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Territori del Vino
19/05/2025
Di Lorenza Cerbini

Il Sangiovese Festival a San Giovanni Valdarno

“La bellezza è l’antitetico radicale della tecnica”. Umberto Galimberti sprona il pubblico dentro la Pieve di San Giovanni Battista. Filosofo, saggista, psicoanalista, decine i suoi libri (anche per fanciulli) spinge il pubblico a riflette sulla vera bellezza ed è una predica laica. Galimbetti punta il dito su una società che abusa di psicofarmaci e droghe, “malata dunque”, dice. “Statistiche e test di laboratorio sulle acque reflue lo dimostrano”.  L’invito finale è a riconciliarsi con la bellezza, senza cercarla, ristabilendola nel presente. Fuori dalle sacre mura è già crepuscolo e i visitatori colmano i bicchieri di nettari. Non c’è festa senza vino, già dai tempi delle nozze di Cana. Ḕ la seconda edizione del Sangiovese Festival a San Giovanni Valdarno, comune nell’aretino a metà strada con Firenze. Si celebra l’uvaggio autoctono per eccellenza della Toscana (nella sua massima espressione nel Brunello di Montalcino e nel Nobile di Montepulciano) anche nelle sue sfumature emiliane e umbre. Le cantine presenti nelle due piazze principali, dedicate a Masaccio e Cavour (i riferimenti storici volgono al Rinascimento e alle lotte patriottiche Risorgimentali) sono 80, le etichette sui tavoli 400. Il format prevede la lectio magistralis di Galimberti, convegni, masterclass, talk e musica di intrattenimento, quindi street food. Funziona, migliaia i visitatori grazie a una giornata di sabato con tempo mite e il centro storico (maestoso nella sua bellezza) chiuso al traffico e aperto alle famiglie.

Il Sindaco di San Giovanni Valdarno Valentina Vadi e Umberto Galimberti

Una storia che parte dagli Etruschi

Si discute sulla legge dell’ereditarietà che dagli Etruschi in poi ha portato il Sangiovese fin sulle nostre tavole in tutti i suoi biotipi: piccolo, grosso, prugnolo gentile (Montepulciano), grossetano (Morellino di Scansano) e tanto ancora sulla base dei suoi figli presenti dalla Puglia alla Sicilia, dalla Sardegna all’Australia. Un vitigno con tanti nomi: nielluccio, calabrese, Nerino, sangioveto, magnioppa; questione di Comuni, paesi, dialetti.
Un uvaggio versatile e dunque adattabile alle esigenze di questo mercato in evoluzione per gusti (umani), effetti climatici e attese di vendita. Una fortuna averlo, questo il punto del Festival e del convegno votato a una prospettiva internazionale.

In Toscana, il Sangiovese è il re indiscusso, “copre i due terzi della superficie vitata regionale”, dice Paolo Storchi, ricercatore del CREA, l’Ente del Ministero dell’Agricoltura. “Stiamo collaborando a uno studio internazionale in cui si mettono a confronto i genomi di circa tremila varietà e così si potrà ricostruire la genealogia del vitigno”, dice. “Il Sangiovese è una varietà che risponde in modo evidente alle sollecitazioni pedoclimatiche. A seconda del territorio può dare vini da lungo invecchiamento oppure da consumare giovani, di pronta beva. Un aspetto di recente indagine è relativo all’epigenetica, cioè la branca della genetica che si occupa dei cambiamenti fenotipici ereditabili da una pianta. In pratica si è osservato che le viti hanno una memoria intrinseca: ricordano dove sono state coltivate, conservandone le modifiche imposte dall’ambiente”. Il futuro? “Va verso la selezione di piante più tolleranti alle malattie e agli stress ambientali. Si sta lavorando sia su incroci con donatori di geni di resistenza sia sul miglioramento genetico attraverso le più recenti tecnologie di evoluzione assistita, che presto ci forniranno nuovi cloni resistenti ai principali patogeni. Importante è anche la conservazione del germoplasma attualmente disponibile. A Montalcino, finanziata dalla Fondazione Banfi, abbiamo realizzato una vasta collezione con ben 128 cloni e biotipi diversi di Sangiovese”.

Valdarno di Sopra DOC

Nell’Era Moderna, la Toscana era rinomata per i suoi vini bianchi di cui è rimasta la tradizione: vermentini, vernacce, moscadello, malvasie e nel Valdarno il trebbiano più di tutti. Quindi, i rossi. Già nel 1716, il Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici provò a regolamentare la produzione vitivinicola regionale definendo le aree più importanti per la qualità: Chianti, Pomino, Carmignano e Valdarno di Sopra. Quest’ultima zona, resa fertile dall’Arno, si sviluppa tra Ponte Buriano (forse ritratto da Leonardo nella Gioconda), le cime del Pratomagno (separano dal Casentino) e le colline che annunciano il senese. Poi, seguendo il corso del fiume, dopo San Giovanni la lingua prende le cadenze fiorentine, a Figline e Reggello è già provincia di Firenze.
Nel 2011, è stata approvata a livello ministeriale la denominazione Valdarno di Sopra DOC ed è nato il Consorzio di Tutela Valdarno di Sopra DOC. “Attualmente ne fanno parte ventiquattro soci con produzioni tutte bio”, dice Ettore Ciancico, direttore del Consorzio. Una scelta quella del biologico “per conservare e migliorare il territorio, arricchendolo”, con un’attenzione particolare “a chi lo vive, i residenti, ma anche ai turisti che ci vengono a visitare”. Nel 2024, è stato modificato il disciplinare, identificando nei vini “vigna” quelli al vertice della piramide qualitativa ed è stato allargato l’areale di produzione al Valdarno fiorentino, riconoscendo così l’integrità storica e geografica dell’intero territorio vitivinicolo. “Sin dall’inizio non abbiamo voluto fare una denominazione di vitigno, ma di territorio, molto articolato. Il Valdarno di Sopra è l’unica valle in Toscana con un grande fiume in mezzo. Nel mondo, i migliori vini sono generati in una situazione geografica simile”, dice Ciancico. In degustazione i nettari prodotti sui due versanti della valle, messi però a confronto. “Quello che dà sul Pratomagno, è caratterizzato da una maggiore escursione termica e dalla presenza de le Balze, formazioni verticali erose dagli agenti atmosferici e composte da argille, sabbie, ghiaie e ciottoli stratificati. I Sangiovese sono più sapidi e ricchi di profumi di erbe aromatiche. Sull’altro versante, più argilloso e fresco, si privilegia il Merlot”.

Nell’arenale del Valdarno di Sopra, si trova la “vigna delle sanzioni” anche detta per la longevità delle sue viti “la vigna dei cento anni”. Si trova nel Comune di Loro Ciufenna ed è un vitigno monumentale. Fu voluta dal governo fascista nel 1936 come esempio di grandezza nazionale in agricoltura. L’anno precedente, in risposta all’impero di Etiopia, la Società delle Nazioni aveva imposto sanzioni al Regno d’Italia e Mussolini reagì all’attacco cercando la magnificenza. I lavori per la costruzione della vigna si protrassero per due anni, coinvolgendo la popolazione locale. Ha struttura a piramide, terrazzamenti, muri a secco in arenaria locale (furono aperte tre cave e le pietre ottenute anche con l’uso di mine) e una scala sale tra i filari. Oggi, è anche un campo studio. Gli impianti originali ancora produttivi (in particolare Sangiovese, Canaiolo e Trebbiano) nei decenni si sono adattati per selezione al microclima locale divenendo degli ecotipi unici. Vi si trovano anche cloni antichi e in estinzione come il “Palle di gatto”, un vitigno a bacca rossa tipico della zona.

Un territorio di grandi ciclisti

Una terra il Valdarno Superiore di ciclisti. Vincenzo Albanese, Franco Chioccioli, Rinaldo Nocentini sono solo alcuni nomi conosciuti tra gli appassionati di oggi. Nella storia del ciclismo locale, più di una pagina è legata a Riccardo Gagliardi, corridore professionista vincitore del Giro d’Italia nel 1925 tra gli “isolati”, dal nome stesso, una categoria riservata ad atleti senza un team. Si racconta che non avendo assistenza, Gagliardi era costretto a raccogliere i tubolari gettati da Binda e Girardengo per poi ripararli prima di andare a dormire. Un ciclista eroico, si direbbe oggi, non solo per gareggiare su strade non asfaltate o poco più, ma anche per la capacità di arrangiarsi. Pare che una volta sia stato ospitato per la notte dai ferrovieri in una loro stazione e un’altra volta ancora persino dalle ragazze di una casa di tolleranza. Terminata la carriera, si mise a produrre biciclette con il suo nome. I suoi eredi, guidano oggi la Fattoria Bellosguardo e gli hanno dedicato il rosso Corridore (Sangiovese 70% Cabernet Sauvignon 30%), con l’immagine di un ciclista sull’etichetta. L’azienda si trova nel Comune di Castiglion Fibocchi, 100 ettari tra vigne, olivete e boschi. “La nostra passione è quella di produrre vino da vitigni indigeni del territorio valdarnese, piantando e sperimentando vecchi vitigni, la cui produzione è andata quasi perduta, come il Foglia tonda e il Colorino del Valdarno”, dice Riccardo Gagliardi. “Corridore” è tra i vini di punta. “Biologico. Effettua un passaggio di 14 mesi in barrique di rovere francese di secondo passaggio e un secondo affinamento di 8 mesi in bottiglia”.  

Sangiovese uvaggio versatile. Diventa bollicine rosé nell’azienda Forre563 (prende il nome dal luogo e dal CAP, ma senza zeri) di Figline. UvaVita è uno spumante brut dal colore rosa peonia con bollicine persistenti e croccanti ottenuto dalla “macerazione del mosto fiore”, dice il titolare Paolo Rossi. “Le uve vengono raccolte a mano quando hanno raggiunto una maturazione zuccherina al 12% di alcol e un pH 2,9/3,0. Vengono stoccate in frigo per una notte, pressate intere in atmosfera di gas inerte con pressatura soffice. Il mosto fiore fermenta a bassa temperatura per due settimane. Po, si lascia maturare sui lieviti per quattro mesi. Quindi, viene trasferito in serbatoi esterni alla cantina per sfruttare le temperature invernali. La presa di spuma avviene in autoclave”. Il mercato? Italia, Olanda, Germania e Usa.

Un evento aperto alle novità

Sangiovese Festival aperto alle variazioni regionali. Stesso vitigno, territorio diverso per risultati pure diversi. “Fruttato quello romagnolo”, dice Gianni De Mastro dell’azienda Vini De Mastro. “Certificazione bio da venti anni, proponiamo il Sangiovese di Romagna nella versione più classica vinificato in rosso, nella versione rosata e una più ardita senza solfiti aggiunti”. Sette gli ettari di vigneti, da cui nasce anche DiCoccio (2018) un Sangiovese della sottozona Predappio, affinato nel tradizionale cocciopesto (terracotta macinata e rimpastata), 1500 bottiglie prodotte per anno con profumi di frutta matura. Senza solfiti Rosso Puro un IGP, mille bottiglie per secondi piatti di terra. Tra le aziende intorno a Predappio, tredici si sono riunite nell’Associazione “Terre di Predappio”. Ne fa parte, Stefano Berti con le sue ultime creazioni, il Rossetto, un rosato frizzante da rifermentazione spontanea in bottiglia e il Nonà senza solfiti. Il Calisto, invece, è l’espressione della selezione delle uve migliori.

Stefano Berti e Gianni De Mastro

Sul versante umbro, il sangiovese dà il meglio di sé a Torgiano. Progetto 1962 segna l’inizio del quarto ciclo di vita dell’azienda Lungarotti. “Prende il nome dalla prima annata del Rubesco e Torre di Giano, le due etichette simbolo rivisitate nella forma e nella sostanza”, dice Marco Rossi, brand manager dell’azienda. “I nuovi Rubesco 62 e Torre di Giano 62 si distinguono per uno stile gustativo più snello, fresco, immediato e trasversale, pensato per raccontare l’Umbria e il suo carattere attraverso vini che hanno segnato la storia dell’azienda, ma perfettamente attuali”, dice. “Sono vini dalla netta espressione varietale, ottenuti da vitigni resilienti al cambiamento climatico, come il Sangiovese e il Trebbiano, che vedono una raccolta leggermente anticipata e temperature di fermentazione più basse nel rosso, un passaggio più lungo sulle fecce fini per il bianco, per contribuire a caratterizzarne la struttura”.

Marco Rossi

Un vitigno importante merita un suo bicchiere. Per il Sangiovese, ci ha pensato IVV, vetreria fondata nel 1952 proprio a San Giovanni e tra i protagonisti della storia del design in Italia. Dedicato al vitigno un intero set, compreso di decanter. Il tratto distintivo il taglio obliquo delle bordature. Il bicchiere da vino ha un corpo di grandi dimensioni.

Niente bottiglia in vetro per Sip No Guilt dell’umbra Cantine Briziarelli. Dentro Sangiovese 100%, fuori un cartone riciclato 94%, leggero (82 grammi), tappo a corona e design firmato dall’artista Camilla Falsini. Un prodotto pensato per un picnic o da portare in viaggio senza il timore che il vetro si rompa, ma con lo stesso vantaggio di essere riciclabile.

Lorenza Cerbini
Lorenza Cerbini

Giornalista e sommelier, sono nata e vivo in Toscana, cresciuta tra i filari della vigna di famiglia tra grappoli di sangiovese e colorino. Ho trascorso parte della vita adulta a New York. Scrivo per il Corriere della Sera. @bacco_eretico

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