“Il Calice dei Ricordi”, un racconto di Natale
La neve in Romagna non cade più come una volta. Forse qualcuno ne sarà anche felice – felice di non dover più faticare per spalare la neve, di non dover lottare contro una natura che sa essere ostile – ma ad Andrea mancava quel bianco velo sottile che ricopriva i filari spogli delle sue amate colline. Quelle colline che, da giovane Sommelier, aveva esplorato infinite volte insieme ai suoi colleghi, scrutando ogni pendio, ogni vigneto, ogni singolo filare come custodi di preziosi segreti.
Gli mancava quel mantello bianco che tutto purifica, e che sembrava cancellare, anche solo per un breve attimo, tutte le ingiustizie del mondo. Cos’è un Natale senza neve, si domandava Andrea immerso nelle sue fantasie mentre un tramonto senza colori preannunciava già un’altra giornata come tante altre. Proprio non lo sopportava un altro Natale così spoglio e si domandava se questo fosse il futuro che lo attendeva. Pensava al Natale senza il bianco mantello come ad un violino senza corde, ad un vino senza alcol, o a una bottiglia di vino bevuta senza amici. Dalle nebbie del tempo emerse un vago ricordo, come qualcosa di incompiuto, di lasciato a metà che però si dissipò subito.
Il tempo sembrò dilatarsi e sentì che qualcosa o qualcuno lo chiamava e così prese una decisione. Si recò in cantina e afferrò una bottiglia preziosa che pareva avere i suoi stessi anni. Fu come una scossa elettrica quando le sue dita sfiorarono il vetro polveroso. Il contatto lo folgorò, catapultandolo in una dimensione dove realtà e ricordi si fondevano. In un istante, ripiombò nella vigilia di un Natale di tanti anni addietro – l’epoca delle bevute senza pensieri, delle sconsideratezze, delle notti infinite passate a dissertare di vini, vigneti e vignaioli con una passione che bruciava come fuoco.
Cercò di afferrare il ricordo sfuggente di insegnamenti antichi, le mani che tremavano leggermente mentre eseguiva il rituale dell’apertura. Il cavatappi penetrò nel sughero con un suono familiare, quasi rassicurante. Il tappo, ancora umido e profumato, uscì con un sospiro sommesso, liberando aromi che erano rimasti prigionieri per decenni.
Il primo profumo che si liberò dal collo della bottiglia lo colpì come uno schiaffo gentile: more mature, cuoio invecchiato, un accenno di tartufo nero. Il Pétrus, questo nobile gigante di Pomerol, aveva conservato una dignità regale nonostante gli anni. Nel calice, il liquido rubino scuro danzava con riflessi granata, come se raccontasse la sua storia attraverso la luce.
Si predispose all’assaggio con reverenza quasi religiosa. Il vino aveva perso la sua giovane esuberanza, quella forza impetuosa che lo caratterizzava nei primi anni della sua vita, ma non aveva ancora raggiunto la serena saggezza della piena maturità. Era come se fosse sospeso in un limbo temporale, proprio come i ricordi che affollavano la sua mente.
I fantasmi dei ricordi si materializzarono uno dopo l’altro nella penombra della cantina. Ecco Giorgio, con il suo eterno block notes pieno di appunti; Monica, che poteva riconoscere un Sangiovese di Romagna a occhi chiusi; e Valentina, la più giovane ma forse la più talentuosa di tutti loro. Le loro figure sembravano danzare nella luce fioca, come i riflessi del vino nel calice.
“Che ne pensi dell’evoluzione terziaria?” avrebbe voluto chiedere a Valentina, ricordando come lei fosse sempre stata precisa nell’analisi organolettica. Ma le parole gli morirono in gola quando realizzò che i calici dei suoi amici erano ancora pieni, immobili, intatti. Il silenzio della cantina divenne improvvisamente opprimente, rotto solo dal suo respiro sempre più affannoso.
Lo shock del vino bevuto tutto d’un fiato fu come un pugno allo stomaco. Il Pétrus, mai nato per essere trattato con tale irriverenza, si vendicò con una vampata di calore che gli incendiò prima la gola, poi lo stomaco. Gli sembrò che tutto il locale iniziasse a girare, le bottiglie sugli scaffali divennero una danza vorticosa di etichette sfocate, mentre i volti dei suoi amici si dissolvevano come nebbia al sole. L’ultimo viso che vide fu quello di Valentina, con un’espressione di rimprovero bonario che lo perseguitò fino all’incoscienza.
Lo raccolse sua moglie a tarda sera.
“Andrea, ma cosa fai tutto solo in cantina, non ti sarai mica scolato quella bottiglia di Pétrus che avevamo preso per la vigilia?”
“Ma no, l’ho condivisa con i miei colleghi, solo che adesso sono andati via!”
Gli si velarono gli occhi al ricordo di Valentina e di tutti gli altri, mentre una profonda malinconia lo avvolgeva al pensiero di quella bottiglia che non venne condivisa quando il momento era giusto. Ma poi, come il bouquet di un grande vino che si sviluppa lentamente nel calice, un pensiero lo consolò: questo non era una fine, ma un nuovo inizio. Si ripromise che da quel momento ogni bottiglia sarebbe stata un’occasione per creare nuovi ricordi, nuove amicizie, nuove storie da raccontare. Perché il vino, come la vita stessa, acquista significato solo quando viene condiviso.
Buon Natale, sussurrò dal profondo del cuore. Buon Natale a tutti!
Le foto di apertura e di chiusura sono rispettivamente di Tessa Rampersad e Mira Kemppainen su Unsplash.