Consorzio Bivongi, il vino calabrese che sa di arte e di storia

Lungo la Riviera dei Gelsomini, quella parte di costa che si affaccia sul Mar Ionio, dal piccolo centro di Bianco fino a Monasterace, molte vigne sono state arate già a novembre. I trattori sono entrati in azione in anticipo rispetto ai tempi usuali. Da alcuni anni, la Calabria è martoriata da una siccità di lungo periodo (fino a tredici mesi senza pioggia) e per mantenere in vita i vigneti gli imprenditori hanno iniziato a ragionare su azioni parallele alla irrigazione di sostegno. Se in tempi antichi i fenomeni estremi si verificavano ogni cinquanta anni, adesso si presentano con una cadenza ravvicinata. In gioco c’è una fetta consistente dell’economia locale. Il terreno è ricco di argilla e quando il sole brucia a si spacca; crepe anche profonde dove l’acqua piovana s’insinua lasciando le piante assetate. Possibile domare quel terreno fertile e ugualmente ostile? Un’aratura anticipata addolcisce le zolle, rendendole più idonee a incorporare la pioggia e a trattenerla nel sottosuolo per alimentare le viti nei mesi estivi. I recenti temporali hanno portato pensieri positivi tra i viticoltori e sono in corso le potature. Ḕ in questa fetta di Calabria che vanta due testimonial come i Bronzi di Riace che nel 2018 è nato il Consorzio tutela e valorizzazione delle viti e del vino Doc Bivongi. Il riconoscimento ufficiale del Ministero delle Politiche Agricole è arrivato nel 2021 e il Consorzio si è presentato all’ultimo Vinitaly con l’abito della festa.

Un gruppo di undici viticoltori
Alla sua guida c’è una giovane donna, Adele Anna Lavorata, già membro dell’associazione Donne del Vino, un’imprenditrice cresciuta tra i filari dei vitigni autoctoni. Ha il piglio di chi è in linea con i tempi. “Qualità, enoturismo, export”, ecco le basi del suo credo. Dopo due mandati tira le somme. “Fanno parte del Consorzio undici viticoltori riunitisi su iniziativa di mio padre. Producono su un territorio di circa cento ettari e ambiscono a realizzare nettari che raccontino l’unicità della nostra regione. La Calabria è un grande scoglio in mezzo al mare. Si coltiva lungo la stretta fascia costiera, ma anche fino a ottocento metri di altitudine. Le pendenze sono importanti e tra i prossimi progetti intendiamo chiedere la certificazione viticoltura eroica”. Salendo verso la montagna, le correnti portano via l’umidità proveniente dal mare, garantendo la salubrità delle uve: greco nero, gaglioppo e calabrese per i rossi corposi; greco bianco, malvasia bianca e ansonica per i bianchi, e il disciplinare prevede la riserva con affinamento in botte di almeno sei mesi.

Il nome da un piccolo centro urbano
Il Consorzio Bivongi prende il nome da un piccolo centro con poco più di mille abitanti a circa quindici chilometri dal mare. Alle spalle la montagna tra Aspromonte e Serre Calabresi. Origine bizantina, le stradicciole si intersecano come un ricamo. Il contemporaneo si converte a un turista desideroso di un contatto diretto con la natura e di un pizzico di avventura. La cascata del Marmarico, con i suoi 120 metri di caduta, è classificata come la più alta dell’Appenino centrale. Intorno, rivi e rigagnoli, acque in epoca antica considerate sante per le proprietà curative dovute ad elementi solfuro-alcalini. Si raggiunge a piedi (ma anche con il fuoristrada) dopo un cammino di otto chilometri di strada bianca, tra la vegetazione esemplari di felce bulbifera (woodwardia radicans), pianta rara e maestosa con fronde fino a tre metri.


Il recupero di vigne quasi abbandonate
Ḕ in questo microclima che sa di iodio, muschio e agrumi (la Calabria è famosa per il bergamotto usato nell’industria profumiera) che nuove generazioni si affacciano alla viticoltura. La Tenuta DieciMani è l’ultima arrivata nel Consorzio Bivongi. Ḕ il frutto di cinque cugini, cognomi diversi, DNA simile proveniente da nonno Giuseppe di cui intendono portare a compimento il sogno, fare qualcosa di buono e di bello di quelle terre dove si è spaccato la schiena. Le antiche vigne semi abbandonate sono state riportare a fruttificare, altre se ne sono aggiunte e per avere un prodotto di qualità è stato chiamato un enologo toscano, Luciano Bandini da San Gimignano. Tenuta DieciMani è oggi il frutto di una famiglia allargata. Al progetto hanno aderito infatti, cognati e compagni, un groviglio di parentele in cui ognuno porta un pizzico del proprio mestiere. Cosimo è infermiere, Giuseppe cuoco, Maria e Lucia farmaciste. Chi sta in vigna e in cantina? Alessandro, di cognome Meli coadiuvato da Ilario, marito di Maria. Portavoce Antonio Marrapodi, compagno di Lucia, avvocato con il compito di seguire la parte legale e burocratica dell’azienda. Le vigne si trovano a Stilo, cittadina natale del filosofo Tommaso Campanella (La città del sole, 1602), rinomata per una piccola chiesa bizantina con pianta quadrata e cinque cupole, la Cattolica, nel 2015 scelta per rappresentare la Calabria all’Expo milanese. A tenuta DieciMani gli ultimi innesti sono datati 2021: calabrese nero, gaglioppo, greco nero e magliocco. Il fiore all’occhiello dell’azienda è tuttavia un nettare bianco a base di pecorello chiamato “Parisu” dal soprannome del nonno che nell’etichetta ci mette pure la faccia. Se il mercato richiede rosati profumati, DieciMani accetta la sfida con un vino a base di gaglioppo chiamato Armònia in onore della divinità nata da Ares e Afrodite e simbolo di concordia e amore, sull’etichetta le mani che si incrociano di un anziano e di un bimbo. Calabrese e greco nero entrano in Ḕsenza, un rosso corposo senza solfiti aggiunti in vinificazione.


Nero d’Avola in Calabria
Ottomila le bottiglie realizzate e imbottigliate nel moderno impianto di Cantina Lavorata (operazioni in ambiente sterilizzato), messo a disposizione delle piccole realtà del Consorzio Bivongi. “Imbottigliamo 300 mila unità per il Consorzio e 700 mila per la nostra azienda”, dice Gabriele Lavorata. Tredici ettari di vigneto tra le colline di Locri, Cantina Lavorata produce anche in Sicilia, unica realtà calabrese a vinificare il nero d’Avola. L’azienda ha in catalogo una quindicina di nettari (rosato Bivongi Doc, bianco Bivongi Doc, Greco nero, Greco bianco nella versione passito), punta di diamante il Bivongi Doc Rosso Riserva, affinato per due anni in botti di castagno lavate secondo la tradizione. “Un tempo venivano portate in spiaggia e pulite con acqua di mare; oggi, per questioni di sicurezza alimentare, il procedimento viene svolto in cantina con acqua calda e sale”, dice Gabriele. Il mercato? “Prima del Covid, il nostro maggiore cliente era il Giappone con il 65% della produzione. Oggi, il 30% viene esportato, il 70% destinato al mercato italiano tra cui il mondo Horeca, presenti nei ristoranti di Roma e Milano”.


Paesaggio, arte e storia
Il sommelier o il turista enogastronomico che ha in agenda un viaggio in Calabria, oltre alle degustazioni, potrebbe dedicare un po’ del suo tempo a quanto di bello a livello paesaggistico, artistico e storico sa donare questa regione un tempo tanto fiorente da essere chiamata Magna Grecia e far concorrenza alla Grecia classica. Nei paesi grecanici si parla ancora quella lingua. Se i Bronzi di Riace sono i principali testimonial (custoditi al MarRc, Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria), è un fiorire di siti archeologici come quello dell’antica città di Kaulonia con il museo dedicato in località Monasterace. Ci si arriva attraverso la SS 106 Jonica (da Reggio Calabria a Taranto per 480 km), che qui attraversa il promontorio di Punta Stilo, dove il 9 luglio 1940 cinque navi della Regia Marina Italiana dirette a Bengasi con un carico di 70 carri armati si scontrano con alcune unità dirette a Malta della flotta britannica e australiana. Acque dove i sub più esperti si immergono alla scoperta dei relitti adagiati suoi fondali. Al largo di Roccella Ionica giacciono i resti del piroscafo Pasubio, silurato e affondato il 16 febbraio 1943 dal sommergibile britannico Unrivalled. Per chi ama l’arte contemporanea, una visita al Musaba (Museo di Santa Barbara) apre al mondo immaginifico di Nick Spatari e sua moglie Hiske Maas, che in quel luogo amato da monaci ed eremiti, hanno creato un vero e proprio villaggio residenza per artisti. Da ammirare le opere realizzate con la tecnica del trencadís (una sorta di mosaico con ceramiche fatte a pezzi) con storie ispirate alla Bibbia.


Il viaggiatore che da Reggio Calabria si muove verso Crotone seguendo la costa ionica, incontra molteplici realtà vitivinicole tra passiti eccellenti e Cirò (a base di gaglioppo) profumati. Una visita merita la cittadina di Bianco, comune caratterizzato dai calanchi delle colline calcaree circostanti. Ai marinai che solcavano il mar Ionio apparivano come una macchia bianca sulla costa, da cui il nome. Per la festività dell’Assunzione, durante le prime due settimane di agosto, vi si celebra la Madonna con spettacoli pirotecnici in spiaggia, la processione delle barche sul mare e infine la corsa della vara, quando la statua della Vergine viene portata al Santuario di Pugliano.
A livello vitivinicolo, Bianco è famoso per i suoi nettari ottenuti da uve greco appassite al sole sui graticci. Gradazione alcolica minima di 14 gradi, profumi di zagara, frutta candida e mandorle. Tra i produttori, l’azienda Agricola Ceratti che produce anche passiti affinati in barrique (greco di Bianco e Mantonico Igp Locride). L’azienda offre possibilità di pernottare nell’agriturismo Negreide, tra i vigneti i resti della villa romana di Palazzi con i suoi maestosi mosaici.
Si produce vino da tempi antichissimi nel crotonese, terra del Cirò. Nella tenuta Rosaneti, della famiglia Librandi, si studia il germoplasma viticolo calabrese. L’azienda è dotata di un palmeto e di un museo del vino e della vita contadina, arricchito con oggetti provenienti dalle famiglie locali.

Interamente bio, l’azienda di Roberto Ceraudo a Strongoli in cui lavorano i tre figli: Caterina, chef del ristorante Dattilo (una stella Michelin), Giuseppe (vigna) e Susy (marketing). I 25 ettari di vigne sono collocati a 60 metri slm con rese tra i 35 e i 50 quintali per ettaro. Un’azienda che ha sposato il biologico dal 1990 e diventata una realtà “pilota” a livello regionale. Niente chimica nei campi, le tecniche usate sono antiche come quella del sovescio con l’inerbimento invernale e primaverile con erbe appositamente selezionate. I parassiti poi, vengono contenuti con trappole di ferormoni a richiamo sessuale. Otto i vitigni coltivati (tra cui gli internazionali cabernet e chardonnay), fermentazione con i soli lieviti indigeni, per una produzione di 70mila bottiglie in totale. Ḕ il sud che sa di ospitalità e sorprende.

