Il primo Primitivo non si scorda mai: storie e rinascita della DOC Gioia del Colle

Per dirla alla Nanni Moretti: i simboli sono importanti. Oggi vi raccontiamo una storia nobile di simboli, di stemmi, di araldiche e insegne, di valori.
Prima cosa: il nome, Gioia del Colle, il territorio di cui narriamo. Pare derivi dalla “terra di Joha”, tal Joannakis, governatore bizantino. Oppure dalle gioie, dai “gioielli” perduti e ritrovati da una nobildonna in viaggio tra questi colli. Per finire poi incastonati nel mezzo dello stemma di città: una coppa a forma di calice (badate bene!), ricolma di gioielli, con ai lati motivi vegetali. Non dunque il marchio di un antico casato o marchesato, bensì l’incontro tra la povertà rurale e la ricchezza fertile, tra la vita agreste, quella dell’artigianato e della nobiltà.
E poi c’è un altro simbolo, di adozione decisamente più recente, che sembra ricucire queste storie: il marchio del Consorzio DOC Gioia del Colle, nato appena nel 1999, su cui campeggia una bifora medievale, l’elegante finestra presente nella Sala del Trono dell’antico Castello Normanno Svevo che Federico II pose a difesa della città di Gioia. Ecco dunque che archeologia, architettura, storia e potere si intrecciano celebrando questa terra fertile, la terra della gioia riversa dentro un calice dorato.
Non si tratta di marketing medievale – ne avrebbe tutti i connotati – ma di un percorso millenario che vede la città e il suo agro protagonisti di una storia millenaria, a partire dalla fortuna e celebrità del suo vino.

Antiche origini e un lungo viaggio
Se in Puglia la vite è di casa sin dal terzo millennio a.C., nel gioiese vi sono testimonianze più evidenti a partire dall’VIII secolo a.C.: basta varcare il portone monumentale del Castello per ritrovarne traccia nel Museo Nazionale Archeologico che raccoglie i ritrovamenti di vasi vinari nella zona di Monte Sannace, poco fuori dal centro cittadino. In seguito, durante l’Impero Romano, ma ancor più nei monasteri e nelle abbazie benedettine medievali, la produzione di vino diverrà copiosa e di “suprema qualità”, come avrà a certificare anche Andrea Bacci alla fine del Cinquecento nel suo fondamentale “De naturali vinorum historia”.
Ma a questo punto occorre porre al centro del discorso il più importante simbolo enoico di questa antica terra. Nessun dubbio a riguardo: il Primitivo. A tracciarne le caratteristiche ed effettuare una prima selezione clonale fu l’abate Francesco Filippo Indellicati, nel 1799. Tra le molte uve da vino presenti al tempo, alcune vecchie vigne si distinguevano per una particolare precocità di maturazione: il monaco scelse per queste uve il nome di “primativus” – che localmente sarà ribattezzato “primaticcio” o “primativo”. È probabile che le sue origini siano adriatiche, precisamente croate – la genetica lo riconduce al Crljenak Kastelanski – ma come sia giunto sin qui, non è dato saperlo. Nella zona denominata “Liponti”, che fa ancora oggi parte della contrada “Terzi”, si documentano i primi “otto quartieri” di vigna (circa 1,26 ettari per un totale di 625 ceppi), la prima monocoltura di Primitivo che si ricordi in queste zone.

DOC dal 1987
Lentamente il prezioso grappolo andrà a insediarsi nei terreni limitrofi: dal 1820 ad Acquaviva delle Fonti e dal 1882 nell’agro di Santeramo in Colle. Per giungere poi, nel 1881, oltre la terra di Bari, tra gli impianti di Manduria, nell’ambito della dote portata dalla Contessa Sabini di Altamura a Tommaso Schiavoni Tafuri. Ma questa è un’altra terra e un’altra storia che, ironia della sorte, ha saputo sancire ben presto un… primato sul Primitivo! Sarà solo negli anni Sessanta che le prime bottiglie etichettate “Gioia del Colle Primitivo” inizieranno a imporsi all’attenzione del mercato, raggiungendo il traguardo della DOC nel 1987 per giungere alla nascita del Consorzio di Tutela nel 1999: dalle iniziali tre aziende promotrici alle oltre 15 attuali, la crescita è stata rigogliosa, come pure i prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali.
Accanto al Trebbiano toscano, al Fiano e all’Aleatico, principali interpreti di questi suoli ferrosi, calcareo-argillosi, su alture che raggiungono i 400 metri s.l.m., il grande simbolo di potenza, eleganza ed equilibrio è indubbiamente il Primitivo, coi suoi alberelli a dimora tra uliveti, mandorleti e ciliegeti. Due le versioni previste in questa degustazione di 12 campioni: Primitivo base, con titolo alcolometrico minimo del 13%; Primitivo Riserva con due anni di maturazione e una gradazione minima di 14° (ma nessuna sorpresa se ritroviamo in etichetta 16, 17 o anche più gradi). È fatto così: pura energia, puro sole, accanto a una freschezza, una sapidità e un’acidità che lo rendono un nobilissimo protagonista di ogni tavola.

La degustazione
TENUTA VIGLIONE
Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva “Marpione”
2021, 14,5%
Le alture di Santeramo in Colle raggiungono i 480 metri e dagli alberelli di Primitivo, già ultra ottantenni, si ottiene un vino grintoso, affinato per due anni in botte grande e quattro mesi in barrique.
Carminio luminoso nel calice, regala all’olfatto confettura di mirtillo e mora, ciliegia ferrovia con cenni amaricanti di rabarbaro e note balsamiche. Palato agile, dinamico, dal lieve grip tannico e finale di gelso e liquirizia.
GIULIANI
Gioia del Colle DOC Primitivo “Lavarossa”
2021, 14,5%
Siamo in un crocevia murgiano tra Turi, Gioia del Colle e Putignano, lungo la contrada detta “sotto il canale”, nei pressi della zona archeologica Monte Sannace, su terre rosse e impervi affioramenti rocciosi di calcare. Le uve vendemmiate nella prima e seconda decade di settembre fermentano con lieviti indigeni per poi andare incontro a malolattica in acciaio e affinamento in cemento.
Topazio imperiale alla vista. Presenta al naso un ventaglio di sentori intriganti, dalla lavanda al glicine, dal cassis al melograno e qualche nota più evoluta di fico secco e sachertorte. Vena fresco sapida e ricordi agrumati, progressione mentolata.
PLANTAMURA
Gioia del Colle DOC Primitivo “Etichetta Nera. C.da San Pietro”
2021, 15%
Interpretazione biologica e purista del Primitivo gioiese, con 12 mesi di solo acciaio per esaltare una vibrante, sofisticata freschezza.
Rubino compatto, elegante nel calice. Esordio di note boschive e terrose, accanto a un cuore di marasca e rosa appassita. Chiodo di garofano assediato da punteggiature mediterranee di menta e timo. Rotondo, avvolgente, fresco e balsamico alla beva, con finale speziato e piccante. Ottime ipotesi di longevità: un test da valutare.
PIERFABIO MASTRONARDI
Gioia del Colle Doc Primitivo “Mammamè”
2020, 15%
“Una storia di completa simbiosi con la natura, nella zona dove secondo una leggenda sarebbe nato il primo trullo”. Così Forbes Italia racconta l’avventura di un giovane vignaiolo che ha riscoperto la vena carsica del Canale di Pirro tra Murgia e Valle d’Itria e, con essa, le potenzialità di autoctoni come Verdeca, Bianco d’Alessano, Maresco, Marchione e, ovviamente, Primitivo.
Ostenta una livrea voluminosa color rubino. Al naso stuzzicante cotognata e gelatina di lampone accanto al maraschino, con scie di cacao dolce, alloro e rosmarino. La bocca è croccante, dalla sapidità minerale tipica di una valle aperta al mare.
GIOVANNI AIELLO
Gioia del Colle DOC Primitivo “Chakra Selezione Oro“
2020, 14,5%
Sui terreni carsici di Putignano, Castellana e Fasano, le uve primitivo maturano alla perfezione, andando incontro a una vinificazione “vendanges entières”, di stile borgognone con grappoli selezionati e macerati interi in tini aperti.
Profondo carminio, cardinalizio. Aprono note di inchiostro e muschio, felce e talco. Seguono effluvi di ciliegia sotto spirito, giaggiolo e carcadè, arancia rossa e cenni di nocciola. Ampio, sorprendente, progressivo e opulento. Masticabile e setoso, dotato di infinita persistenza con memoria di agrume, bitter e foglia di rovo.
AGRI GIRARDI
Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva “Bartolo”
2019, 16%
I terreni di Acquaviva delle Fonti si giovano della grande falda acquifera nel sottosuolo e i vitigni autoctoni garantiscono alle uve acidità, struttura e sapidità. Acciaio e botte grande per 3-4 mesi.
Drappeggi rubino con toni carminio. Olfatto di confettura di ribes e prugna secca, cioccolato alla menta ed eucalipto, pepe rosa, cipria e smalto. Fico secco e timo nel finale fresco e balsamico, spuntato appena da una vena dolce.
AGRICOLA ARMÒNJA
Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva “Terre di Monteschiavo”
2019, 16%
Produzione limitatissima da uno storico vigneto ad alberello situato oltre i 350 metri s.l.m.. Affinamento per 12 mesi in acciaio, poi 6 mesi di tonneaux e altri 6 di bottiglia.
Rosso vivo, solido. Note di incenso, echi pirici e goudron anticipano la confettura di visciole e la liquirizia, mentre una suggestione eterea alimenta la balsamicità. L’alcol è superbo e rende il frutto macerato fino all’ultimo istante percettivo. Intenso, deciso, a tratti presuntuoso.
CASA VINICOLA COPPI
Gioia del Colle DOC Primitivo “Senatore”
2017, 13,5%§
Vino dedicato al Senatore Antonio Michele Coppi, fondatore della Casa, enologo sapiente e grande conoscitore della Murgia barese. Dalle rese bassissime degli alberelli, un nettare che sosta in botti di rovere di Slavonia di secondo passaggio per circa 12 mesi.
Luminosità rubino nel bicchiere. L’appagante florealità di iris e mammola guida verso sentori fragranti di melograno, ribes, ciliegia e foglia di tè, con cenni mentolati e resinosi. La bocca è asciutta, severa, armoniosamente giocata su tannini uniformi e spedita acidità. Sorprendente giovinezza di vino da lunghe traiettorie.
VIGNA LIPONTI
Gioia del Colle DOC Primitivo “Nasciddò”
2019, 14,5%
Una stele in pietra ci ricorda che qui, in questo ettaro di terra di forma triangolare, si attesta la prima documentazione del nobile Primitivo di Gioia piantato dall’abate primicerio Indellicati. Ne vengon fuori appena 5000 bottiglie. Dopo la fermentazione in cisterne di cemento, il vino affina per due anni in acciaio e due in bottiglia.
Rubino acceso dai riflessi granati. Sensazioni di pura macchia mediterranea, gariga, muschio e lentisco, accanto a ribes nero, arancia candita, cannella, pepe verde e foglie d’acero. Unico e distinto. Finale di nocciola e nuovamente macchia, appena affumicato e di tabacco in chiusura.
TERRECARSICHE 1939
Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva “Fanova”
2020, 16%
Sin dal 1939, la cantina è un presidio del Primitivo tra l’altopiano calcareo murgiano e la depressione carsica della Valle D’Itria. Siamo a Castellana Grotte e le rinomate grotte non sono distanti: laggiù dimora anche il Cava Bianca, altra eccellenza aziendale. Il nome Fanova, invece, celebra un antico rituale del fuoco, perpetrato sino ad oggi.
Intenso e vivido rubino nel calice. Rosa antica tra spezie di pepe rosa e chiodo di garofano. Avanzano le note di gelso e mirto, frutta secca e cacao con cenni di sottile tostatura. In bocca è un tripudio, è rotondo e sapido, di terra e di calcare. Persistente, memorabile.
POLVANERA
Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva
2019, 16,5%
La storica masseria ottocentesca a guardia delle tenute conserva la memoria dei “polvagnòr”, i volti impolverati di nero carbone che operavano tra i campi e la carboniera. Così, nel nome dell’azienda, s’insinua la storia di un legame fiero e duro con la terra.
Da alberelli di ottant’anni, su terreni ferrosi in agro di Gioia, nasce questo Primitivo schietto, potente, con personalità dirompente, perfetta declinazione di un vino che sosta solo in acciaio e bottiglia, per un totale di 4 anni.
Veste carminio ceralacca. Spinta vegetale e mediterranea di alloro e mirto, tabacco e liquirizia, cardamomo e fiori secchi. La terra, l’humus, fanno da contorno al frutto maturo, alla prugna e alla ciliegia sotto spirito, con emozionanti ricordi di incenso. Sa essere opulento e gentile, graffia mentre concede carezze di rotonda e fresca sapidità.
TENUTE CHIAROMONTE
Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva
2014, 18%
Quella volta che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump scelse di comprare 720 casse di Primitivo di Gioia del Colle, a seguito di una serata di degustazioni organizzata a Los Angeles nel 2018, il vino acquistato giungeva da Acquaviva, firmato Nicola Chiaromonte. Ma la storia di questa cantina inizia due secoli prima, nel 1826, con 30 ettari di vigneti, uliveti e ciliegeti. Oggi la Tenuta si è ampliata, 60 ettari, ma la scommessa sempre viva e audace è quella di celebrare la grande espressione del Primitivo.
Tempo. Occorre dedicarsi e dedicare tempo a questa riserva, con i suoi 18 gradi di “munizione alcolica”. Rubino dal cuore granato. Eleganti note di frutta nera, dalla mora al ribes al mirto, e attorno fichi e carrubo, radici e terra, polvere di ferro, cioccolato fondente e lunghi affondi balsamici. Sorprendente la freschezza ancora ruvida, vivace. Il tannino morbido e l’infinita persistenza lasciano traccia e memoria per molto tempo. Incantevole.
