Cavalli in vigna: oltre il romanticismo, una scelta di responsabilità

Sempre più aziende vinicole riscoprono il lavoro con i cavalli da tiro per i suoi benefici agronomici. Ma dietro le immagini da copertina si cela un mondo di costi, competenze e doveri etici che il settore del vino deve affrontare con serietà.
Blue attende pazientemente tra i filari, la sua groppa massiccia che luccica di sudore e un po’ di fango. Juliette Bouetz versa un pesante sacco di semi nella tramoggia verde, un contenitore legato a un’intelaiatura di legno sopra una slitta di ferro. Dà a Blue un colpetto, schiocca la lingua e la sensibile giumenta avanza immediatamente nel filare. Con ogni tonfo sordo dei suoi quattro zoccoli, semi di fava, veccia e rafano si spargono sul terreno.
È una scena quasi poetica, un’immagine di lavoro agricolo che sembra venire da un altro tempo. Ed è una scena che la giornalista, agronoma e scrittrice Arnica Rowan, in un acclamato articolo che le è valso una candidatura ai Global Wine Communicator Awards, descrive con la precisione di chi conosce la materia non solo per studio, ma per esperienza diretta. Rowan ci porta dietro le quinte di una pratica, quella del lavoro con i cavalli in vigna, che sta tornando in auge, spinta da un crescente interesse per l’agricoltura rigenerativa. Ma ci avverte anche di guardare oltre la patina del marketing.
Questo lavoro quotidiano, infatti, è lontano anni luce dalle immagini patinate che spesso vediamo online. Rowan ricorda le fotografie artistiche di Franck Simon che, nel 2021, ritraevano i cavalli di Juliette Bouetz nella cantina di Château Beauregard a Pomerol. Quelle immagini, che giustapponevano i calmi cavalli da tiro grigi alle enormi vasche di cemento, diventarono virali, scatenando un’ondata di interesse per Cheval des Vignes, l’azienda di servizi viticoli a trazione equina della famiglia Bouetz. Ma come dice Juliette ridendo, mentre rifiuta le richieste per servizi fotografici: “i nostri cavalli non sono per il marketing. Sono troppo impegnati a fare un lavoro importante in vigna.”
I benefici reali: meno compattazione, più sensibilità
Cheval des Vignes serve oggi 42 châteaux tra Pomerol, St-Émilion e il Médoc, lavorando 120 ettari di vigne con i suoi 20 Percheron, una razza da tiro francese nota per la sua indole tranquilla e la sua forza immensa. Le tenute li ingaggiano a 70€ l’ora, principalmente per il décavaillonnage (l’aerazione del terreno alla base dei ceppi), la semina e lo sfalcio tra i filari.
I benefici agronomici sono innegabili. Sui suoli argillosi della Rive Droite, i quattro zoccoli di un Percheron da 900 kg compattano il terreno molto meno di un trattore. Un suolo più drenato significa meno umidità e, di conseguenza, meno malattie fungine. Ma il vantaggio più importante è la sensibilità: a differenza di un trattore, un cavallo “sente” la resistenza della sua attrezzatura. Se l’aratro tocca una radice o una giovane vite, l’animale si ferma prima di sradicarla. Un tocco preziosissimo per le tenute che vogliono preservare la longevità delle loro vigne e proteggerle da malattie del legno come l’esca, che spesso penetrano attraverso le ferite.
Un impegno globale: il caso di Gramona
Questi benefici hanno spinto aziende di tutto il mondo a riscoprire questa pratica. Un esempio è Gramona, produttore di spumanti catalani nel Penedès. Dopo un periodo di prova, i miglioramenti nella qualità del suolo sono stati così evidenti che la famiglia ha deciso di investire in un proprio team di cavalli e addestratori.
Qui, in un clima caldo e secco, opposto a quello di Bordeaux, i cavalli sono uno strumento fondamentale per adattarsi alla siccità. Creano canali d’aria nel terreno per catturare la pioggia e sradicano l’erba primaverile che altrimenti assorbirebbe l’acqua disperatamente necessaria alle viti. Ma a Gramona i cavalli sono parte di un ecosistema biodinamico più ampio, gestito dalla responsabile della fattoria, Mireia. Lavorano a fianco di pecore, galline e mucche, in un equilibrio perfetto. Il lavoro è condotto da due uomini, Dabo e Brahim, che, come i cavalli, sono stati formati da specialisti in Francia. Perché la conoscenza professionale, un tempo comune, è oggi custodita da pochi esperti.
La curva di apprendimento: quando la responsabilità diventa personale
“L’enormità di questa responsabilità mi ha travolto in pieno un anno e mezzo fa,” scrive Arnica Rowan, introducendo una svolta personale e potente nel suo racconto, “quando un piccolo cavallo da tiro è entrato nella mia vita“.
Rowan si è innamorata di Petra, una giumenta di razza Haflinger, una razza robusta originaria del Sudtirolo, tradizionalmente usata per arare i campi. “Da ‘mamma’ di un cavallo per la prima volta, ho commesso così tanti errori“, confessa. Dal fieno troppo ricco che le ha causato indigestioni, alla difficoltà di trovare una briglia adatta alla sua testa massiccia. Ma grazie alla guida di una rete di professionisti – addestratori, veterinari, maniscalchi, chiropratici, nutrizionisti – ha imparato sulla sua pelle cosa significhi prendersi cura di un cavallo.
“Ma non è stato facile, né economico“, sottolinea. E snocciola i costi e gli impegni: fieno a basso contenuto di zuccheri tre volte al giorno, razioni di minerali, cure dentistiche annuali, pareggio degli zoccoli mensile, visite del chiropratico, coperte per l’inverno, spray per l’estate. Oltre a questo, sua figlia dedica più di 20 ore a settimana tra equitazione e pulizia. I cavalli, ricorda, hanno tre bisogni essenziali: amici, foraggio e libertà.
Un appello al mondo del vino: servono standard e consapevolezza
L’esperienza con Petra ha cambiato la prospettiva dell’autrice. “Ora, quando incontro cavalli nei vigneti, o vedo le romantiche immagini di marketing online, esamino la situazione con occhi diversi“, scrive. “Chi si occupa di questi animali ha investito nelle conoscenze necessarie per garantire loro una vita felice e sana?“
La risposta, purtroppo, non è sempre affermativa. Troppo spesso si vedono ricoveri inadeguati, zoccoli trascurati e finimenti mal adattati. Per questo, Rowan lancia un appello all’industria del vino: con il crescente interesse per questa pratica, è ora di avere una conversazione seria sull’inclusione degli animali in viticoltura. Non basta la buona volontà. Servono formazione ufficiale per gli operatori, come quella che Cheval des Vignes ha iniziato a offrire, e soprattutto, l’inclusione di un protocollo sul benessere animale all’interno delle certificazioni di sostenibilità e agricoltura rigenerativa.
La conversazione, conclude, deve includere i costi realistici, il valore aggiunto, e soprattutto, gli standard etici che ci impegniamo a rispettare quando scegliamo di collaborare con esseri senzienti per produrre vino.