Il sake, la storia
Durante l’expo di Vienna del 1873 tra le tante novità arrivò dall’oriente una bevanda alcolica di cui nessuno, o quasi, aveva mai sentito parlare: il sake.
Sono passati centocinquanta anni e la domanda “Cosa è il sake?” lascia ancora interdetta la maggior parte delle persone. Tanti sanno che è fatto dal riso, pochi che non si beve solo caldo o a fine pasto, ancor meno che è un fermentato e non un distillato, pochissimi quale sia il suo processo produttivo.
“Bevanda filtrata con contenuto alcolico inferiore al 22% ottenuta dalla fermentazione del riso e prodotta in Giappone”. Questa è la definizione classica che tutto il mondo, fatta eccezione del popolo nipponico, dà del sake.
In Giappone la parola sake ha il significato generico di “alcol” che può andare dal vino alla birra, dal whisky alla vodka. La parola corretta associata alla definizione detta prima è NIHONSHU=日本 (NIHON = Giappone) e 酒 (SHU =alcol) che significa letteralmente “alcol giapponese”.
La storia di questa bevanda affonda le sue radici in tempi antichissimi tanto che la sua origine è avvolta nel mistero. Tra le tante leggende quella più conosciuta è quella che narra che sia stato donato agli uomini da Susano’o, il dio del mare e del vento, ed essendo un dono divino doveva essere bevuto solo da “persone degne” come sacerdoti ed imperatori.
Anche se in Cina si hanno tracce di bevande fermentate fin dal 4.000 a.C., i giapponesi hanno il merito di averne definito il processo e diffuso il prodotto su larga scala.
Di seguito ripercorrerò la storia di questo magico fermentato, la cui evoluzione ha attraversato i secoli intrecciandosi e legandosi indissolubilmente con persone e luoghi del Giappone.
Il riso in Giappone dalla Cina attraverso la Corea
Intorno a 2500-2600 anni fa verso la fine del periodo Jomon (14.000-300 a.c.) il riso è arrivato in Giappone attraverso la Corea partendo dalla Cina; da quel momento la popolazione ha cominciato a coltivarlo, grazie anche al clima caldo-umido del paese, ma si deve aspettare il periodo Yayoi (300 a.c.-300 d.c) perché il riso cominci ad essere coltivato in maniera simile a oggi, cioè tramite allagamento delle risaie. Da quel momento i giapponesi hanno iniziato a scandire le loro vite basandosi sui tempi della coltura di questo cereale, con il succedersi di periodi di lavoro e di riposo così si alternavano i culti e i riti associati ad esso, atti a propiziare il favore della natura.
In questo periodo si trovano le prime testimonianze di una bevanda fermentata dal riso che veniva usata durante le cerimonie religiose (spesso quelle funebri): il kuchi-kami no sake (lett. “sake masticato in bocca”). Questa bevanda alcolica era usata principalmente dai sacerdoti affinché durante le cerimonie entrassero in uno stato che gli permettesse di mettersi in contatto con le divinità. Per la sua sacralità questa bevanda era prodotta esclusivamente nei templi per opera di alcuni sacerdoti (anche se in qualche testo si parla di sacerdotesse, giovani e vergini) che dopo aver masticato il riso lo sputavano in un vaso di terracotta, a questo veniva aggiunto altro riso ed acqua, in questo modo partiva la fermentazione provocata dagli enzimi presenti nella saliva trasformando l’amido del riso in zuccheri e quindi alcol. Una bevanda torbida dal gusto sicuramente molto lontano dal sake che oggi conosciamo.
Nei periodi Kofun e Asuka (300-710) la “bevanda degli dei” continuava a essere prodotta solo nei templi e ancora proibita a tutta la popolazione giapponese fatta eccezione per l’imperatore e la sua corte. Solo dal periodo Nara (710-794), in cui la città di Nara fu la capitale del Giappone, fu fondata la prima casa di produzione del sake proprio nel palazzo imperiale e istituito un organismo che ne vigilasse il processo. In questo periodo nella sua produzione fu introdotto l’aspergillus oryzae, una spora fungina che cresceva lungo gli steli del riso, che serviva a innescare la saccarificazione del riso e la successiva fermentazione. Questa muffa, solo pochi anni fa, ha assunto il nome di koji (“fungo nazionale” , vista la sua rilevanza nella produzione di miso, salsa di soia e molti altri prodotti) per una proposta fatta dal dottor Eiji Ichishima dell’Università di Tohoku.
Nel periodo successivo che va dal 794 al 1185, detto periodo Heian (nome dell’antica Kyōto), in Giappone cominciò a svilupparsi l’arte della scrittura a corte e tra i vari scritti c’è l’Engishiki, un libro di leggi e costumi del tempo che oltre a trattare il processo della fermentazione evidenziava già la presenza di più di dieci tipologie di sake e veniva menzionata per la prima volta la consuetudine di berlo caldo. Questa, ancora, era una bevanda per pochi, ma cominciava man mano ad allargarsi il consumo in occasioni particolari (alcune di queste ancora oggi usate), ad esempio durante le celebrazioni di matrimoni era offerto a entrambi gli sposi.
Nel frattempo, la domanda continuava ad aumentare fino ad arrivare al periodo successivo (periodo Kamakura 1185-1333) in cui il sake cominciò a diventare un bene di consumo di massa, dovuto anche alla forte urbanizzazione delle grandi città e quindi lo sviluppo del commercio. Nel 1252 il governo dovette regolamentare la produzione di sake per impedire eccessi che poteva portare all’alcolismo della popolazione, ma solo ottanta anni dopo lo stesso ente dovette fare un passo indietro e incoraggiare nuovamente la produzione per motivi fiscali: la tassazione sulle bevande alcoliche rappresentava un’importante fonte di reddito per lo Stato. Così, con l’arrivo del nuovo secolo, il sake divenne la bevanda più popolare di tutto il Giappone.
Un primo approccio alla pastorizzazione
Dobbiamo aspettare il periodo Muromachi (1333-1573) per avere un’altra novità nel processo produttivo: un primissimo approccio alla pastorizzazione, chiamato hi-ire, circa tre secoli prima della scoperta di Louis Pasteur. Tra il 1573 e il 1603 cioè nel periodo Azuchi – Momoyama, mentre nel paese ci fu uno sviluppo artistico e culturale senza precedenti, i produttori di sake cominciarono a conoscere la distillazione, si pensa dai frati missionari venuti dall’Europa, e quindi a produrre lo shochu, distillato nazionale giapponese.
Il periodo Edo (1603-1868) è caratterizzato da una lunga pace interna al paese e contemporaneamente una chiusura totale verso l’esterno.
Edo è il nome antico dell’attuale Tokyo, che in questi anni divenne la nuova capitale del Giappone, dove il sake veniva sempre di più richiesto tanto che furono costruite navi apposite (Taru Kaisen) per il trasposto da Osaka a Tokyo che dalle due settimane di navigazione passò a circa tre giorni.
Questo è il periodo in cui ci sono state le maggiori novità nel campo del sake:
- si introduce la figura del Toji, il responsabile massimo dell’intero processo di produzione, del sake;
- si stabilisce la regola del Kanzukuri (produzione invernale), cioè si determina che tutta la produzione del sake avviene in inverno ottenendo prodotti di qualità superiore;
- viene trovata la fonte d’acqua Miyamizu, a oggi la più famosa, nella prefettura di Hyogo della regione Nada, e proprio in queste acque comincia la prima levigatura del riso con la forza delle correnti;
- si affinano le tecniche di pastorizzazione a basse temperature;
- si introduce e perfeziona il processo fermentativo in tre fasi chiamato Sandan Jikomi.
Ma è nel periodo Meiji (1868-1912) che si ha la prima vera apertura del Giappone al mondo esterno: il sake viene presentato ufficialmente all’Europa debuttando all’Expo Mondiale di Vienna nel 1873.
Il secolo scorso
Durante il secolo scorso, nel periodo Taisho e nel periodo Showa, ci sono le due guerre mondiali e si abbassa sia la domanda che l’offerta alcolica, in particolare durante il secondo conflitto il riso usato per la produzione di bevande cominciava a scarseggiare sia per la mancanza di braccia per la coltivazione sia perché serviva soprattutto a sfamare la popolazione e in particolare i soldati, quindi, tramite decreto governativo si autorizzò ad aggiungere al sake glucosio e alcol puro per aumentarne la quantità (anche di quattro volte) ed allungarne i tempi di conservazione.
Dal 1989 al 2019 cioè nel periodo Hensei un altro evento porta alla ribalta in occidente questa bevanda: l’Expo di Milano del 2015. L’anno dopo l’Italia diventa il primo paese europeo per l’importazione di sake e nel dicembre dello stesso anno il nihonshu viene tutelato a livello internazionale con l’indicazione geografica tipica giapponese, fondamentale per preservare la sua tipicità all’interno del Giappone ma ancor di più per non essere confuso con altri sake che negli ultimi anni venivano prodotti anche in altri paesi, ad esempio USA, Brasile, Taiwan, Corea e Cina, oltre che in Europa (primo tra tutti Francia e negli ultimi anni anche l’Italia).
Dal 1 maggio 2019 è partito il nuovo periodo detto Reiwa, che significa “bella armonia”, dopo l’abdicazione dell’imperatore Akihito in favore del figlio Naruhito, 126esimo imperatore del Giappone. Come da tradizione, durante la cerimonia di ringraziamento, avvenuta a novembre, il nuovo imperatore ha offerto riso del nuovo raccolto e sake agli antenati imperiali e alle divinità per ringraziare e augurare pace e prosperità al nuovo regno giapponese.
Sono passati circa 2500 anni e il sake ormai è diventato il simbolo del Giappone nel mondo rivestendo un ruolo centrale nella vita del popolo nipponico.
La foto di apertura è di Claudio Springolo su Unsplash.