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Vino
18/12/2025
Di Fabio Rizzari

I freschi bianchi siciliani

Per un ostinato pregiudizio i vini siciliani in generale, e i bianchi in particolare, sono considerati alcolici, pesanti, non facili da bere.
Del resto, anche un nume tutelare della Patria enoica, Paolo Monelli, scriveva negli anni Trenta che i bianchi meridionali “non sanno più di fiori e di frutta ma di olive e di erbe dell’orto”.
Un pregiudizio grazie al cielo superato dalle nuove generazioni di bevitori, che hanno ormai ben presente, per fare l’esempio più didascalico, la freschezza dei bianchi etnei: vini di sicuro vibranti e dinamici, tutto meno che appiccicosi se coerenti con il loro territorio e la loro (recente) tradizione.
Meno consolidata l’idea che altre aree produttive sicule sappiano fare altrettanto. La Valle di Noto, nel quadrante sud-orientale dell’isola, vanta una tradizione vitivinicola millenaria, ma la sua fama moderna è certamente legata al nero d’Avola e ai relativi rossi, da qualche decennio conosciuti per la loro struttura e generosità; quando non per la loro opulenza un po’ debordante.

Inaspettatamente bianchi

Non altrettanto intuitiva – nella mente dell’enofilo medio – l’associazione con i vini bianchi, se si esclude il tradizionale Moscato di Noto, che è una tipologia di vino soprattutto dolce variamente declinato dai produttori locali.
Eppure, proprio da qui, da un vasto areale calcinato dal sole in estate – ma posto a una discreta altitudine media e capace di moderate escursioni termiche tra il giorno e la notte – provengono alcuni degli specimen più stimolanti di bianchi agili, poco alcolici, amici della tavola.
È senz’altro il caso della proposta di Riofavara, nucleo produttivo attivo soprattutto dalla metà degli anni Novanta grazie all’opera di Massimo Padova. L’azienda si muove in virtuoso equilibrio tra naturalità e modernità. Dove per naturalità si intendono scelte agronomiche biologiche, assenza di trattamenti aggressivi, un indirizzo complessivo attento al rispetto dell’ambiente; e per modernità l’impiego di tecniche non arcaiche in cantina, che non disdegnano l’uso di macchinari moderni, ove rispettosi della materia prima. Ciò dà vita a vini irreprensibili sul piano della grammatica enologica e allo stesso tempo liberi, “sciolti”, non ingabbiati da alcun protocollo omogeneizzante.

Massimo Padova

Una strada alternativa

La gamma aziendale è vivacizzata da nomi evocativi: Spaccaforno, Mizzica, Notissimo, e simili. I rossi sono abbastanza buoni, qua e là perfettibili. Personalmente apprezzo in speciale misura i bianchi: dal finto-semplice Marzaiolo, taglio di uve autoctone di succosa bevibilità, al Mizzica, un Moscato Bianco, non dolce, arioso nei profumi e sapidamente rinfrescante al palato.
Le considerazioni sul bianco più complesso della linea, il notevole Nsajàr, ottenuto da varietà rare e in via di recupero (recunu, cutrera, rucignola), richiederebbero un post a parte. Qui mi premeva far intravvedere al lettore curioso una strada alternativa alle – pur valide – scelte classiche nordiche quando si tratta di portare a tavola vini bianchi snelli e vivaci.

La foto di apertura è di Corina Rainer su Unsplash

Fabio Rizzari
Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato come redattore ed editorialista presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, a cominciare da Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS. È relatore per l’Accademia Treccani.

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