Il Chianti Docg sfida i nuovi trend di mercato rinnovando la sua tradizione

Negli ultimi anni il mondo del vino ha vissuto e sta vivendo importanti cambiamenti frutto di mode e congiunture varie. Tre sono gli elementi cruciali: il cambio generazionale tra i produttori e tra i consumatori, il sempre più incisivo cambiamento di palato, occasioni/abitudini di consumo e culture gastronomiche, e più in generale una nuova consapevolezza nella moderazione del consumo di alcolici. Questa importante metamorfosi avviene in una cornice estremamente volubile ed eterogenea fatta di comunicazione rapida, cambiamenti climatici tangibili e inevitabili, su e giù di tendenze.
Una tra tutte: il mercato globale del vino sta incalzando una parabola di trend legato a vini più “semplici” e di più bassa gradazione alcolica.
Protagoniste di questi cambiamenti, aziende e denominazioni, tra cui quella del Chianti DOCG, una tra le più storiche in Italia, nata da un gruppo di viticoltori che nel 1927 costituisce il “Consorzio del Vino Chianti”, un’associazione la cui missione era ed è quella di tutelare questo straordinario vino, “quale per tradizione antichissima è conosciuto in Italia e all’estero”. Il vino Chianti DOCG oggi è altresì sinonimo di un territorio unico che, dal 1932 comprende sei province, punteggiate da città d’arte e cultura tra le più belle del mondo: Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Pistoia, Prato. Questa “love story” tra l’uomo e la natura, ad oggi coinvolge circa 3.000 aziende disseminate su una superficie vitata di circa 15.500 ettari, che ogni anno esprime una media di produzione rasente i 100 milioni di bottiglie.
Oggi, per il nuovo Direttore del Consorzio, Saverio Galli Torrini, la sfida più importante del Chianti è legata proprio ai nuovi trend del mercato e a come riuscire a intercettarli. Il Chianti è infatti associato un vino rosso corposo e importante; quindi, la difficoltà maggiore è quella di innovarsi sia dal punto di vista tecnico (disciplinare, gradazione alcolica, etc.) sia dal punto di vista comunicativo per coinvolgere, quella parte di consumatori in Italia e soprattutto all’estero che conoscono poco tutte le diverse sfaccettature del Chianti, o che prediligono i vini bianchi.
Come conciliare quindi, queste nuove esigenze con il concetto del vino “Chianti”, la cui genesi si perde nella notte del tempo e che ancor prima del prodotto in sé evoca un lungo e impervio cammino fatto di persone, città in lotta, arte e panorami mozzafiato? Ebbene, non ci crederete, ma la soluzione è proprio da ricercare nelle origini e nella tradizione… Parola d’ordine “Chianti Retrò”.

La storia ci insegna
Nei documenti dell’archivio Datini (1383-1410) di Prato, viene usato per la prima volta il termine “Chianti” per designare un tipo speciale di vino, spesso bianco, proveniente dai Monti del Chianti. Nonostante le rare apparizioni medievali della parola, la denominazione di questo vino è restata a lungo riferita al nome di “vermiglio” o a quello di “vino di Firenze”. Solo nel Seicento, con l’intensificarsi dello smercio e delle esportazioni, il nome della regione verrà universalmente riconosciuto anche per il celebre prodotto di questo territorio. La quadratura del cerchio avviene però nel XIX secolo quando un personaggio su tutti segnò la storia contemporanea del vino toscano: Bettino Ricasoli. Il “Barone di ferro”, grande personaggio politico dell’epoca, dedicò la sua vita anche alla viticultura, con un instancabile spirito di sperimentazione e carismatica disciplina che applicava personalmente ai propri vini. Esigeva, ad esempio, la separazione dei raspi dalle vinacce, la fermentazione in vasi chiusi e una svinatura rapida seguita dal “governo all’uso toscano”; testava la tenuta dei vini alla navigazione, allora principale mezzo per l’esportazione, spedendoli agli angoli più remoti del mondo per anni; pungolava e sottolineava l’importanza dei primi rudimenti di marketing del prodotto Chianti, che ebbe un boom di notorietà e domanda estera di mercato quasi triplicata intorno al 1890. Seppur soddisfatto della qualità raggiunta dai suoi vini del Castello di Brolio, vermigli, fragranti e resistenti, era piuttosto afflitto dal più ricorrente difetto, ovvero un’eccessiva acidità al palato (che definiva “raschio”), che lo portò a intensificare i suoi rapporti personali col Prof. Cesare Studiati dell’Ateneo di Pisa, perito in materia di chimica del vino. Quasi tre decenni di assennata e instancabile ricerca dopo l’intuizione.
Nel 1872, il Barone fissava in una lettera al Prof. Studiati, la prima formula del suo Chianti:
“Il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal Canajolo l’amabilità che tempra la durezza del primo senza togliergli nulla del suo profumo, per esserne pur esso dotato; la Malvagia tende a diluire il prodotto delle prime due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoprabile all’uso della tavola quotidiana”.
Il Ricasoli arrivò dunque a definire l’uvaggio del suo primo Chianti “moderno” al quale si sarebbe ispirato oltre un secolo dopo il disciplinare DOCG del 1984. Il Chianti deve essere prodotto con 7/10 di sangiovese, 2/10 di canaiolo, 1/10 di malvasia o trebbiano!
Parole chiave di questa storia: GOVERNO ALL’USO TOSCANO, TREBBIANO e MALVASIA.

Governo all’uso toscano
Nei disciplinari del Chianti e Chianti Classico si fa esplicita menzione del “governo all’uso toscano “.
“Fu il Barone Bettino Ricasoli, tra il 1834 ed il 1837 a divulgare la composizione da lui ritenuta più idonea per ottenere un vino rosso piacevole, frizzante e di pronta beva che sarebbe poi diventata la base della composizione ufficiale del vino Chianti: 70% di Sangioveto (denominazione locale per il Sangiovese), 15% di Canaiolo, 15% di Malvasia; e l’applicazione della pratica del governo all’uso Toscano.”
Per ottenere un Chianti governato in periodo di vendemmia si deve prendere una parte di uva, la più sana e matura, meglio sangiovese che canaiolo, raccoglierla in anticipo e lasciare i grappoli per sei settimane, disposti su graticci, all’aria perché appassiscano. Pigiate, queste uve producono un mosto che aggiunto al vino che ha appena terminato la fermentazione e ha bruciato tutti gli zuccheri fa partire una seconda fermentazione, prolungata sino a primavera. Il vino che si ottiene può essere messo in commercio entro l’anno successivo alla vendemmia e a differenza della moderna scuola di Chianti, intesi come vini di grande corpo che si evolvono dapprima in botte quindi in bottiglia per durare svariati anni, è un vino che gioca tutte le sue carte sulla freschezza, la piacevolezza, la vivacità del fruttato.

Le uve a bacca bianca: trebbiano e malvasia
Nel disciplinare del Chianti è inoltre previsto l’utilizzo di uve a bacca bianca, autoctone, in piccole percentuali, e in particolare trebbiano toscano e malvasia bianca del Chianti.
Il trebbiano toscano ha origine comune agli altri vitigni della famiglia dei trebbiani, noti in Italia fin dall’epoca romana. Il loro nome deriva da “Trebula”, ossia fattoria (Plinio il vecchio descrive un “Vinum Trebulanum”, che secondo questa interpretazione, starebbe per “vino di paese”, o “vino casareccio”). È un vitigno caratterizzato più dalla produttività che dalla personalità, e, viene utilizzato nella miscela antica del Chianti, conferendo maggior freschezza e bevibilità al vino. Con il nome malvasia invece, vengono indicati molti vitigni, la maggior parte a bacca bianca, geograficamente distribuiti un po’ in tutta Italia. Sebbene di origini diverse, tutti questi vitigni condividono alcune caratteristiche di base: infatti presentano tutti, anche se con diversi gradi di intensità, una fragranza piccante di muschio e di albicocca e residui zuccherini piuttosto alti. Queste caratteristiche rendono i vitigni del gruppo delle malvasie particolarmente adatti alla produzione di spumanti e di passiti. Il vitigno malvasia bianca lunga esiste in Toscana da secoli.
L’utilizzo di queste uve esalta le caratteristiche fruttate e floreali del Sangiovese, rendendolo accessibile e piacevole fin dalla gioventù. Questo, insieme ad affinamenti brevi, spesso in acciaio o in botti grandi di legno, riesce a preservare freschezza e acidità, ottenendo vini che conquistano più facilmente i palati dei più giovani e si sposano una cucina quotidiana e più contemporanea.

Identikit di un Chianti “contemporaneo”
Il Chianti DOCG vuole essere un prodotto per tutti, una bandiera di inclusività, autentico patrimonio italiano della cultura “Pop”. Se fosse un piatto, sarebbe senz’altro una pizza! Se fosse un indumento, sarebbe un blue jeans: uno di quei vestiti che fa sentire comodi e che sta bene, sempre, con tutto.
Il Chianti DOCG oggi è un vino di un vivace colore rosso rubino traslucido, tendente al granato con l’invecchiamento. Di sapore secco, sapido, leggermente tannico, dal profumo intenso ed elegante richiamante con frequenza sentori di mammola (Viola odorata) e piccoli frutti rossi.Il Chianti può essere consumato, come vino giovane ancora un poco scalciante, fresco e gradevole al palato, con tannini squillanti e ripulenti, dalla beva accattivante e un poco spensierata che ha pochi eguali al mondo. Ma può essere atteso, ed allora è ben nota anche la sua vocazione ad un medio e lungo invecchiamento, in cui matura colore, aroma e complessità di sapore, si arrotondano i tannini e amalgamano i volumi al palato.I raffinati chiaroscuri della terra toscana si ritrovano in questo vino che è uno dei primi simboli universali del “Made in Italy”.
Le operazioni di vinificazione, imbottigliamento ed affinamento devono essere effettuate nell’ambito della zona di produzione delimitata. Il riferimento alle sottozone “Colli Aretini”, “Colli Fiorentini”, “Colli Senesi”, “Colline Pisane”, “Montalbano”, “Rufina” e “Montespertoli”, in aggiunta alla Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Chianti” è consentito in via esclusiva al vino prodotto, invecchiato, imbottigliato e affinato nelle relative sottozone delimitate, a condizione che il vino sia ottenuto da uve raccolte e vinificate nell’ambito dei rispettivi territori delimitati per ciascuna delle predette zone, e a più restrittivi parametri.

Chianti DOCG “annata”
Tre le tre tipologie di Chianti previste dal disciplinare: Chianti DOCG “Annata”, Chianti Superiore DOCG e Chianti DOCG Riserva. Tra queste il Chianti DOCG “Annata” è quello che va maggiormente incontro ai gusto e ai trend del mercato che sono: vinificazioni più brevi, macerazioni molto meno esasperate; affinamenti sempre meno in legno; gradazioni alcoliche più basse; utilizzo di vitigni autoctoni, e blend più tradizionali con vitigni a bacca bianca storici nel Chianti che ritornano contemporanei; sostenibilità, a tutto campo (bottiglie in vetro più leggero, tappi moderni – anche Stelvin); grande ritorno alla popolarità dei vini “da tavola” più informali, più accessibili e più inclusivi; diverse occasioni di consumo in cui il vino ha una sua dinamica anche fuori dalla tavola, si sbicchiera ed abbina anche come aperitivo e si abbina a cibi più popolari come la pizza.
Il Chianti DOCG “Annata” è l’espressione più giovane del Chianti e la sua immissione in commercio può avvenire per legge solo a partire dal 1° marzo dell’anno successivo alla vendemmia. È un prodotto normalmente di corpo snello, fragrante, dal frutto vinoso e croccante, schietto e mai banale. La sua caratteristica e naturale freschezza, gli dona una versatilità “fatale” negli abbinamenti gastronomici, rendendolo adatto a tutte le occasioni. Lo potremmo definire un vino “universale”, senz’altro il best seller e la bandiera di giovialità toscana.
Il suo processo di elaborazione passa normalmente per vasche in acciaio o cemento, dove fermenta a temperatura controllata al fine di preservare i profumi floreali e freschi del vitigno; spesso continua negli stessi contenitori anche per un breve affinamento per poi essere imbottigliato in primavera. In alcuni altri casi, dove peraltro si rende obbligatorio per disciplinare, il vino effettua un passaggio in legno (botti di rovere più tradizionalmente): è il caso delle sottozone Chianti Rùfina e Chianti Colli Fiorentini, per esempio. Questo ulteriore cambio di contenitore normalmente dona a questi vini una struttura leggermente più complessa che pertanto necessita di più tempo prima di essere pronta per il commercio. Sono questi vini che potranno uscire sul mercato, sempre ai sensi della legge, solo a partire dal settembre dell’anno successivo alla vendemmia.

Alcuni esempi di vini Chianti “Old fashioned”
La Leccia
La Fattoria La Leccia si trova sui colli della Val di Botte, sul versante Nord di Montespertoli, in un’area a vocazione vinicola secolare. La tenuta è di proprietà della famiglia Bagnoli dagli anni Settanta, ma è dal 2013 che Paola e Lorenzo decidono di recuperare le vigne abbandonate con la volontà di rigenerare questo luogo attraverso una viticultura sostenibile e di qualità. Valorizzazione delle piante autoctone (Sangiovese e Trebbiano), ricerca costante della qualità, innovazione sostenibile e artigianalità nelle lavorazioni sono le direttrici su cui si muove la filosofia aziendale con l’obiettivo di ottenere vini che siano capaci di raccontare una storia autentica. Per questo motivo tutta la produzione vinicola non è “lasciata al caso” o alla ricerca di specifiche mode commerciali, ma segue un pensiero chiaro e genuino, nonché scelte produttive volte all’esaltazione del racconto del territorio. Perché come dice spesso Lorenzo: “Tutti i vini devono raccontare una storia. E tutta la storia non basta a raccontare un vino”.

Punta di diamante dell’azienda La Leccia Chianti Riserva, un vino che si può definire di grande “passione” e che si differenzia dal Chianti Superiore per provenienza delle uve e affinamento. Il raccolto viene infatti da una selezione delle vigne Fonteanni e Romano che sono composite di terreni prevalentemente argillosi (il “mattaione” di Montespertoli) e da un’esposizione sempre verso Nord. Il Sangiovese, con un piccolo saldo di Trebbiano, viene maturato in botte grande di rovere di Slavonia e tonneau di Fontainebleau per circa 12 mesi. Segue la preparazione dei tagli e la messa in bottiglia dove affina per altri 6 mesi. Questo Chianti Riserva, con il suo carattere tipico e la sua vivace eleganza, è espressione di amore per questa terra.

Focus: il Trebbiano
Un’uva importante per ottenere un Chianti contemporaneo è il Trebbiano. Questo vitigno era già coltivato al tempo degli Etruschi e nella storia si è mutato in vari cloni a seconda del territorio dove veniva accolto: il Trebbiano Romagnolo, di Abruzzo, di Soave, quello Spoletino e, naturalmente, quello Toscano. I Romani, infatti, lo diffusero su tutta la penisola perché la pianta era forte adattandosi alle più svariate condizioni climatiche e pedologiche. Inoltre, la resa era molto generosa, tanto da farlo diventare tra i vitigni più coltivati e preferiti in assoluto nel Medioevo.
Caterina de’ Medici, dopo esser diventata regina di Francia, non portò solo il Cabernet Sauvignon in Toscana, a Carmignano, dando il via al primo “Super Tuscan”, ma diffuse anche il Trebbiano al di là delle Alpi dove prese il nome di Ugni Blanc. Inizialmente il vitigno non ebbe un grande successo, fino a quando non venne utilizzato per la produzione di Cognac e Armagnac, pratica che viene tuttora portata avanti.

60.000 ettari vitati e 80 denominazioni d’origine sono i numeri attuali di questo storico vitigno, ma i numeri spesso celano una realtà molto diversa dall’apparenza: il Trebbiano per la delicatezza degli aromi e la spiccata acidità è stato relegato a un ruolo marginale da uva da taglio. Anzi, nelle campagne viene sempre più estirpato per lasciare spazio a vitigni più nobili, nel Chianti non è praticamente più usato e gli altri esperimenti di vinificazione, cercando di esaltarne la freschezza e l’aromaticità, si sono rilevati fallimentari. Dopo questa lunga storia, c’è ancora spazio per il Trebbiano?
Nelle zone più oscure e polverose delle cantine Toscane si possono trovare delle piccole botti, vecchie e apparentemente abbandonate. Sono i caratelli, di castagno, di acacia, di gelso, che custodiscono la conclusione di un processo di vinificazione magico, quello del Vin Santo. Le uve, raccolte e selezionate a mano, vengono appese a dei fili negli spazi più areati delle fattorie per farle appassire e concentrarne gli zuccheri. Dopo circa 3 mesi, il liquido ottenuto dalla pressatura dell’uva viene chiuso dentro i caratelli. Il tempo (almeno 3 anni di attesa) e la natura faranno il resto, lasciando l’uomo spettatore e portando questo vino a una riduzione di volume dell’80%, con una conseguente concentrazione delle qualità organolettiche unica nel suo genere. E di questo emozionante vino, il Trebbiano ne è il principale protagonista.

Tuttavia, quando si parla di Vin Santo, sembrerà strano, ma non si può non menzionare il Concilio di Firenze del 1439. In questo momento centrale nella storia dell’umanità, si incontrarono le menti più eccelse del mondo Occidentale e di quello Orientale, dando così definitivamente slancio al Rinascimento. Si può dire che l’umanesimo prese vita grazie anche ai molti codici greci che la Chiesa d’Oriente portò con sé ed è facile immaginare come gli uomini di cultura Fiorentini fossero rapiti dalle parole, dai gesti e dai costumi di questi ospiti provenienti da lontano. E questo rapimento lo si percepisce dalle parole del Bargellini: “Durante il Concilio si tennero anche alcuni banchetti, e uno venne tenuto al termine dei lavori, in segno di raggiunta concordia. Alla fine del simposio fu servito un vino squisito, di produzione locale, fatto con uva bianca appassita. Un vino che, allora, veniva detto “vin pretto”. Ma quando il grande e solenne Bessarione, luminare dei padri greci, lo ebbe portato alle labbra questo esclamò: “È vino di Xantos!”, alludendo al vino della celebre isola greca. I partecipanti credettero invece ch’egli avesse trovato in quel vino tali virtù da proclamarlo “santo”. E col nome di Vin Santo da allora rimase, e rimarrà ancora chissà per quanto tempo”.
Dopo tutto questo sole, vento e pioggia. Dopo questo duro lavoro e pensiero geniale che ha attraversato i secoli. Dopo le casualità, i segni del destino e i colpi della fortuna, La Leccia ha deciso di intraprendere un percorso legato profondamente a questo vitigno. Da un lato la tradizione con il Vin Santo, Sua Santità, che cerca di essere il migliore interprete di una storia che non sembra mai finire. Dall’altro l’innovazione che si ispira alla tradizione, con Cantagrillo, un vino bianco diverso ed eccellente: il Trebbiano, dopo il diradamento dei grappoli e una vendemmia tardiva fatta mano, viene vinificato nelle stesse tipologie di legni (e non solo) utilizzati per il Vin Santo: acacia, gelso, ma anche ciliegio e rovere. Gli assemblaggi rigorosamente selezionati danno vita ad un vino unico, complesso ed equilibrato. Rilanciando un vitigno che ha ancora tanto da raccontare.

Chianti Riserva DOCG – La Leccia
VITIGNO: sangiovese e trebbiano toscano; VENDEMMIA: raccolta manuale in cassette di grappoli selezionati, provenienti da varie vigne di proprietà, in diversi momenti di settembre; MATURAZIONE: in botti grandi da 30 HL di rovere di Slavonia, tonneau di rovere di Fontainebleau e tini di acciaio inox per 12 mesi circa; AFFINAMENTO: in bottiglia per circa sei mesi; PRODUZIONE: 4000 bottiglie.

Pietro Beconcini
La storia della mia Azienda inizia molto prima che io nascessi e precisamente nei primi anni Cinquanta, allorché mio nonno riuscì nell’impresa di acquistare i terreni su cui già lavorava da tempo con la famiglia, ma in qualità di mezzadro alle dipendenze dei Marchesi Ridolfi. La mia è stata una delle prime famiglie contadine Toscane a uscire dal regime di mezzadria, e ciò di fatto ha permesso la nascita dell’attuale PIETRO BECONCINI AGRICOLA con cui mio nonno ha svolto il suo lavoro di agricoltore polivalente, e con cui più tardi mio padre decide di dedicarsi completamente alla conduzione di vigneti ed alla produzione di vino. Il mio progetto inizia a prendere corpo a piccoli passi nei primi anni Novanta, con alcuni anni di studio territoriale, con la prima annata del mio Sangiovese in purezza nel 1995, subentrando definitivamente a mio padre nella conduzione aziendale. Dal 1997 sono coadiuvato da mia moglie Eva Bellagamba, che eroicamente sceglie di condividere con me questo progetto sacrificando il suo futuro di Architetto. Credo di poter dire che la pazienza e la cautela con cui ho intrapreso il lavoro di ricerca in campo siano stati l’effettiva chiave di tutto il lavoro futuro. I più importanti risultati sono stati in ordine cronologico: il capire profondamente i miei terreni, fino ad allora coltivati in maniera arcaica; la selezione di due cloni di sangiovese locali con cui ancor oggi produco; la scelta di incrementare la presenza di malvasia nera (fedele compagno di viaggio del Sangiovese); l’aver individuato la presenza insospettabile a San Miniato di questa pianta fantastica che oggi finalmente sappiamo essere tempranillo. Anche i miei attuali vini sono nati senza eccessiva premura, imponendomi la stessa cautela di sempre e cercando, per quanto possibile, di aver ottenuto il miglior equilibrio possibile nel vigneto e in cantina prima di dar vita ad una nuova etichetta. Per quanto concerne il lavoro di cantina, che io considero appena il 10% del mio lavoro, mi considero uno strenuo tradizionalista che usa botte grande per il sangiovese e tonneaux e cemento vivo per malvasia nera e tempranillo, partendo dal presupposto che il contenitore di legno, qualunque esso sia, deve solo maturare i miei vini, ma che una vinificazione in cemento con macerazioni coraggiose conferisce grande personalità.


Chianti DOCG – Antiche Vie
ANNATA: 2023; ALCOOL: 12,5 % by vol.; BOTTIGLIE PRODOTTE: 30.000; UVAGGIO: sangiovese (70%), malvasia nera, trebbiano (30%); ZONA DI PRODUZIONE: San Miniato, Toscana; SISTEMA DI ALLEVAMENTO: cordone speronato; EPOCA DI VENDEMMIA: prima e seconda decade di settembre; NATURA DEL TERRENO: argille bianche calcaree a PH alto con scheletro formato da conchiglie fossili di età pliocenica; ALTITUDINE: 100-150 mt. S.l.m.; DENSITÀ DI IMPIANTO: 7000 ceppi per ettaro; RESA PER PIANTA: 1,5 kg di uva; VINIFICAZIONE: in cemento con lieviti indigeni e macerazione sulle vinacce di 20 giorni; MATURAZIONE: in cemento per 6 mesi; AFFINAMENTO: 4 mesi in bottiglia; CONSIGLI: conservare la bottiglia coricata al buio non oltre i 20 °C. Stappare almeno un’ora prima del consumo; ABBINAMENTI: primi piatti anche molto elaborati, carni bianche, formaggi freschi, salumi, pesce cucinato in rosso; NOTE ORGANOLETTICHE: colore rosso rubino vivace, profumo vinoso con sentori di viola e ciliegia matura sapore rotondo, di buona corposità, acidità spiccata e buona persistenza.

Colle Adimari
Virginia e Niccolò, attuali proprietari dell’azienda, hanno respirato la passione del nonno e del padre per questa terra e per il vino. Colle Adimari si trova infatti nelle campagne del borgo rinascimentale di Cerreto Guidi, lungo l’antica via francigena, e prende il nome dalla prima famiglia, di cui si ha testimonianza, che ha popolato queste dolci colline, ottocento anni fa circa, ancor prima dell’arrivo dei più noti Medici. Mission dell’azienda è quella di produrre vini veri legati alla terra dove Virginia e Nicolò sono cresciuti. I due fratelli, infatti, dopo studi ed esperienze in altre realtà e all’estero hanno iniziato, circa nove anni fa, ad imbottigliare i vini di Colle Adimari utilizzando in etichetta lo stemma della famiglia degli Adimari appunto, i cui coloro sono l’ocra e l’azzurro. “Vorremmo che i vini parlassero di noi e del lavoro paziente e appassionato di tutti i giorni. Il nostro obiettivo è quello di fare tesoro della storia del luogo valorizzando il territorio con occhi luminosi verso il futuro nel rispetto della tradizione. Insieme proviamo a dare carattere ai nostri prodotti “artigianali” nella migliore e più nobile accezione del termine, creando vini autentici con anima, di chiara, inequivocabile matrice toscana, che interpretano e esprimono con originalità la nostra terra.” Parlando di vini legati a questa terra, hanno deciso di riperdere anche il metodo del “governo all’uso toscano” e di reinterpretarlo in chiave contemporanea. Oggi, infatti, viste le tendenze del mercato e i gusti dei consumatori, questo metodo così ancestrale è sempre più attuale perché permette di avere vinirossi molto profumati e rotondi, dal sapore fresco e armonico con un retrogusto vinoso che ricorda I sapori di vendemmia.


Chianti DOCG – Governo all’uso Toscano
VOLUME DELLA BOTTIGLIA: 750 ml; UVE: Sangiovese 90% governate con uve Merlot passite 10%; ORIGINE: suolo misto Argilloso; SISTEMA DI ALLEVAMENTO: cordone speronato; DENSITÀ DI IMPIANTO: 4000 piante/ha; ETÀ MEDIA DELLE VITI: 10 anni; PERIODO DI VENDEMMIA: uva sangiovese metà settembre, uva merlot metà novembre; VINIFICAZIONE: selezione di uve raccolte manualmente in cassette. Fermentazione in botti di legno e affinamento nelle stesse botti con governo di uve merlot. Imbottigliamento diretto da botte. AFFINAMENTO IN BOTTIGLIA: 6 mesi; ALCOL: 13 % vol.
