I vitigni reliquia nel Val di Noto: dal passato può arrivare la soluzione per il futuro

La storia non si ferma. Non ha paura del presente. E nemmeno del futuro. Coincidenze dettate da scelte dell’uomo. Oppure dalla natura. Non si sa con certezza. Per i vitigni reliquia in Sicilia, è proprio così.
Esiste da qualche anno un certo fermento nella riscoperta di queste varietà di uve quasi estinte e cadute in disuso ma che adesso stanno tornando alla luce. Si sta provando a togliere metaforicamente la polvere dagli acini di queste uve dimenticate per lungo tempo, per scoprirne i segreti e provare a capire come produrre vino oggi, con la consapevolezza dei giorni nostri. Le nostre tecniche. Le nostre filosofie.
Riscoprire le uve reliquia, però, è anche un viaggio del passato. Un passato dove, evidentemente, in quei suoli o in altri affini per caratteristiche, quei vitigni erano espressione di quella civiltà. Scoprire i segreti dei vitigni reliquia significa, per diversi produttori di vino, scoprire qualcosa di più su noi stessi, i noi stessi che non esistono più ma che potrebbero esserci utili per esistere oggi.
In Sicilia i principali vitigni reliquia su cui si sta sperimentando (anche in cantina e in bottiglia) ormai da diversi anni sono: vitrarolo, lucignola, inzolia nera, orisi, usirioto, recunu e catanese nera. Ma ne esistono altri che sono appena stati (ri)scoperti e che ancora devono essere compresi.
Questi vitigni, in base alle ricerche, sono tipici di una particolare zona della regione, ma in realtà si è scoperto che si sono adattati anche ad altri territori.
Anche il Val di Noto ha da alcuni anni iniziato un processo di riscoperta e valorizzazione dei vitigni reliquia. Sono diverse le aziende del Sud Est siciliano che hanno ritrovato piante “non identificate” immediatamente e che hanno avviato studi e sperimentazioni. Altre, invece, hanno già dato il via a una produzione di vini reliquia, provando a procurarsi l’uva dimenticata che più potrebbe adattarsi al proprio territorio e a sperimentare.
Barone Sergio: Reliquia come una macchina del tempo che unisce passato, presente e futuro
Barone Sergio, azienda che si trova nel territorio compreso fra Noto e Pachino, in tal senso ha già sviluppato una linea di vino: il “Reliquia”, ottenuto proprio dalla coltivazione di lucignola, un vitigno a bacca rossa originario del territorio dei Nebrodi.
In verità l’azienda ha inserito dapprima il “nuovo-vecchio” vitigno in blend con nero d’Avola e perricone per “Le Mandrie”, uno dei rossi di Barone Sergio. Poi, però, complici anche la buona resistenza del vitigno e l’ottima resa, si è puntato a produrre un vino con uve lucignola in purezza.
“Tutto nasce da un confronto con i nostri consulenti, prima di tutto il nostro agronomo, Lucio Brancadoro, professore ordinario dell’Università di Brescia”, spiega Angela Sergio, che attualmente guida l’azienda insieme alla sorella Luigia. “La Sicilia stava portando avanti uno studio scientifico per il recupero di queste varietà massali e clonali. Mio padre si è incuriosito e quindi andò a recuperare le marze da Tasca. Da lì è iniziata la missione di valorizzazione di queste varietà”, ha proseguito.
Secondo Angela Sergio, le caratteristiche della lucignola possono racchiudere una speranza, ovvero quella di poter resistere ai cambiamenti climatici in atto: “La peronospora del 2023 e il climate change della vendemmia scorsa, hanno ridotto del 40% la raccolta dell’uva in tutta la Sicilia. In questo senso il reliquia è più resistente, probabilmente perché originario dei Nebrodi, quindi diverso terroir e clima. Invece nel Val di Nato ha dato risultati ottimali e ha dimostrato quanto sia resistente nei cambiamenti del terreno nel clima e anche nel tempo, dato che si tratta di una varietà antica, una sorta di mix fra sangiovese e un vitigno non ancora identificato, quindi un ibrido. In tal senso la sua forza risiede proprio nel suo essere vitigno ibrido. Secondo me può rappresentare una delle soluzioni per fronteggiare le sfide del futuro”.

Sergio conferma il fermento e l’attenzione che i viticoltori siciliani stanno riservando ai vitigni reliquia, raccontando della masterclass che si è tenuta lo scorso gennaio in occasione della presentazione della Guida dei Vini di AIS Sicilia: “Per la prima volta ci siamo incontrati noi produttori di questi vitigni, sia a bacca rossa che a bacca bianca. C’è chi lo propone, oltre che fermo, in versione spumante o passito. Un bel momento di confronto secondo me”.
Ma come viene prodotto il “Reliquia” di Barone Sergio? “La raccolta dell’uva avviene a settembre, a seconda delle annate può mutare di qualche settimana. La vendemmia 2021, quella attualmente disponibile, ha svolto una macerazione a grappolo intero, del 30 percento per 20 giorni. In seguito, abbiamo fatto una fermentazione alcolica in acciaio, per 2 settimane e dopo abbiamo anche svolto la malolattica in modo naturale. L’affinamento si svolge prima in piccoli tonneau di rovere francese per 6 mesi e poi un anno in bottiglia. Nella filosofia dell’azienda cerchiamo di valorizzare il vitigno, quindi il legno lo usiamo con parsimonia”.
Ma c’è di più che riscoprire e produrre un vino da uve antiche. Per l’azienda questa scelta ha avuto grosse motivazioni simboliche: “Per noi il reliquia è importante per trasmettere la filosofia della nostra azienda. Il Reliquia è come un viaggio all’interno di noi stessi. Ci ha portato al recupero delle cose nostre. Per noi ha simboleggiato questo ritorno dal passato al presente e lo ha unito all’innovazione. In quella bottiglia abbiamo unito tutto quello che è il percorso aziendale, il ponte fra passato e presente”, spiega Angela Sergio, che allude anche al passaggio di consegne dell’azienda, adesso in mano alla nuova generazione, ovvero lei e la sorella Luigia.

Riofavara e i reliquia: un destino inevitabile per produrre vini in chiave moderna
Più a Sud di Barone Sergio troviamo Riofavara, che nel territorio di Ispica produce vini dal forte carattere identitario senza rinunciare alle sperimentazioni. Fra queste c’è il progetto dei vitigni reliquia, che ha preso piede ormai da qualche anno, portando a una produzione stabile di vini utilizzando queste uve dimenticate.
“Nsajar”, il vino ottenuto dalle uve recunu, cutrera, rucignola, si può considerare uno dei simboli dell’azienda, che ha avuto l’intuizione di puntare sulla produzione di questi vitigni reliquia: “A partire dalla vendemmia 2013, a Riofavara si è resa evidente la necessità di apportare cambiamenti in vigna e in cantina”, spiega Clementina Padova, figlia di Massimo, titolare dell’azienda.
Il racconto porta a comprendere come la realtà di Riofavara abbia incontrato il mondo dei vitigni reliquia: “La forte attrazione del modello Etna nei vini siciliani aveva sdoganato alcune caratteristiche che negli anni precedenti erano quasi inaccettabili: in Sicilia l’acidità e la freschezza nei vini bianchi e rossi stava diventando un carattere predominante, ricercato, distintivo, apprezzato”.
Pertanto, “la nostra ricerca all’inizio fu orientata principalmente a vitigni a bacca bianca per l’ottenimento di basi spumante con acidità e pH sostenuti e profilo aromatico medio. Volevamo realizzare un metodo classico con uve totalmente siciliane senza ricorrere agli alloctoni”.

Un progetto dell’Assessorato Agricoltura della Regione Sicilia ha però fornito l’illuminazione all’azienda. Un progetto che coinvolgeva alcuni vitigni e i cloni originari di vitigni quali il frappato, il nero d’Avola, il perricone, il catarratto e tanti altri tra cui alcuni vitigni cosiddetti reliquia o dimenticati o scomparsi (circa 40 in tutto).
“Successivamente, nel 2014 abbiamo partecipato a una degustazione di micro-vinificazioni realizzate dall’Istituto della Vite e del Vino di Palermo, di alcuni di questi vitigni vinificati in purezza, come per magia, erano apparsi: recunu, cutrera, rucignola”, prosegue Clementina. L’episodio in questione ha portato nel 2017 all’inizio della coltivazione di queste varietà che nel 2019 hanno dato vita alla prima vendemmia: “Nsajar deriva dal dialetto siciliano, e significa provare, testare se qualcosa va bene, parola di derivazione spagnola da ‘ensayar’”, continua.
La produzione, racconta la giovane Padova che in azienda di occupa di marketing, vede “una raccolta manuale effettuata nelle ore più fresche della mattina, le uve vengono sottoposte a due diversi approcci di vinificazione. Una parte del raccolto viene inserita intera all’interno della pressa, senza alcuna diraspatura, in modo da ottenere una spremitura delicata che mantenga intatte le caratteristiche aromatiche dell’acino. L’altra parte, invece, viene diraspata con cura prima di essere anch’essa sottoposta a una pressatura soffice. Entrambe le masse d’uva vengono precedentemente raffreddate per preservarne la freschezza e rallentare l’attività enzimatica, permettendo così una migliore estrazione degli aromi”.
Per quanto riguarda la pressatura, questa“avviene in modo frazionato, per separare le varie qualità di mosto, e il succo ottenuto viene poi lasciato decantare staticamente, favorendo la naturale sedimentazione delle particelle solide. Una volta limpido, il mosto viene avviato alla fermentazione alcolica, che si svolge a temperatura controllata (tra i 12 e i 15 °C) per esaltare la componente aromatica del vino. La fermentazione è innescata con l’aggiunta di un pied de cuve, ossia un prelievo di mosto delle stesse uve raccolte anticipatamente e già avviato alla fermentazione, per garantire un avvio spontaneo, regolare e coerente con l’identità del vitigno e del terroir”.
La media di bottiglie prodotte ogni anno varia fra 2000 e 3000 mila, numeri che raccontano quanto “Nsajar” abbia ormai preso piede in modo stabile nella produzione di Riofavara: “Per l’azienda i reliquia rappresentano il desiderio di sperimentare e approfondire lo studio di uve interessanti, uno studio che serve a creare attenzione non solo sul vitigno ma anche e soprattutto sul territorio. Il Val di Noto potrebbe essere un ottimo terroir per alcuni vitigni reliquia sia bianchi che rossi, naturalmente serve tempo, sperimentazione e approfondimento dei risultati enologici ottenuti per avviare un vero processo culturale”, conclude Clementina Padova.

La sfida dei vitigni reliquia: una risorsa utile per il futuro
I vitigni reliquia nel Sud Est siciliano prendono sempre più piede, con aziende, come Terre di Noto, che muovono i primi passi. L’azienda, che si trova nel territorio della capitale del barocco più famoso della Sicilia, ha da poco imbottigliato e dato alla luce le prime 330 bottiglie di “La Rucignola”, il vino che prende il nome proprio dalla reliquia su cui l’azienda ha deciso di puntare. Acidità e freschezza in grande evidenza per un vino che ancora possiamo definire come un prototipo, un punto di partenza su cui muoversi per una eventuale produzione “definitiva”.
Nel Val di Noto ci sono anche aziende che non hanno ancora una produzione di vini ottenuti da uve reliquia ma che ne stanno appunto studiando il comportamento, a dimostrazione del fatto che nel territorio il tema dei vitigni reliquia è particolarmente sentito.
Ad esempio, Cantine Pupillo, che fa base a Siracusa, sta studiando il comportamento delle piante di Lucignola. A spiegarcelo è Carmela Pupillo, la titolare dell’omonima azienda: “Il fenomeno di ampliare la base varietale del patrimonio siciliano nasce tanti anni fa. In Sicilia presso il Vivaio Paulsen ci sono oltre 250 varietà di queste uve reliquia, quindi un grande patrimonio di biodiversità”.

“Nel 2017 sei varietà furono vinificate dall’istituto regionale della Vite e del Vino e quindi cominciammo ad assaggiare delle prove enologiche – prosegue Pupillo –. Successivamente ricevetti delle gemme di lucignola che abbiamo messo vicino al nostro vigneto di nero d’Avola. Noi avevamo delle piante di moscato molto antiche, che dal Professor Di Lorenzo, ordinario all’Università di Palermo, sono state mandate alla banca del genoma e furono tipizzate come piante di moscato di Siracusa. Ma abbiamo anche in azienda un’altra tipologia di uve reliquia a bacca bianca, chissà se riusciremo a utilizzare in futuro in azienda”.
“La cosa più importante per noi produttori – conclude Carmela Pupillo, che fa parte anche del direttivo nazionale del FIVI – è provare a mettere in campo queste uve. Ogni anno le condizioni metereologiche e il cambiamento climatico creano scenari inediti che non permettono gestioni ordinarie, ma è una sfida vera e propria e questi vitigni reliquia potrebbero anche rappresentare una sorpresa in futuro. Una vera e propria risorsa”.