Il vino dal 2000 a oggi: le 25 tendenze che hanno cambiato tutto
    In un’ambiziosa ricognizione per la testata Food & Wine, il giornalista Ray Isle ha provato a distillare gli ultimi 25 anni di enologia in altrettante tendenze chiave. L’articolo sostiene che tre parole hanno definito questo periodo: informazione, abbondanza e cambiamento. Isle ci ricorda com’era il mondo prima del nuovo millennio: un luogo ingessato, con carte dei vini concentrate sulle regioni classiche, dove parole come “biologico” o “naturale” erano sussurri e il rosé secco era invendibile. Il sommelier era una figura austera, quasi sempre maschile, pronta a farti sentire un ignorante.
Nell’articolo di Ray Isle per Food & Wine si analizza come questo vecchio mondo sia stato smantellato. È difficile, ammette l’autore, districare le connessioni che guidano il cambiamento, ma alcuni eventi chiave hanno agito da catalizzatore. C’è stata la rivoluzione pop: prima il film Sideways del 2004 (che ha fatto la fortuna del pinot noir) e poi Somm nel 2012 (che ha reso “cool” la figura del sommelier). Ma il vero motore, secondo Isle, è stato l’accesso illimitato alle informazioni, esploso con l’arrivo degli smartphone e del primo iPhone nel 2007.
La conoscenza è potere, e questa accessibilità ha liberato il vino dalla morsa degli esperti. Oggi, scrive Isle, è più probabile che i giovani consumatori si fidino del consiglio di un amico piuttosto che di un punteggio altisonante. Il risultato è un’abbondanza senza precedenti per soddisfare consumatori più coinvolti: più vino, più varietà, più paesi, più conoscenza.
L’articolo elenca quindi i 25 fenomeni che hanno segnato quest’epoca. Si è partiti con la globalizzazione delle carte dei vini: improvvisamente, è diventato normale trovare un Rebula sloveno o un Blaufränkisch austriaco al ristorante. Contemporaneamente, il mercato di massa è stato invaso dall’attacco delle “critter labels”: etichette con animali, capitanate dall’australiana Yellow Tail, che hanno reso il vino facile e accessibile come la birra, generando schiere di imitatori. Un’altra rivoluzione tecnica, partita dall’Australia grazie a produttori stufi dei difetti del sughero, è stata l’adozione del tappo a vite anche per i vini di alta gamma. Questo, nota Isle, ha avuto il merito di spingere l’industria del sughero a migliorare drasticamente il controllo qualità.
Poi è arrivato il cinema: “l’effetto Sideways“ del 2004 ha reso il pinot noir la varietà più desiderata d’America, facendone esplodere la produzione. Subito dopo, hanno iniziato a farsi strada nuove filosofie. La biodinamica, già forte in Europa, è sbarcata negli USA nel 2004 con una degustazione epocale di Nicolas Joly a New York. Stessa cosa per il vino naturale, che ha visto l’apertura di locali e negozi dedicati (come Ten Bells a New York, nel 2008).
Il gusto dei consumatori, nel frattempo, si stava espandendo. Il dominio dello Champagne è stato messo in discussione dall’esplosione delle bollicine alternative, primo fra tutti il Prosecco (le cui vendite sono quadruplicate tra il 2007 e il 2012), ma anche Cava e Franciacorta. All’estremo opposto, l’articolo documenta il boom stratosferico della Borgogna: i prezzi dei produttori di punta sono decollati dopo il 2010, trasformando queste bottiglie in beni di lusso globali. Ma la vera rinascita, scrive Isle, è stata quella del rosé secco. Considerato invendibile per decenni, un articolo del New York Times del 2008 ne segnalò il ritorno negli Hamptons: oggi, la sola Provenza vende milioni di casse negli Stati Uniti. Sul mercato di massa, invece, si sono affermate le “red blends”: vini rossi morbidi, spesso con un tocco di zucchero residuo, che sono diventati una categoria dominante.
Il vero motore di tutto, secondo Isle, resta l’informazione diventata onnipresente. App come Vivino (lanciata nel 2010), blog, siti e carte dei vini discorsive hanno cambiato tutto. Questo ha portato all’ascesa di nuove figure: prima il sommelier è diventato una celebrità (grazie al film Somm), un momento forse già tramontato, secondo l’autore, dopo alcuni scandali che hanno colpito la categoria. Poi sono arrivati gli influencer del vino: partendo da pionieri come Gary Vaynerchuk, oggi il settore pullula di figure su Instagram e TikTok, alcune competenti, altre definite da Isle “idioti di bell’aspetto”.
Tutto ciò ha contribuito a una generale democratizzazione del vino. L’etichetta è diventata più informale, e si è sdoganato l’abbinamento “alto-basso”: Champagne e pollo fritto, grandi vini e patatine. Non sorprende, nota Isle, che in questo clima anche le cantinette refrigerate siano passate da lusso per collezionisti a elettrodomestico comune (l’autore fissa il 2012 come anno di svolta).
L’articolo di Food & Wine prosegue documentando le tendenze più da “addetti ai lavori”. I sommelier, per distinguersi, hanno iniziato a snobbare le regioni classiche per promuovere zone oscure e dimenticate, come la Georgia o le Isole Canarie. Un’altra nicchia esplosa è quella dei “Grower Champagne”, i piccoli produttori che hanno conquistato le carte dei vini più prestigiose. E naturalmente, è arrivato l’orange wine: una tecnica vecchia di 8000 anni, resuscitata da pionieri come Josko Gravner in Friuli, diventata “cool” a metà anni 2000 e ormai onnipresente.
Anche il palato è cambiato. Isle parla di una reazione alla “Parkerizzazione” (vini potenti e carichi di legno): attorno al 2017 il pendolo è tornato verso la leggerezza, con una preferenza per vini freschi, sapidi e con meno alcol. In questo contesto, è stato finalmente sdoganato il consumo di vini rossi freschi, serviti freddi. Di pari passo, la terminologia da “nerd” della vinificazione (macerazione carbonica, grappolo intero) è diventata di dominio pubblico nei ristoranti.
Infine, l’articolo guarda al futuro. Cita l’arrivo del vino in lattina di qualità, spinto da una maggiore consapevolezza per la sostenibilità e da nuove tecnologie. Sottolinea come le cantine abbiano iniziato a fare fronte comune sulla consapevolezza del cambiamento climatico, fondando consorzi internazionali. L’ultima tendenza, la più dirompente, è la fine della scala dei 100 punti. I millennial, osserva Isle, si fidano più dei loro coetanei che di un “vecchio” critico. L’era dell’esperto onnipotente sta tramontando.
L’autore conclude con una nota di cautela, citando le nuove minacce (cambiamento climatico, neo-proibizionismo, tariffe protezionistiche), ma ribadisce la sua fiducia: il vino si fa da 8000 anni e, senza dubbio, sarà qui anche tra altri 25.