Invecchiamento del vino: mito, realtà e gusto personale

Il vino, bevanda millenaria, è avvolto da un’aura di mistero, legata in particolare alla sua capacità di invecchiare, non solo sopravvivendo al tempo, ma migliorando con esso. Dalle cantine sotterranee gremite di bottiglie di Bordeaux di prima crescita, Borgogna pregiati e Porto Vintage, fino alle bottiglie dimenticate sotto le scale, l’idea che il vino possa acquisire valore con l’età è radicata anche in chi ha un interesse fugace per questa bevanda. Ma l’invecchiamento del vino è un argomento complesso, tutt’altro che semplice, come ci spiega il celebre autore e critico enogastronomico Jamie Goode in una sua recente riflessione, che riportiamo qui di seguito.
Non tutti i vini sono adatti all’invecchiamento, nemmeno quelli provenienti da regioni prestigiose. Quante volte abbiamo sentito storie di acquirenti frustrati che, dopo aver acquistato casse di Bordeaux mediocri, si sono ritrovati con vini che, anziché migliorare dopo vent’anni, avevano raggiunto il loro apice ben prima di un decennio? E quanti lettori di giornali, dopo aver conservato gelosamente qualche bottiglia per trent’anni, si sono chiesti se, a quel punto, avessero ancora un valore? La risposta, spesso, è un invito a stappare quelle bottiglie dimenticate, nella speranza di una piacevole sorpresa, ma con la consapevolezza che potrebbero essere irrimediabilmente “andate a male”.
Penfolds, una rinomata azienda vinicola australiana, organizzava degustazioni “premio di pazienza”, invitando i consumatori a portare le loro vecchie bottiglie di Grange, St Henri o Bin 389 per essere valutate. Se in buone condizioni, venivano rabboccate, ritappate e incapsulate con un certificato. In caso contrario, il tappo veniva rimesso, senza capsula, lasciando ai proprietari l’amaro in bocca. Un tempo, Grange non era un vino costoso, quindi molte persone potevano averne una bottiglia o due. La loro qualità dipendeva dalle condizioni di conservazione e dalla “lotteria del tappo”.
Entra in gioco, poi, il gusto personale. Non tutti i vini vecchi sanno di “decadimento”, ma molti sviluppano note terziarie: terra, spezie, erbe, ferro, sangue, persino malto e caramello (meno desiderabili). Ci sono molti appassionati che preferiscono i vini, anche quelli pregiati, con più frutto e vivacità. Un collezionista di vini una volta mi disse: “Sai, Jamie, a me i vini vecchi non piacciono molto”. Personalmente, apprezzo i vini invecchiati, soprattutto quelli che hanno sviluppato sapori armoniosi, pur conservando le caratteristiche che ne testimoniano l’origine.
Per secoli, prima che l’imbottigliamento diventasse una pratica comune, i vini migliori erano probabilmente quelli giovani e freschi. Questo perché il vino, una volta prodotto, veniva conservato in grandi botti di legno. Man mano che il vino veniva prelevato per essere consumato, l’aria entrava nella botte, occupando lo spazio lasciato vuoto. Quest’aria, ricca di ossigeno, innescava un processo di ossidazione del vino, che ne alterava il gusto e gli aromi, portando a un progressivo deterioramento. In pratica, più a lungo il vino rimaneva in una botte parzialmente piena, più era esposto all’aria e quindi più rapidamente si deteriorava.
Per questo motivo, nell’antichità e nel medioevo, si preferivano i vini giovani, che conservavano la freschezza e la fragranza originarie. I vini più vecchi, invece, rischiavano di avere un sapore sgradevole, a causa dell’ossidazione e di altri processi di alterazione.
Questo è forse uno dei motivi per cui i vini fortificati erano così apprezzati, soprattutto quelli ossidativi, come i Madeira, gli Amontillado e gli Sherry in stile Oloroso, nonché i numerosi vini dolci fortificati con Moscato che costellavano le isole del Mediterraneo.
Con la diffusione dell’imbottigliamento, a partire dal XVIII secolo, le cose cambiarono. Il vino, protetto dall’ossigeno all’interno della bottiglia, poteva finalmente invecchiare e affinarsi, sviluppando aromi e complessità. Questo permise di apprezzare anche vini non fortificati, che da giovani potevano risultare aspri e tannici, ma con il tempo si ammorbidivano e acquisivano eleganza. L’invecchiamento, ovviamente, non era una garanzia di miglioramento, ma offriva la possibilità di scoprire nuove sfaccettature del vino, soprattutto nelle annate migliori.”
Questo ci porta a chiederci se i grandi vini destinati all’invecchiamento siano piacevoli da bere anche in gioventù, oppure se solo il tempo possa svelarne la vera essenza. È un interrogativo complesso, che non ha una risposta univoca. Personalmente, credo che se un vino è già delizioso al momento dell’uscita sul mercato, l’invecchiamento potrebbe apportare benefici limitati, se non addirittura risultare controproducente. Alcune tecniche enologiche che rendono i vini rossi piacevoli da giovani, infatti, possono comprometterne la capacità di evolvere positivamente nel tempo.”
Nelle cantine più prestigiose, spesso si vedono enologi in completo che, con un gesto antico e simbolico, colorano di rosso la parte centrale delle botti utilizzando il vino stesso. Queste botti, anziché essere impilate, riposano orizzontali sul pavimento di spazi ampi e suggestivi, veri e propri templi del vino. I vini che nascono da queste cure sono sicuramente apprezzabili fin da giovani, ma rivelano un limite: non sono destinati a un lungo invecchiamento.
Certo, i tannini – quei componenti che conferiscono struttura e che possono rendere un vino “ruvido” da giovane – continueranno la loro evoluzione, diventando più morbidi e integrati nel vino. Tuttavia, in questi vini questo processo è già stato anticipato e intensificato durante la vinificazione. Inoltre, l’uva raccolta con un alto contenuto di zuccheri (e quindi con un’elevata gradazione alcolica potenziale) contribuisce a un profilo di vino che non necessita di anni di affinamento per esprimere il suo potenziale. Questi vini, pur evolvendo e ammorbidendosi nel tempo, non svilupperanno nuove complessità aromatiche significative. Semplicemente, manterranno le loro caratteristiche senza migliorare in modo sostanziale
I vini rossi di annate storiche che oggi ci emozionano per la loro complessità e profondità, una volta, quando erano giovani, avrebbero avuto un sapore molto diverso da quello dei vini moderni, quelli che vengono premiati con punteggi elevati e che tanto piacciono ai critici. Non c’è nulla di sbagliato nel produrre vini che esprimano il loro meglio fin da subito, senza necessità di anni di affinamento, ma è fondamentale che i produttori e i critici lo comunichino chiaramente ai consumatori. Dobbiamo essere consapevoli che i vini “top” di oggi sono molto diversi dai loro corrispettivi di 30-40 anni fa, e che questa diversità non è solo una questione di evoluzione naturale, ma anche di scelte stilistiche e di mercato