un parallelo con altre eccellenze agricole bhutanesi, come il riso rosso o il cardamomo. “Sembra probabile che la Vitis vinifera non solo prospererà qui, ma svilupperà caratteristiche uniche. E lo stiamo già vedendo nei vini”, afferma Mike. Una visione condivisa anche da esperti del calibro di Jancis Robinson MW, membro dell’advisory board della Bhutan Wine Company.

I piani di crescita sono ambiziosi: dagli attuali 200 acri si punta a 2.000 acri nei prossimi sette anni, continuando a esplorare nuovi microclimi ed espressioni varietali. Comprendere appieno le combinazioni ottimali richiederà forse secoli, ma la strategia è chiara: cercare di catturare l’essenza del Bhutan in bottiglia e condividerla con il mondo. “Stiamo ancora imparando cosa significhi”, ammette Mike. “Non abbiamo un risultato predefinito in mente, se non scoprire cosa il Bhutan rappresenti per il vino, che ci vogliano dieci anni o un’eternità”.

Le sfide: vespe, scimmie, cobra e…cultura

Le difficoltà affrontate sono state innumerevoli. Mike ne elenca alcune, a partire dalla totale assenza di dati storici sulla coltivazione di Vitis vinifera in Bhutan all’unicità estrema di ogni vigneto, che richiede strategie su misura. Non si contano le complessità logistiche legate all’ambiente himalayano, per non parlare dei parassiti specifici, sconosciuti altrove, come una specie di vespa capace di perforare la buccia dell’acino. Non mancano le scimmie (“non ce ne sono granché a Bordeaux o Napa!”) e i cobra come vicini di vigna, e ovviamente mancano protocolli collaudati per gestirli. Infine, la necessità fondamentale di preservare la cultura bhutanese durante lo sviluppo del progetto.

Sorprese e lezioni

Cosa li ha sorpresi di più? “Non credo che nessuno di noi due avesse compreso appieno la cultura bhutanese“, confessa Mike. “Hanno un modo di vivere e vedere il mondo molto diverso da quello americano in cui siamo cresciuti. Ogni volta che vado in Bhutan sento di tornare a casa come un essere umano migliore“. Un beneficio collaterale straordinario. Inoltre, c’è la sensazione di far parte di un “club esclusivo e affascinante” di persone che conoscono e amano questo regno nascosto.

La lezione più profonda? Mike riflette sul ruolo intrinseco del vino nell’esperienza umana per oltre 10.000 anni (medicina, religione, convivialità, sopravvivenza). E poi, la consapevolezza del cambiamento climatico che sta impattando le regioni classiche. “Diventa evidente che tra 50, 100, 200 anni sarà difficile produrre vini equilibrati nelle zone classiche. I produttori devono allontanarsi dall’equatore: possono andare a nord, a sud, o in alto. Noi stiamo andando in alto“

Redazione AIS
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