Il vino analcolico è servito: la rivoluzione conquisterà l’Italia?

Un’inchiesta di SevenFiftyDaily svela il boom dei vini a bassa gradazione alcolica e analcolici. Tra investimenti in nuove tecnologie, cambiamenti normativi e la spinta dei consumatori più giovani, anche l’Italia si prepara a entrare in questo mercato in espansione
“Il vino senza alcol non è più un tabù”. L’articolo di SevenFiftyDaily fotografa un cambio di paradigma nel mondo del vino: la crescente domanda di bevande a basso contenuto alcolico (low-ABV) o completamente analcoliche (no-ABV). Non più una nicchia per astemi o salutisti, ma un segmento di mercato in rapida espansione, trainato soprattutto dai Millennials e dalla Generazione Z, sempre più attenti al benessere e al “consumo moderato”. Secondo i dati di IWSR, citati nell’articolo, la percentuale di consumatori americani che scelgono bevande analcoliche è più che raddoppiata nell’ultimo anno, passando dal 6% al 13%.
Ma l’articolo di SevenFiftyDaily non si limita a registrare un trend di consumo. Scava più a fondo, analizzando gli investimenti in nuove tecnologie di produzione, i cambiamenti normativi e le strategie dei produttori per conquistare questo nuovo mercato. E lo sguardo si sposta inevitabilmente sull’Europa, e in particolare su quei Paesi, come Italia, Francia e Spagna, con una forte tradizione vitivinicola.
Se la Germania è stata a lungo un leader nella produzione di vini no-low, la Francia si sta muovendo rapidamente per recuperare il terreno. L’articolo cita l’apertura, la scorsa primavera, di un importante impianto di dealcolizzazione nel sud-ovest del Paese, Le Chai Sobre, con una capacità produttiva di 50.000 ettolitri (circa 6,6 milioni di bottiglie). Anche a Bordeaux, culla di alcuni dei vini più prestigiosi al mondo, si registra un crescente interesse per il settore, con la cooperativa Bordeaux Families che ha investito in un proprio impianto di dealcolizzazione e punta a dedicare il 10-12% della sua produzione a questa tipologia di vini.
E l’Italia? Il nostro Paese, sottolinea l’articolo, è in una fase di transizione. Finora, la rigida normativa ha impedito alle cantine italiane di produrre vino dealcolato sul territorio nazionale, costringendo i produttori a rivolgersi a stabilimenti esteri (soprattutto in Germania e Spagna). Ma qualcosa sta cambiando. Un recente decreto, approvato dalle associazioni di categoria e dal governo (ma non ancora firmato dal Ministero dell’Agricoltura), permetterà finalmente alle cantine italiane di dealcolizzare il vino in loco.
Questo cambiamento normativo, osserva SevenFiftyDaily, potrebbe dare un forte impulso al settore, riducendo i costi di produzione, l’impatto ambientale (legato al trasporto) e aprendo la strada a nuove opportunità di mercato.
L’articolo cita l’esempio di marchi italiani già presenti nel segmento no-low, come Riunite (con il suo Zero Red Semi-Sparkling, pensato per il mercato americano) e Mionetto (con la sua versione analcolica a base di uva glera). Entrambi, però, sono attualmente prodotti all’estero. “Il nostro piano a lungo termine è di spostare la produzione in Italia“, conferma Enore Ceola, CEO di Freixenet Mionetto USA. Un obiettivo condiviso anche da Luca Sonn, titolare della piattaforma e-commerce Myalcolzero, che per ora è costretto a “bypassare” il divieto utilizzando un impianto di trasformazione alimentare.
Ma l’articolo di SevenFiftyDaily non si limita agli aspetti tecnici e normativi. Sottolinea anche il potenziale di “premiumizzazione” di questo segmento, citando l’esempio di French Bloom, un marchio di spumanti analcolici di alta gamma (la cuvée top costa 119 dollari a bottiglia), che ha visto raddoppiare le vendite ogni anno dal suo lancio nel 2021, attirando l’interesse di Moët Hennessy. “Volevo creare uno spumante analcolico che fosse all’altezza dei migliori spumanti“, spiega la co-fondatrice Maggie Frerejean-Taittinger.
Insomma, conclude l’articolo, il mercato dei vini no-low è in fermento. E l’Italia, con la sua tradizione, il suo know-how e la sua capacità di innovare, non può permettersi di rimanere indietro. La sfida è aperta: riuscirà il nostro Paese a conquistare una posizione di leadership in questo nuovo, promettente segmento di mercato?