Come cambiano le cantine dopo il COVID

Negli USA il dopo-pandemia ha iniziato a modificare l’accoglienza in cantina: aumenti dei prezzi ma anche nuovi approcci alla degustazione.
Ci sono cambiamenti in vista nel modo in cui le cantine si avvicinano ai potenziali clienti in visita, almeno negli USA. Dave McIntyre, sul Washington Post, spiega come le aziende vinicole si stiano adattando al nuovo mondo post-pandemia, contraddittorio e incerto. Si parte dalle degustazioni, che le restrizioni pandemiche avevano inquadrato all’interno di un severo protocollo: seduti a un tavolo, a opportuna distanza, con i calici serviti in loco. Chi pensava che il successivo decadimento delle regole avrebbe portato a una generica corsa alla degustazione al banco, o tra fermentatori e botti, potrebbe avere torto. George Hodson, amministratore delegato di Veritas Vineyard and Winery (Charlottesville, Virginia) suggerisce di mantenere entrambe le opzioni, perché c’è chi ha imparato ad apprezzare un approccio più concentrato sul vino, fatto di silenzio e concentrazione, e meno sulla visita. Altri, al contrario, non solo vogliono tornare ad avere maggiore scambio con gli interlocutori della cantina ma anche un contorno di cibo, musica e intrattenimento, più interessati al “qui e ora” che non al vino che eventualmente acquisteranno per portarlo a casa.
Degustazioni al tavolo, ma anche in giro per la cantina; intrattenimento a base di musica e cibo; spillatura da fusti e botti al posto delle bottiglie; coinvolgimento degli ospiti nella vita quotidiana del produttore.
In secondo luogo, l’aumento dei prezzi: inflazione e danni pandemici hanno determinato un rialzo dei costi finali, percorsi di degustazione inclusi. Il terzo, forse meno scontato, è il passaggio (almeno per alcune cantine) dalla degustazione in bottiglia a quella in fusti o in botti: l’obiettivo è ridurre l’impronta di carbonio, e i costi generali. L’azienda vinicola Tablas Creek a Paso Robles (California), ad esempio, ha dichiarato di aver risparmiato l’acquisto (e di conseguenza il riempimento e l’etichettatura) di 9.000 bottiglie in un anno. “La bottiglia più inutile – ha sintetizzato il direttore generale Jason Haas – è quella che non ha mai lasciato la cantina“. Gli fa eco Sarah O’Herron, co-proprietaria ed enologa di Black Ankle, nel Maryland: “far assaggiare il vino da una botte o da un fusto ci permette di giocare un po’ con i clienti, permettendo loro di sbirciare dietro il processo di vinificazione in modi che non saremmo in grado di fare con i vini in bottiglia“. Sul Washington Post. Sul Washington Post.