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Trend e Mercati
10/04/2024
Di Redazione AIS

Cinque punti chiave nel nuovo pacchetto Ue per il settore vitivinicolo

Come scrive Alessandro Ford su Politico, Bruxelles cerca di sostenere un settore maturo in difficoltà, tra calo dei consumi e nuove sfide.

I produttori di vino hanno brindato all’Unione Europea venerdì, dopo la pubblicazione di un atteso piano per salvare l’industria da una domanda in calo, costi di produzione elevati e una burocrazia opprimente.

L’UE produce il 60% del vino mondiale, con Italia, Francia e Spagna ai primi tre posti come produttori globali. Il settore impiega l’1,4% dei lavoratori del blocco e contribuisce allo 0,8% del suo PIL, secondo i dati del settore. Un peso paragonabile a quello dell’industria siderurgica, che conferisce ai viticoltori un notevole potere contrattuale a Bruxelles.

Proprio in risposta alle richieste di aiuti d’emergenza avanzate dai paesi membri alla fine del 2023, le istituzioni europee si sono mosse su più fronti: hanno prima avviato un osservatorio specifico per monitorare il mercato del vino, poi hanno pubblicato un rapporto dettagliato sulle difficoltà del settore (nel luglio 2024) e, infine, hanno istituito un gruppo di lavoro ad hoc, riunendo esperti, funzionari e rappresentanti chiave del settore vinicolo per definire una strategia. Questo gruppo ha poi presentato le sue raccomandazioni ufficiali nel dicembre 2024.

“Oltre al peso economico del settore e al savoir-faire dei nostri produttori, i vigneti sono parte dei nostri paesaggi e del nostro patrimonio culturale“, ha scritto il Commissario all’Agricoltura Christophe Hansen. “Ecco perché presento ora questo pacchetto di misure che aiuterà a stabilizzare il mercato“.

Ma cosa può fare concretamente la Commissione? Ecco i cinque punti chiave del piano UE per salvare il vino.

Ridurre una offerta esorbitante

Una conseguenza tristemente nota della prima Politica Agricola Comune (PAC) furono le enormi eccedenze di vino che si accumularono in passato. Questo accadeva perché i prezzi fissi garantiti dai sussidi incentivavano gli agricoltori a produrre quantità di vino molto superiori alla domanda effettiva dei consumatori. Questo surplus veniva poi distrutto o svenduto all’estero a basso costo, una situazione che perdurò fino a quando l’UE, negli anni ’80, decise di scollegare gli aiuti diretti dalla quantità prodotta.

Oggi, l’Europa affronta un problema simile di eccesso di offerta, avendo imbottigliato circa 150 milioni di ettolitri nel 2024 a fronte di un consumo crollato a 95 milioni di ettolitri. La pandemia di Covid-19, con la chiusura dei locali e la crisi economica, ha lasciato le cantine piene. Sebbene esistano limiti UE alla quantità di nuovi impianti di vigneti, quel tetto dell’1% annuo è sufficientemente alto da saturare il mercato.

La Commissione propone quindi di permettere ai paesi di bloccare nuovi impianti nelle regioni con eccesso di produzione; eliminare le penali per gli agricoltori che non utilizzano i permessi di impianto; e rendere più facile per i governi pagare i produttori per estirpare le viti o procedere alla cosiddetta “vendemmia verde”. Entrambe queste misure in precedenza potevano essere attuate solo in situazioni di emergenza.

Va però precisato che queste azioni non sono automatiche: richiedono comunque il via libera della Commissione Europea. Inoltre, un punto importante è che non sono stati stanziati fondi europei specifici per finanziare questi interventi, nonostante fosse una richiesta dei viticoltori. Allo stesso modo, il piano non introduce novità sulla cosiddetta distillazione di emergenza, ovvero la possibilità di trasformare il vino in eccesso in alcol per uso industriale. Questa pratica rimane possibile per i singoli Stati, ma solo se autorizzata di volta in volta dalla Commissione.

Aprire nuovi mercati

Un altro fronte cruciale è quello dei consumi. Il consumo di vino in Europa, in termini di volume, si è quasi dimezzato dal 2010. Le ragioni sono diverse: le nuove generazioni (Millennials e Gen X) sono più attente alla salute, tendono a bere meno alcol in generale e spesso preferiscono bevande diverse dal vino, a volte percepito come meno moderno rispetto a cocktail o birre.

Una sfida ulteriore è rappresentata dai vini a basso o nullo contenuto alcolico. Produrli mantenendo alta la qualità è tecnicamente complesso, molto più che per la birra o i distillati. Come ha ricordato un funzionario della Commissione, la tecnologia di dealcolazione per il vino è relativamente nuova (le norme UE specifiche risalgono solo al 2021) e, data la sua complessità, “servono alcuni anni per applicarla, raggiungere un certo standard e produrre con qualità“.

Di fronte a questo scenario, la Commissione mette sul tavolo diverse proposte per stimolare nuovi mercati e segmenti di consumo. Innanzitutto, per dare maggiore chiarezza e attrattiva ai prodotti dealcolati o a bassa gradazione, propone di armonizzare le denominazioni a livello UE, introducendo le etichette “Alcohol Light” (per gradazioni inferiori al 2,8%, ben al di sotto del minimo UE dell’8,5% per il vino tradizionale) e “Alcohol Zero” (sotto lo 0,5%).

Parallelamente, per compensare il calo dei consumi interni e intercettare nuovi consumatori, si prevede di estendere le campagne promozionali finanziate dall’UE concentrandosi sui mercati internazionali. Il piano mira anche a valorizzare l’esperienza complessiva legata al vino, ampliando il sostegno all’enoturismo.

Infine, si interviene per semplificare le regole applicabili ai vini aromatizzati, come vermouth, sangria e Glühwein, riconoscendo il potenziale specifico di questo segmento.

Promuovere un’etichettatura più semplice

Un altro ostacolo pesante per i produttori di vino è la burocrazia legata alle etichette. Il problema nasce dal fatto che ogni paese dell’UE ha regole diverse su come indicare gli ingredienti sulla bottiglia. Per chi vende vino in più paesi europei, questo significa dover gestire linee di etichettatura differenti oppure rischiare costosi blocchi della merce e rietichettature una volta superato il confine. È una complicazione che genera costi e difficoltà operative.

La soluzione proposta dalla Commissione per superare questa frammentazione è netta: introdurre un’etichetta digitale unica per tutta l’UE, accessibile tramite un codice QR stampato sulla bottiglia. In questo modo, le informazioni obbligatorie sarebbero disponibili elettronicamente in un formato standardizzato, eliminando la necessità di etichette fisiche diverse per ogni mercato nazionale.

Su un tema collegato ma distinto, quello delle avvertenze sanitarie, il pacchetto non introduce novità. L’ipotesi di inserire avvisi specifici sui rischi legati al consumo di alcol e al cancro, discussa in passato dalla Direzione Generale Salute della Commissione (DG SANTE), era stata messa da parte a causa della forte opposizione ricevuta da importanti paesi produttori come Italia, Francia e Spagna. Quindi, mentre si semplifica l’indicazione degli ingredienti tramite QR code, non vengono proposte nuove avvertenze sanitarie a livello europeo (anche se l’Irlanda, agendo autonomamente, introdurrà etichette simili il prossimo anno).

Combattere il cambiamento climatico

Il cambiamento climatico è una minaccia concreta per la viticoltura europea. Eventi meteorologici sempre più estremi – come alluvioni, siccità prolungate o improvvisi sbalzi di temperatura – stanno danneggiando gravemente le viti e riducendo i raccolti. Non solo: queste condizioni climatiche anomale favoriscono anche la diffusione di parassiti e malattie come peronospora e oidio, peggiorando ulteriormente la situazione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: l’anno scorso, ad esempio, la produzione di vino in Belgio è crollata del 64%, e molti altri paesi hanno registrato i dati peggiori da anni.

Allo stesso tempo, c’è la consapevolezza che la viticoltura stessa ha un impatto sull’ambiente, soprattutto per quanto riguarda il consumo di acqua (spesso una risorsa scarsa) e l’uso di prodotti fitosanitari.

Di fronte a questa situazione, l’Unione Europea vuole agire su due livelli: aiutare i viticoltori a proteggere meglio i loro vigneti dagli effetti negativi del clima e incentivarli ad adottare pratiche agricole più rispettose dell’ambiente (contribuendo così alla mitigazione, cioè alla riduzione delle cause del cambiamento climatico).

Per raggiungere entrambi questi obiettivi, la principale misura proposta nel pacchetto è un forte aumento degli aiuti economici per gli investimenti “verdi”. In pratica, se un produttore o uno Stato membro investe in soluzioni per migliorare la sostenibilità ambientale o per adattarsi meglio al clima (ad esempio, sistemi per risparmiare acqua, vitigni più resistenti alle malattie o alla siccità, energie rinnovabili in cantina), l’UE rimborserà l’80% della spesa, invece del 50% attuale. Questo aumento significativo del contributo europeo ha lo scopo di rendere molto più conveniente per i viticoltori investire in pratiche che siano positive sia per l’ambiente che per la sopravvivenza a lungo termine dei loro vigneti.

Per i viticoltori, una goccia nell’oceano

Le associazioni di categoria del settore vinicolo hanno reagito al nuovo pacchetto UE mostrando apprezzamento per la rapidità con cui è stato elaborato, ma esprimendo un giudizio complessivamente interlocutorio sul suo contenuto e sulla sua efficacia. In sostanza, è visto come un passo nella giusta direzione, ma con evidenti limiti e potenziali debolezze.

Questo sentimento emerge chiaramente dalle parole di Riccardo Ricci Curbastro, presidente della Federazione Europea dei Vini d’Origine (EFOW), il quale, pur dichiarando di apprezzare “molto l’approccio reattivo” della Commissione, sottolinea che “la proposta può essere migliorata su alcuni punti“. Un riconoscimento dello sforzo, quindi, ma anche un chiaro segnale che diverse misure proposte necessitano di aggiustamenti.

Su un altro fronte, Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins (CEEV), pur definendo il piano “un buon pacchetto legale” dal punto di vista normativo interno, solleva forti dubbi sulla sua capacità di proteggere il settore da shock esterni.

La sua principale preoccupazione riguarda la minaccia di una guerra commerciale sul vino tra UE e Stati Uniti. Recarte ha infatti aggiunto che il pacchetto “non sarà sufficiente” in un simile scenario, evidenziando come la sola minaccia di Donald Trump di imporre dazi del 200% sul vino europeo stia già “costando alle aziende vinicole europee 100 milioni di euro a settimana” a causa dell’incertezza e delle turbolenze sui mercati.

Redazione AIS
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