Vitae Online logo Vitae Online
  • Vitae Online logo Vitae Online
  • Home
  • Il Vino
    • Vini d’Italia
    • Vini del Mondo
  • Sostenibilità
    • Environment ESG
    • Social ESG
    • Governance ESG
  • Assaggi
    • Vino
    • Olio
    • Birra
    • Spirits e non solo
    • Acqua
    • Fumo Lento
  • Food
    • Abbinamenti
    • Chef e Ristoranti
    • Cucina di Tradizione
    • Eccellenze
    • Innovazione
    • Materia Prima
  • Territori
    • Enoturismo
    • Paesaggio
    • Lifestyle
    • Viaggio
  • Personaggi e Storie
  • Sommelier e Pro
    • Trend e Mercati
    • Comunicazione e Personal Branding
    • Vita da Sommelier
  • Vino e Cultura
    • Architettura
    • Arte
    • Cinema
    • Storia
    • Società
  • Eventi AIS
  • AIS Italia
Cinema
15/10/2025
Di Sara Missaglia

Grattamacco: il vino che racconta Bolgheri

Incontrarsi in un cinema per parlare di vino

Un cinema trasformato in una sala di degustazione ideale, con lo schermo al posto dei calici. È qui che è stato proiettato Grattamacco: quarant’anni di Bolgheri, un docufilm nato – come è stato detto sul palco – non per celebrare un semplice anniversario, ma per dare profondità a una storia fatta di scelte, persone e visione. Subito dopo, il racconto è diventato dialogo: Luciano Ferraro ha moderato un confronto serrato tra Piermario Meletti Cavallari (fondatore), il professor Attilio Scienza (che ha avviato la zonazione della collina), Giuseppe Di Gioia (CEO di ColleMassari Wine Estates) e Luca Marrone (enologo di Grattamacco). Quattro punti di vista – memoria, scienza, impresa e tecnica – per un’unica trama: come nasce e come si custodisce un grande vino.

Prologo: cinema e vino, la stessa grammatica delle emozioni

“Sicuramente sembra una scelta insolita”, è stato detto in apertura, “ma il vino, come il cinema, è fatto di memoria, di storia, di emozioni. Il cinema restituisce queste dimensioni con i volti, i silenzi, le immagini, le voci”. Il documentario nasce per un traguardo importante – le quaranta vendemmie – ma non vuole essere un anniversario in senso rituale: ambisce piuttosto a rafforzare valori e visione imprenditoriale, nati anche da un’idea di vita rurale come scelta culturale. Tre parole-chiave attraversano film e dibattito: valore, illuminazione – quella del 1° maggio 1977, giorno dell’arrivo sul colle – e visione. E, sopra tutto, Bolgheri.

Le origini: l’illuminazione del 1° maggio 1977

Cavallari riavvolge il nastro. “Arrivammo a Grattamacco il 1° maggio 1977. Non c’era il bagno, non c’era la luce; una cisterna con la pompa bastava per tutto. Eppure, fu una visione plastica: mi affacciai dove oggi c’è la cantina e capii che quello era il posto”. Prima ancora, a Bergamo Alta, c’era un’enoteca “antesignana” ricavata da un vecchio bar vicino alla funicolare, punto d’incontro di appassionati e di Luigi Veronelli. “Il mercoledì chiudevo e andavo per vigne tra Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria a conoscere piccoli produttori”, racconta. Lì matura l’idea – quasi sessantottina – di una vita diversa, che diventa impresa. La scelta cade sulla fascia Marche–Toscana, ma con un desiderio preciso: vedere il sole tramontare nel mare. È così che il destino porta a Bolgheri.

Piermario Meletti Cavallari

Veronelli: la chiamata dei “ribelli”

Il rapporto con Veronelli non fu una spinta diretta verso Bolgheri, ma una palestra critica costante. “Gli mandavo i campioni; rispondeva con giudizi sinceri. Sul nostro bianco scrisse: “vino ingenuo di scoperta e innocenza”. Commovente”. È la dignità dell’onestà: “Vino da tavola per legge, allora; lo scrivemmo grande in etichetta. Niente da nascondere”. Per Grattamacco, Veronelli è il ponte culturale con un’Italia del vino che stava cambiando: riconosceva nei “ribelli” – chi non inseguiva le mode – la nascita di un nuovo canone di autenticità.

La scelta del luogo: collina, suolo, mare

La collina di Grattamacco corre tra 100 e 200 metri sul livello del mare. È ventilata, luminosa, protetta alle spalle dal bosco della zona di Casa Vecchia e aperta verso il Tirreno. La parola passa alla scienza. Attilio Scienza spiega che “il terreno è un pilastro dell’identità. Qui affiora un flysch calcareo–marnoso che si mescola ad argille bianche ricche di sodio, calcio e magnesio: è la radice di quella salinità che riconosciamo nel bicchiere. Un processo geologico durato milioni di anni”. Il microclima, pur vicino al mare, beneficia dell’altitudine: la ventilazione costante favorisce maturazioni lente e tannini fini, condizioni ideali per un’agricoltura naturale, poi certificata biologica nel 1997. La prima vendemmia risale al 1977; fino all’’81 sono anni di rodaggio. La prima uscita commerciale arriva nel 1982. Ma la firma stilistica nasce prima: accanto a Cabernet Sauvignon e Merlot, Cavallari inserisce Sangiovese. È una decisione controcorrente allora e ancora oggi rara, che dona tensione, freschezza e verticalità. “Senza Sangiovese manca qualcosa”, è la convinzione che attraversa il film. Così il Bolgheri Superiore Grattamacco diventa toscano nel cuore e internazionale nella costruzione, e soprattutto immediatamente riconoscibile.

Dalla vigna alla cantina: lo stile nudo

Grattamacco si è costruito senza scorciatoie. In vigna si lavorano rese basse, si cura la pulizia del grappolo eliminando le parti appassite, si protegge il frutto dal sole, si rispettano i tempi. In cantina le fermentazioni sono spontanee con lieviti indigeni; si usano tini troncoconici di rovere aperti, introdotti presto anche grazie all’incontro con Maurizio Castelli, che permettono estrazioni gentili senza pompe e senza tecnologia invasiva; le macerazioni si allungano fino a trenta giorni; l’affinamento procede per diciotto mesi in barrique di rovere francese, impiegate con misura. L’idea è sempre la stessa: migliorare senza travolgere, custodire il carattere del luogo lasciando che l’annata parli.

Il bianco delle origini, i bottiglioni, la concretezza

C’è un Grattamacco bianco di memoria, a base di Trebbiano, che all’inizio produceva in abbondanza e andava quindi domato con rese moderate e uscite tardive. Gli esordi furono poveri e puliti, con il cemento come materiale principe e una semplicità che oggi chiameremmo essenzialità. Un ristoratore amico serviva i bottiglioni come primo calice e li chiamava “magnum” quando ancora non era un vezzo di marketing. Nel film si vede anche il 1979: un’etichetta che dichiara 12 gradi e la dicitura “vino da tavola”, con l’imbottigliamento a maggio. Una scelta consapevole: meglio mettere in luce ciò che si è, piuttosto che nasconderlo.

La DOC e la zonazione: dare contenuto scientifico a una denominazione

“La DOC Bolgheri è stata una grande innovazione”, ricorda Scienza, “ma sarebbe rimasta sigla vuota senza contenuto scientifico”. La zonazione ha dato questo contenuto: dapprima la lettura dell’origine geologica e della pedologia dei suoli; quindi, l’osservazione delle interazioni fra vitigni, suolo e clima; infine, l’ottimizzazione agronomica, così che ogni vitigno, nel suo luogo, potesse esprimersi al meglio. In quegli anni, insieme a Sassicaia e Ornellaia, Grattamacco è fra le etichette più note: la sua reputazione pesa nella richiesta ministeriale di riconoscimento della DOC, perché dimostra notorietà e qualità consolidate sul territorio.

Attilio Scienza

L’arrivo di Claudio Tipa: continuità, non rivoluzione

Il racconto si fa aneddoto. Claudio Tipa approda in azienda cercando “quel bianco” di cui si è innamorato. Si assaggiano le vasche, si parlano lingue diverse ma compatibili: nasce un dialogo che diventa amicizia e, infine, passaggio di testimone. Giuseppe Di Gioia rilegge quegli anni: nel 2002 Bolgheri stava entrando nel salotto buono del vino italiano, ma non era ancora la denominazione che è oggi. La mossa di Tipa non fu opportunistica: fu visionaria. Preservò lo spirito, rispettò la mano, ampliò la prospettiva. Nel 2004 mise a dimora la prima vigna ad alberello, intuizione maturata anche guardando alla Francia; in seguito estese la superficie con parcelle in alto, a Casa Vecchia, attorno ai 200 metri, bordate dal bosco: un microclima più fresco e una lettura più fine della collina. L’aumento produttivo arrivò, ma solo dove c’era valore agronomico. Cavallari è netto: “Non è cambiata la mano. Sono cambiati i mercati: oggi il vino parla al mondo, ma lo spirito è lo stesso”.

Giuseppe Di Gioia

Il ruolo di squadra: tecnica, mani, quotidianità

Nel film scorrono volti e ringraziamenti. C’è il team di Grattamacco, che vive ogni giorno “la responsabilità – e il piacere – di condividere il progetto”. C’è Luca Marrone, capace di tradurre tecnicamente la visione degli imprenditori con scelte misurate e coerenti. Ci sono gli autori: la curiosità senza retorica del regista Beppe Tufarulo e la scrittura attenta di Gabriele Scotti. C’è la famiglia Tipa–Bertarelli, presenza costante, con passione, determinazione e coerenza. E proprio la coerenza diventa una parola chiave, quasi una bussola: è la misura con cui chi guida oggi l’azienda giudica la propria stessa scelta di “sposare questo progetto”.

Le etichette-simbolo: un mosaico coerente

Il portabandiera è il Grattamacco Bolgheri Superiore DOC, la sintesi della collina: vigne storiche affacciate sulla costa di Grattamacco, un blend bordolese in cui il Sangiovese resta l’asse identitario, e un affinamento di circa diciotto mesi in barrique, usate con pudore. Accanto a lui vive L’Alberello di Grattamacco, un blend di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc allevati ad alberello: è la vena sperimentale che diventa stile, un unicum tecnico che racconta la curiosità di chi lo ha voluto. Il Vermentino di Grattamacco è il volto mediterraneo: nasce dalla vigna più antica di Vermentino dell’azienda, lavorato con ambizione – anche il legno – per cercarne struttura e longevità. Infine, il Bolgheri Rosso funge da porta d’ingresso al linguaggio della casa: è più immediato, ma non rinuncia a eleganza e riconoscibilità.

Focus sull’annata 2022: un anno difficile, un vino equilibrato

Il millesimo 2022 ha messo alla prova la tenuta più del solito. La primavera è partita lenta e fresca, con una vegetazione che cresceva con calma fino a metà maggio. Poi, all’improvviso, il clima si è capovolto: ondate di calore e venti carichi di umidità hanno accelerato tutto, stravolgendo i ritmi lenti dei mesi precedenti. Provvidenziali le piogge di fine estate, tra metà agosto e i primi di settembre, che hanno evitato lo stallo della maturazione e riportato armonia nei grappoli. La raccolta è cominciata in anticipo il 25 agosto e si è chiusa il 24 settembre: dapprima veloce, poi più riflessiva, poco prima delle precipitazioni più intense. Ne è nato un vino che, nonostante le difficoltà climatiche, unisce densità e freschezza, con una vitalità che ne diventa il tratto distintivo. Il Bolgheri Superiore 2022 si conferma fedele alla filosofia della casa: Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese intrecciati in un blend originale per la denominazione, capace di dare slancio verticale e energia gustativa. Le vigne storiche, tra le più vecchie di Bolgheri, si appoggiano su terreni di argille bianche e flysch calcareo–marnoso, coltivati in biologico dal 1997. In cantina, lo stile rimane essenziale: fermentazioni spontanee in tini di rovere aperti, follature manuali, macerazioni lunghe senza controllo termico. L’affinamento prosegue per almeno diciotto mesi in barrique di rovere francese, seguito da una sosta in bottiglia che completa il profilo. Il risultato? Un vino sapido, con tannini di rara finezza, ricco di sfumature mediterranee e di energia vibrante, intimamente legato al suo luogo d’origine.

Le quattro colonne d’identità

Quando, durante il dibattito, qualcuno parla di “pilastri”, è a questi capisaldi che pensa. La collina e il suo microclima – tra 100 e 200 metri, il bosco come scudo, il mare come respiro – danno la matrice. L’agricoltura biologica e un approccio sostenibile, formalizzati già nel 1997, rappresentano la scelta etica e agronomica. L’artigianalità di cantina, con tini aperti, estrazioni delicate, lieviti indigeni e macerazioni lunghe, racconta un’idea di vino non interventista. E poi c’è il Sangiovese nel blend, l’innesto toscano che dona eleganza dove il solo Cabernet e il solo Merlot, talvolta, non arrivano. A fare da suggello resta una scena simbolica: nel 1994, sotto un leccio della tenuta, si riuniscono i firmatari del primo disciplinare del Bolgheri DOC. Grattamacco non si limita a produrre: aiuta a scrivere le regole del luogo.

“Tributo all’umanità”: perché questo film

Dalla platea lo si dice senza giri di parole: non è un anniversario; è un tributo all’umanità. Non bastano suoli, esposizioni, microclimi: a fare la differenza sono le persone, con i loro valori, le loro idee, i loro dubbi, e la coerenza di chi sa andare oltre le mode. Per questo il docufilm diventa anche un archivio per la collettività del vino: serve a preservare la memoria e a ispirare chi verrà, mostrando l’impatto positivo che un vino – se fatto bene – può avere su territorio, società e comunità. La serata si chiude all’Osteria Mirò, dentro al cinema: si degusta la quarantesima vendemmia del Bolgheri Superiore. È un passaggio semplice e conviviale: incontro, memoria, vino.

Il confronto tecnico (e umano): cosa è emerso sul palco

Ferraro ha raccolto e rilanciato le parole-chiave – valore, illuminazione, visione, Bolgheri – e ha chiamato i protagonisti a declinarle. Cavallari ha raccontato l’enoteca di Bergamo Alta, gli inverni senza luce sul colle, i bottiglioni di bianco e la scelta del mare come orizzonte esistenziale. Scienza ha illustrato con chiarezza la metodologia della zonazione: prima la geologia e la pedologia per capire da dove viene la collina, poi lo studio del rapporto tra vitigni, suoli e clima, infine l’ottimizzazione delle pratiche perché ogni varietà, lì, possa dare il meglio. Di Gioia ha chiarito la filosofia del gruppo: preservare lo spirito e investire dove il valore agronomico è più alto – l’alberello del 2004, le vigne di Casa Vecchia a 200 metri , evitando ogni crescita disancorata dal luogo. Marrone, infine, è entrato nel merito tecnico: la pulizia dei grappoli, la protezione del frutto dal sole, l’uso misurato delle barrique, e soprattutto i tini aperti, scoperti con Castelli, che consentono estrazioni gentili senza pompe né forzature. Il filo che unisce tutto è uno solo: coerenza, cioè la capacità di migliorare senza travolgere.

Recensione del film: lentezza, verità, riconoscibilità

Il docufilm di Beppe Tufarulo abbraccia il tempo lungo. I campi larghi respirano, le mani selezionano i grappoli, le voci si spezzano e riprendono, i silenzî pesano come terra bagnata. Non cerca l’effetto patinato: preferisce la verità dei dettagli. Per chi ama il vino, è un viaggio immersivo. Si vedono i suoli nel gesto che li sbriciola, si ascolta la collina quando tira vento, si capisce perché la scelta “eretica” del Sangiovese renda il vino subito riconoscibile. Il dibattito finale completa il senso dell’opera: memoria con Cavallari, metodo con Scienza, visione con Di Gioia, mestiere con Marrone. Quattro voci, una storia sola.
Grattamacco non è solo una cantina: è un laboratorio di identità che ha avuto il coraggio di salire in alto quando era controintuitivo, di tenere il Sangiovese quando sembrava fuori moda, di scrivere le regole del luogo in cui vive. Il film – e la serata – lo dimostrano: dietro ogni calice non c’è soltanto un grande vino, ma una comunità, una collina affacciata sul mare, una coerenza custodita per quarant’anni. E quando la platea si sposta a tavola per la degustazione, resta l’eco di una frase semplice: “Un vino si migliora senza travolgerlo”. Forse è questa la definizione più onesta di eleganza. 

Sara Missaglia
Sara Missaglia

Giornalista, Sommelier, Degustatore Ufficiale e Relatore dell’Associazione Italiana Sommelier è milanese DOCG (Ambrogino d’oro 2018) e ama la Valtellina, che ha conosciuto e frequentato sin da bambina. Racconta di vino e dintorni per alcune riviste e testate giornalistiche, collaborando alla redazione delle Guide Vitae e Viniplus. È autrice del libro “Valtellina. In alto i calici” edito da Bellavite Editore. Esperta di comunicazione, è docente abilitato ai corsi AIS, wine educator in ambito enogastronomico, Degustatore Esperto della Regione Lombardia e Visiting Professor presso la Scuola di Enologia di San Michele all’Adige. È inoltre commissario degustatore in alcuni concorsi sul territorio nazionale e organizza eventi per la diffusione e la promozione della cultura del vino. Si occupa infine di copywriting e naming design nel marketing e nella comunicazione social e web. Vive a Milano dove è nata ma, appena possibile, lascia la city e, con passione e desiderio di nuove scoperte, torna sempre in vigna.

Vitae Online logo
  • Home
  • Chi siamo
  • Contatti
  • Rinnova la tua quota
  • Associati ad AIS
  • Modifica i tuoi dati
Vitae Online Lights Newsletter
  • Legal
  • Cookies
  • Privacy
©Vitae Online 2025 | Partita IVA 11526700155