Il Verdicchio di Matelica, un principe-guerriero, una sinclinale, la criomacerazione: storie di un territorio
Matelica è una piccola cittadina nell’entroterra marchigiano che ha nel cuore il vino e al suo interno un nucleo fatto di vinaccioli di Vitis vinifera, quelli trovati nello scavo di una tomba picena risalente al VII secolo a.C. e appartenuta a un personaggio di rango, un principe guerriero sepolto qui con il suo ricco corredo di averi e tra questi un bacile di bronzo usato per le offerte funerarie e con più di duecento vinaccioli di Vitis vinifera al suo interno a testimoniare l’importanza e il valore della coltivazione della vite nel territorio. Le condizioni pedo-climatiche ne facevano già da allora un territorio vocato, vocazione mai venuta meno nel corso dei secoli grazie a un territorio unico dal punto di vista geomorfologico e climatico e irripetibile nella disposizione di boschi, prati e viti e in grado di dare vita a una biodiversità peculiare: questa è la Sinclinale camerte e la valle che vi si è sviluppata. La Sinclinale geologicamente è un sollevamento ondulato dello strato più vecchio della crosta terrestre che fa si che la parte più antica vada verso l’esterno, ai fianchi della piega, mentre lascia nel nucleo la parte rocciosa più giovane. Questo terreno unico giace in una valle anch’essa particolare: è l’unica delle Marche a non seguire il corso di uno dei fiumi che nascono dagli Appennini e sfociano nel Mare Adriatico con un andamento ovest-est, ma segue invece la direttiva nord-sud di una parte del fiume Esino schermata a est dal Monte San Vicino e dai rilievi che lo accompagnano, bloccando l’arrivo delle brezze marine mitigatrici e generando così un terroir dal clima continentale, caldo di giorno e freddo di notte, con notevoli escursioni termiche. L’equilibrio tra acidità e zuccheri si esalta, l’aromaticità assume una ampiezza di sentori, il vino si eleva.
La Cantina Cooperativa Belisario
Ad oggi Matelica con il suo vitigno autoctono a bacca bianca verdicchio è il cuore di una Doc nata nel 1967 e di una Docg nata nel 2009 in grado di esprimersi ai massimi livelli con Cantine riconosciute e apprezzate in sedi nazionali e internazionali. Tra queste cantine c’è la Cantina Cooperativa Belisario, nata nel 1971 come una delle cantine create per promuovere lo sviluppo agro-alimentare delle zone rurali, divisa tra due province ma unita dalla tipicità territoriale data proprio dalla Sinclinale camerte e dall’Alta Valle Esina. In quegli anni i soci conferivano le uve alla Cantina, che produceva Verdicchio come vino sfuso e vino in anfora.

Poi nel 1987 succede che all’Università di Bologna il professor Montedoro assegni una tesi di laurea a uno studente marchigiano, chiedendogli di sviluppare un progetto: usiamo la criomacerazione. Ma non come progetto da laboratorio, una microvinificazione da 100 chilogrammi, piuttosto una mesovinificazione da 50 ettolitri. 50 ettolitri? E dove la trova, l’universitario marchigiano, una cantina disposta ad affidare a lui 50 ettolitri per una sperimentazione, dandogli fiducia? La trova a Matelica. Nel 1987 la Cantina Belisario ha sedici anni di vita e decide di puntare 50 hl del suo mosto su questo progetto all’epoca abbastanza innovativo. Gli studi sulla criomacerazione erano iniziati in Borgogna negli anni Settanta del Novecento con l’enologo e agronomo Guy Accad, che cercava la massima estrazione di colore, fruttato e tannini, accrescendo così i potenziali di uve anche non troppo meritevoli e facendo storcere il naso a più d’uno. L’enologia degli anni Settanta era ciò che era. Ritorniamo allo studente di Agraria che nel giugno del 1988 viene accolto nella Cantina Belisario: ci avviciniamo alla vendemmia n. 1 di quello che diventerà il vino-bandiera della cantina, il Cambrugiano, e all’enologo che ne ha sviluppato il progetto, Roberto Potentini, che è stato in grado di effettuare una criomacerazione in modo competente e misurato, che sottolineasse le caratteristiche varietali senza appiattire e omologare il vitigno con una spinta eccessiva. Tecnicamente la criomacerazione è un metodo di vinificazione per la produzione soprattutto dei vini bianchi, che sfrutta il freddo, permettendo di selezionare la lisciviazione dalla buccia delle sostanze desiderate come i precursori aromatici e i sali minerali, limitando invece polifenoli e leucoantociani. Mosto e vinacce restano in pressa a 0 °C per 6-8 ore in media, con la pressa che ogni quindici minuti fa un giro di rimescola. È questo che rende il Cambrugiano “ il rosso vestito di bianco”, un vino che danza con una muscolatura potente e infinita grazia. Il Riserva Cambrugiano 1988 è stato da subito apprezzato, vincendo la Medaglia d’oro al Banco d’Assaggio dei Vini d’Italia a Torgiano nel 1990, premio all’epoca notevole nato dall’estro di Giorgio Lungarotti in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura. Esattamente dieci anni fa, nel settembre 2015, avevo degustato in una verticale un Cambrugiano del 1995 già allora in grado di smentire il luogo comune della necessità di bere giovani i vini bianchi. Tutto va velocemente nella nostra vita frettolosa, ma il progetto vitivinicolo su 300 ettari di vigne (100 di proprietà e 200 dei soci) non può essere improvvisato e frettoloso: la giacitura, l’esposizione, l’altitudine, il sesto di impianto, la forma di allevamento, la concimazione, le lavorazioni sul terreno, tutto deve essere parte di una idea e la ragione per cui i soci della cantina dal 2009 non conferiscono le uve ma gli stessi vigneti risponde a questa idea di progetto sviluppato alla base, con le uve che, seguendo le direttive della cantina, arrivano pronte per l’idea di vino che si vuole sviluppare. Quindi dalla Tenuta Fogliano arrivano le uve per i cru Meridia, altro ottimo Verdicchio in purezza, più mineralizzato, evoluto, salino, e Del Cerro, esempio di tipicità locale, il Verdicchio giovane per eccellenza con i descrittori caratteristici: biancospino, acacia, ginestra, mela verde, pesca a polpa bianca, mandorla amara, giovane ma già con una sua struttura. Dai vigneti di Serre Alte arrivano i vini biologici, da una zona “naturalmente vocata” al bio, dove dopo ogni pioggia la ventilazione asciuga in poche ore pampini e grappoli rendendo necessari al minimo i trattamenti con il chitosano: Animologico e Vigneti B ne sono il frutto. La particolarità è rappresentata da Noi150, un Verdicchio Riserva per cui è stata chiesta una cassa da 200 chili di uva per ogni socio della Belisario: come dicono in cantina, l’anti-cru oppure il cru totale, “manifesto della bellezza cooperativistica”. Ne esce un vino che vede solo legno sia in vinificazione che in maturazione, dando vita a un prodotto caldo e minerale con note di terziarizzazione che non annullano le tipicità del vitigno, la mandorla, la mela matura, il miele, un vino di struttura e persistenza.

Bellezze architettoniche, paesaggi e cantine
Un territorio unico, l’Alta Valle Esina e un vitigno unico, il verdicchio, che si uniscono per dare vita a un vino che sorprende per struttura e longevità, in grado di accompagnare i piatti della tradizione come quelli che fondono le nuove avanguardie e che regala un motivo in più per un giro lento nella valle ricca non solo di bellezze architettoniche come le torri di avvistamento, le rocche e i castelli medievali, le tante opere d’arte di Allegretto Nuzi, Carlo e Vittore Crivelli, Lorenzo Lotto e a continuare non si finirebbe mai, e come i tanti paesaggi collinari appaganti in ogni stagione e caleidoscopici in autunno, ma anche per il piacere di visitare tante altre cantine: la Cantina Gagliardi, che quest’anno celebra i 70 anni di attività e i 30 del suo Maccagnano Riserva, un Verdicchio che porta la fascetta numero 1 della Docg, poi la Provima – Produttori di Matelica cantina cooperativa nata nel 1932, la Cantina Cavalieri dove Gabriele Benedetti lavora il Verdicchio con le sue idee e con il cuore rivolto al padre viticoltore, producendo vini come Gegè, frutto di un vigneto del 1962, e Direzione Papaina, verdicchio in purezza, blend delle annate migliori. E ancora: La Monacesca, produttrice di vini dal 1966, che ha portato la sua qualità fino a Palazzo Chigi, quando il 9 giugno 2007 il Presidente degli Stati Uniti G. W. Bush jr. accompagnò una scaloppa di spigola con salsa alle telline con un calice di Verdicchio di Matelica Mirum Riserva 2004, Mirum che a tutt’oggi è un emblema del territorio, e ancora, la Cantina Collestefano, citata con il suo Verdicchio 2019 dal critico enogastronomico del New York Times Eric Asimov. Tante altre sono le cantine da visitare nella zona matelicese, e ognuna vale il viaggio. E dopo aver goduto di tutto questo è bello poi sostare ad apprezzare un buon formaggio stagionato o, perché no, i vincisgrassi o un arrosto di animale da cortile con tanta calma e un calice di buon Verdicchio. Del resto in questa valle lo faceva già Mario Soldati, che di buon cibo e di buon vino sapeva molto.