L’Old Vine Registry: mappare la memoria per costruire il futuro

Dietro ogni vite centenaria c’è una storia, ma senza qualcuno che la raccolga e la custodisca, quella storia rischia di perdersi. È con questo spirito che nel 2022 è nato l’Old Vine Registry, un progetto internazionale ideato per censire, documentare e valorizzare i vigneti più antichi del mondo. L’idea nasce dall’impegno di Jancis Robinson MW, figura di riferimento nel mondo della critica enologica, che ha dato visibilità al progetto attraverso il proprio sito e il supporto alla Old Vine Conference. Il database è stato sviluppato su iniziativa di Sarah Abbott MW, fondatrice della conference stessa, con la collaborazione di personalità come Josep Roca (El Celler de Can Roca), Jason Haas (Tablas Creek Vineyard, California), e altri sostenitori sparsi nei principali continenti viticoli. Il Registro si propone come un archivio vivo e collaborativo, aperto ai produttori e alle comunità locali, con lo scopo di:
- documentare i vigneti storici con dati anagrafici, varietali, geografici e culturali;
- dare visibilità a pratiche agricole resilienti e sostenibili;
- sensibilizzare il mercato sul valore (anche economico) dei vini prodotti da viti vecchie.
L’obiettivo è duplice: preservare la biodiversità genetica — spesso rappresentata da cloni e varietà rare sopravvissute solo in questi vecchi appezzamenti — e creare una rete globale di protezione e valorizzazione, che stimoli politiche agricole più attente alla sostenibilità nel lungo periodo. Per essere inclusi nel registro, un vigneto deve rispondere ai criteri stabiliti secondo la definizione dell’OIV 2024: almeno l’85% delle viti presenti in un appezzamento deve avere più di 35 anni, oppure, se innestate, gli innesti devono risalire ad almeno 35 anni fa. Il criterio si ispira alle classificazioni adottate da realtà già operative sul tema, come il “Barossa Old Vine Charter” in Australia, il “Old Vine Project” in Sudafrica e altre ancora. L’auspicio — e la sfida — è che questa iniziativa diventi un ponte tra passato e futuro, capace di connettere comunità agricole, consumatori consapevoli e istituzioni, con un unico obiettivo: far sì che le viti più vecchie non siano considerate un fardello, ma un valore da proteggere. Navigare nel data base dell’Old Vine Registry è come visitare una biblioteca antica.
Ogni vigna registrata è un volume raro, con pagine scritte dal tempo, dal clima e dalle mani dei vignaioli. Non sfogli semplici dati: incontri storie. Alcune vigne sono celebri e ben documentate, come i classici sugli scaffali più alti. Altre, dimenticate o poco conosciute, aspettano di essere riscoperte come manoscritti nascosti in fondo a una sala polverosa. Navigare tra queste schede non è solo un atto di consultazione, ma un viaggio: un gesto di rispetto verso la memoria, un ponte tra il passato e il futuro del vino.
How old is old?
Alla inevitabile domanda: “Le vecchie viti fanno un vino migliore?” in Barossa rispondono che «le viti vecchie non fanno grandi vini, i grandi vini fanno le viti vecchie». Come a dire che, se come vite lavori bene, nessuno ti espianterà.
Le viti centenarie, patrimonio da salvaguardare
Il vino grande nasce in vigna. È un concetto tanto semplice quanto fondamentale, che troppo spesso viene dimenticato nella rincorsa a tecniche enologiche all’avanguardia. E quando parliamo di vigne, l’età conta eccome. Le viti vecchie, in particolare quelle centenarie, rappresentano un patrimonio inestimabile non solo per la qualità intrinseca dei vini che producono, ma per il loro valore storico, genetico e ambientale. Al di là di qualsiasi sentimentalismo, le viti centenarie rappresentano un modello di sostenibilità reale, non quella da marketing. Queste piante hanno sviluppato nel tempo strategie di sopravvivenza che le rendono preziose nell’era dei cambiamenti climatici. Con apparati radicali profondissimi, spesso sono capaci di resistere a siccità prolungate senza bisogno di irrigazione. Molte hanno sviluppato resistenze naturali a malattie che decimano le viti più giovani, richiedendo meno trattamenti chimici. Sono fortezze genetiche che hanno superato la prova del tempo, insegnandoci che la longevità in viticoltura non è un caso, ma il risultato di un equilibrio tra pianta e ambiente. Ora, finalmente, c’è chi ha deciso di mettere a sistema questa conoscenza. È nato l’Old Vine Registry, il database mondiale che cataloga i vigneti storici, definendo come “vecchie” le viti che hanno superato i 35 anni – età in cui, solitamente, molti produttori scelgono di espiantare. Vediamo allora chi sono i grandi veterani del vino mondiale.
Barossa Valley: i patriarchi dell’Australia
L’Australia, terra di contraddizioni. Percepita come “Nuovo Mondo” e invece custode di alcune delle viti più antiche del pianeta. Nella Barossa Valley crescono viti di Shiraz che risalgono agli anni ‘40 dell’Ottocento, sopravvissute alla fillossera grazie all’isolamento geografico dell’Australia. Il “Barossa Old Vine Charter”, istituito nel 2009, ha fatto un lavoro egregio nella catalogazione e protezione di questo patrimonio, con una classificazione che risulta esemplare nella sua chiarezza: Old Vine (35+ anni), Survivor Vine (70+ anni), Centenarian Vine (100+ anni) e Ancestor Vine (125+ anni). Una suddivisione che altre regioni farebbero bene a imitare. Tra i principali custodi di queste viti ancestrali: Henschke con il vigneto “Hill of Grace”, piantato negli anni 1860; Langmeil Winery con “The Freedom Vineyard” del 1843, ritenuto il più antico vigneto di Shiraz ancora in produzione al mondo; Penfolds con il “Block 42” a Kalimna contenente Cabernet Sauvignon piantato nel 1888; Cirillo Estate con il più antico vigneto di Grenache al mondo (1848); e l’unica collezione ininterrotta di vini dal 1878 di Seppeltsfield, che offre l’opportunità unica di degustare il vino dell’anno della propria nascita. Altrettanto significativi sono Turkey Flat con viti di Shiraz piantate nel 1847, da cui producono l’apprezzato “Ancestor Vine Shiraz”; Yalumba con la vigna “Tri-Centenary” contenente viti di Shiraz piantate nel 1889; e Torbreck, che con il loro “The Laird” da viti di Shiraz del 1958 dimostra che anche viti “solo” sessantenni possono produrre vini di straordinaria intensità quando allevate nel rispetto del territorio. Merita menzione anche Rockford Wines con il loro “Basket Press Shiraz” da viti vecchie di 60-140 anni, vinificato con metodi tradizionali che preservano l’essenza di queste piante storiche.

Priorat: vigne eroiche della Catalogna
Nella regione spagnola del Priorat, viti di Garnacha e Cariñena vecchie di 80-100 anni si aggrappano tenacemente ai terreni scistosi conosciuti localmente come “llicorella”. Questi vigneti, spesso non irrigati e coltivati su pendii così ripidi da richiedere la lavorazione manuale, producono raccolti estremamente limitati ma di qualità eccezionale. Le radici profonde di queste viti anziane penetrano nei terreni rocciosi per decine di metri alla ricerca di acqua e nutrienti, conferendo ai vini una mineralità e una concentrazione straordinarie. Alvaro Palacios ha rivitalizzato la regione negli anni ‘90 con il suo iconico “L’Ermita”, prodotto da un piccolo vigneto di Garnacha vecchio di oltre 100 anni situato a 400-500 metri d’altitudine. René Barbier, altro pioniere della rinascita del Priorat, possiede vigne di Garnacha e Cariñena piantate negli anni ‘20 e ‘30 del Novecento. Da segnalare anche Clos Erasmus fondato da Daphne Glorian, Mas Martinet della famiglia Pérez con vigneti anteguerra, e Terroir al Límit di Dominik Huber con alcune vigne centenarie a 800 metri di altitudine. Il panorama di produttori custodi si è ampliato negli ultimi anni: Vall Llach, fondata dal famoso cantante catalano Lluís Llach, possiede alcune delle viti più antiche della regione, con esemplari che superano i 100 anni nelle loro proprietà a Porrera; Mas d’en Gil coltiva secondo metodi biodinamici vigne che risalgono al 1930; Costers del Priorat lavora con vigneti pre-Guerra Civile (1936) sulle terrazze più impervie della regione; Scala Dei, il più antico produttore della denominazione con una storia che risale ai monaci certosini del XII secolo, mantiene vigneti di Garnacha vecchi fino a 100 anni nella zona di La Morera; e Ferrer Bobet, progetto più recente ma focalizzato sul recupero di vigneti abbandonati con viti centenarie nelle zone più alte e fresche di Porrera. Questi produttori hanno il merito non solo di produrre vini straordinari, ma di aver letteralmente salvato un patrimonio viticolo che rischiava di scomparire negli anni ‘80, quando la regione versava in condizioni di grave declino economico e demografico. Il loro lavoro di recupero ha riportato in vita non solo vigneti abbandonati, ma un intero territorio.
Santorini: il miracolo dell’assyrtiko
Santorini rappresenta uno dei casi più affascinanti nel panorama delle viti vecchie. Su questa isola vulcanica, la varietà Assyrtiko viene coltivata in un modo unico al mondo: le viti vengono intrecciate in cesti bassi chiamati “kouloura” per proteggerle dai forti venti e dal sole intenso. Ciò che rende straordinario questo sistema è la sua età: alcune viti potrebbero avere anche 400-500 anni. La fillossera non ha mai raggiunto Santorini grazie ai terreni vulcanici sabbiosi, permettendo alle viti di crescere su radici proprie anziché essere innestate. Il risultato è un vino bianco di straordinaria mineralità e acidità, capace di invecchiare per decenni. Domaine Sigalas possiede alcuni dei vigneti più antichi dell’isola, con viti che secondo le stime locali potrebbero avere fino a 300 anni. Gaia Wines lavora con vigneti non irrigati vecchi fino a 200 anni, principalmente nella zona di Pyrgos e Megalochori. Argyros Estate, fondata nel 1903, possiede vigne che hanno fino a 200 anni, come testimonia il loro “Cuvée Monsignori” prodotto da viti pre-fillossera con un’età minima di 150 anni. Il panorama dei produttori che custodiscono queste viti ancestrali comprende anche: Hatzidakis Winery, con vigneti nella zona di Pyrgos che superano i 150-200 anni di età e che, nonostante la prematura scomparsa del fondatore Haridimos Hatzidakis, continua a produrre vini di eccezionale personalità; Venetsanos Winery, una delle più antiche cantine dell’isola fondata nel 1947, che lavora con vigneti tramandati per generazioni; Santo Wines, la cooperativa dell’isola che riunisce centinaia di piccoli viticoltori e svolge un ruolo fondamentale nella conservazione delle tecniche tradizionali; Vassaltis Vineyards, produttore relativamente recente che ha riportato in auge vigneti secolari abbandonati; e Canava Roussos, la più antica cantina ancora operativa dell’isola (dal 1836) che mantiene intatte tecniche di vinificazione tradizionali insieme alle vigne ancestrali. Piccoli produttori come Karamolegos, Artemis Karamolegos e Koutsoyannopoulos stanno emergendo per il loro lavoro di recupero di micro-parcelle di viti antiche, spesso abbandonate dopo l’esplosione turistica dell’isola, che ha reso economicamente più conveniente costruire alberghi piuttosto che coltivare viti su terreni sempre più costosi. La peculiarità di questi vigneti è che, dato il sistema di coltivazione tradizionale, quando una vite vecchia muore, viene sostituita con una propaggine della pianta adiacente, creando un continuum genetico che in alcuni casi potrebbe effettivamente risalire a molti secoli fa. Un museo vivente della viticoltura mediterranea ancestrale.
Ribeira Sacra: vigneti “eroici” di età indefinita
Nella remota Ribeira Sacra in Galizia, crescono alcune delle viti più antiche d’Europa, principalmente della varietà Mencía. Questi vigneti, definiti “eroici” per le pendenze vertiginose che possono superare il 60%, sono stati impiantati dai Romani due millenni fa e successivamente mantenuti dai monaci medievali. L’età esatta di molte di queste viti è difficile da determinare, ma molte superano il secolo di vita. I vini prodotti da questi vigneti presentano una freschezza e una mineralità peculiari, riflettendo il microclima atlantico e i suoli scistosi della regione. Tra i produttori più rilevanti: Fernando González di Adega Algueira con viti di Mencía, Merenzao e Brancellao che hanno tra 80 e 120 anni; Javier Domínguez di Dominio do Bibei che lavora con vigne piantate tra il 1900 e il 1920; e Pedro Rodríguez di Guímaro che gestisce vigneti con viti risalenti a prima della Guerra Civile Spagnola. Il panorama dei custodi di questi vigneti eroici include anche: D. Ventura di Ramon Losada, che coltiva vigneti familiari tramandati per generazioni, alcuni dei quali piantati intorno al 1900; Décima di Xosé Lois Sebio, che lavora con vecchi vigneti nella zona di Amandi; Adegas Moure, cantina a conduzione familiare da quattro generazioni con viti vecchie di oltre 90 anni; e Ronsel do Sil, orientato al recupero di terrazzamenti quasi inaccessibili con viti centenarie. La raccolta delle uve avviene ancora oggi con sistemi a carrucole o, nei casi più estremi, da imbarcazioni sul fiume Sil che scorre alla base dei pendii vitati. Un lavoro titanico che si riflette in vini di straordinaria personalità territoriale, spesso vinificati con tecniche tradizionali come la fermentazione in tini di quercia o castagno e la pigiatura a piede.

Etna: i sopravvissuti alla lava
Sui pendii del vulcano attivo più alto d’Europa, viti di Nerello Mascalese resistono da oltre 100 anni alle periodiche eruzioni vulcaniche. Questi vigneti pre-fillossera, alcuni dei quali piantati a oltre 1.000 metri di altitudine, rappresentano un patrimonio genetico inestimabile. Il terreno vulcanico ha naturalmente protetto queste viti dalla fillossera, permettendo loro di crescere su radici proprie per generazioni. I vini che ne derivano presentano una mineralità unica e una struttura tannica elegante che riflette l’incredibile terroir vulcanico. Tenuta delle Terre Nere produce “Prephylloxera – La Vigna di Don Peppino” da un minuscolo appezzamento con viti che risalgono a oltre 140 anni fa. Andrea Franchetti di Passopisciaro possiede alcuni dei vigneti più alti e antichi dell’Etna, nella contrada di Guardiola, con viti di Nerello Mascalese che hanno 80-100 anni. La famiglia Calabretta a Solicchiata lavora con viti che, secondo tradizione familiare, risalgono a prima del 1900. Il panorama dei “guardiani della vite etnea” comprende anche: Benanti, una delle cantine storiche dell’Etna, con vigneti antichi a Viagrande e Milo; Vini Biondi di Ciro Biondi, che coltiva vigneti familiari tramandati da generazioni nelle contrade di Ronzini e San Nicolò; Eduardo Torres Acosta, giovane enologo canario che lavora con vigneti antichi nelle contrade di Guardiola e Pietramarina; Pietradolce, con la loro “Vigna Barbagalli”, vigneto pre-fillossera di 80-100 anni situato a 850 metri di altitudine; Graci di Alberto Graci, con vigneti storici nelle contrade di Arcuria e Barbabecchi; I Custodi delle Vigne dell’Etna fondato da Salvo Foti; e il progetto Vigneri, che unisce piccoli viticoltori nella preservazione di tecniche ancestrali e vigneti storici. Produttori più recenti come Girolamo Russo, Tornatore, Masseria Setteporte, Tenuta di Fessina e Giovanni Rosso (produttore di Barolo che ha investito sull’Etna) stanno contribuendo alla valorizzazione di vigneti vecchi che rischiavano l’abbandono. Questi produttori stanno mappando sistematicamente le diverse contrade (equivalenti ai “cru”) e le loro viti più antiche, creando un catasto viticolo dettagliato che sarà prezioso per le future generazioni. La particolarità di questi vigneti etnei è la loro resistenza agli eventi catastrofici: non solo hanno sopravvissuto alla fillossera, ma hanno anche resistito a numerose eruzioni vulcaniche. In alcuni casi, le colate laviche hanno circondato i vigneti senza distruggerli, creando microclimi unici che influenzano il carattere dei vini. Un esempio straordinario di resilienza che ha pochi eguali nel mondo viticolo.
Lodi, California: Zinfandel centenario salvato dagli appassionati
La regione di Lodi in California ospita alcuni dei più antichi vigneti di Zinfandel del mondo, con piante che risalgono alla fine del XIX secolo. Questi vigneti sarebbero potuti scomparire durante il Proibizionismo e successivamente con l’espansione urbana, ma sono stati salvati grazie all’impegno di viticoltori appassionati. L’Historic Vineyard Society, fondata nel 2010, ha contribuito a catalogare e preservare questi vigneti storici. Vini come il Turley Ueberroth Vineyard da viti piantate nel 1885 e il Bedrock Wine Co. Evangelho Vineyard da vigne del 1890 provengono da viti che producono vini di straordinaria concentrazione e complessità, con profili aromatici che non possono essere replicati da viti più giovani. Il censimento dei custodi di vecchie viti californiane include: Jessie’s Grove, che possiede il vigneto “Royal Tee” piantato nel 1889 con un field blend di Zinfandel, Carignan, Flame Tokay e altre varietà; Harney Lane Winery con blocchi di Zinfandel risalenti al 1904; Klinker Brick con viti di Zinfandel vecchie fino a 115 anni; Cline Cellars, tra i primi a valorizzare i vecchi vigneti di Contra Costa County su terreni sabbiosi che hanno impedito l’attacco della fillossera; e Michael David Winery, i cui vigneti risalgono al 1850. Altrettanto impegnati nella conservazione delle viti storiche sono: Ridge Vineyards, che oltre ai loro celebri vigneti a Monte Bello e Geyserville, acquistano uve da vigneti centenari in diverse zone della California; Ravenswood, il cui fondatore Joel Peterson è stato pioniere nella valorizzazione dello Zinfandel storico; Ancient Peaks con vigneti pre-proibizionismo a Paso Robles; Seghesio Family Vineyards con vigne di Zinfandel piantate nel 1895; e Carlisle Winery, specializzata nel recupero di field blends storici in tutta la California settentrionale. Menzione speciale merita il “Wine Tree Farms” della famiglia Bechthold, che custodisce quello che è considerato il più antico vigneto di Cinsault al mondo, piantato nel 1886 e ancora produttivo, da cui diverse cantine di prestigio acquistano uve per produrre vini unici. La particolarità di questi vigneti storici della California è che spesso contengono “field blends” – diversi vitigni piantati insieme nello stesso appezzamento, riflettendo le pratiche agricole dei primi coloni italiani, spagnoli e portoghesi. Una tecnica tradizionale abbandonata quasi ovunque nel mondo moderno, che crea una complessità unica nei vini e preserva varietà oggi rare o dimenticate.
Altri tesori nascosti: viti centenarie in regioni meno conosciute
Oltre alle regioni già menzionate, esistono vigneti centenari in zone meno celebrate ma altrettanto significative per la storia della viticoltura mondiale. Queste vere e proprie reliquie viventi meritano di essere conosciute e preservate.
Bekaa Valley, Libano: le viti testimoni di civiltà millenarie
Il Libano vanta una tradizione viticola che risale a oltre 6.000 anni fa, con alcune delle più antiche testimonianze di vinificazione al mondo. Nella Valle della Bekaa, Château Musar della famiglia Hochar coltiva vigneti che includono blocchi di Cinsault, Carignan e Cabernet Sauvignon piantati negli anni ‘30 e ‘40 del Novecento, sopravvissuti a decenni di conflitti e instabilità politica. Il loro vino di punta è diventato un simbolo di resilienza, prodotto ininterrottamente anche durante la guerra civile libanese. Domaine des Tourelles, fondata nel 1868, è una delle più antiche cantine del Medio Oriente e coltiva vigneti storici di Cinsault con viti che hanno 70-100 anni. Chateau Ksara, fondata dai gesuiti nel 1857, mantiene vigneti vecchi piantati all’inizio del XX secolo. Chateau Kefraya possiede alcune delle viti più antiche del paese, piantate negli anni ‘50 su terrazzamenti di pietra a 1.000 metri di altitudine. Anche Massaya, IXSIR e Domaine Wardy stanno recuperando e valorizzando vigneti storici in diverse zone del paese. Particolarmente prezioso è il lavoro di recupero delle varietà autoctone libanesi quasi scomparse, come l’Obaideh e il Merwah (probabilmente antenati del Chardonnay e del Sémillon), coltivate ad altitudini elevate da viti che in alcuni casi hanno più di 100 anni, preservate dai piccoli viticoltori di montagna nonostante le difficoltà politiche ed economiche della regione.

Swartland, Sudafrica: i guardiani della viticultura del capo
In Sudafrica, Eben Sadie è stato pioniere nella riscoperta dei vecchi vigneti. Il suo “Mev. Kirsten” proviene da un vigneto di Chenin Blanc piantato nel 1905, considerato il più antico del Sudafrica. Adi Badenhorst lavora con diversi vigneti vecchi, incluso un blocco di Cinsault piantato nel 1960 e parcelle di Chenin Blanc che risalgono agli anni ‘50. Andrea e Chris Mullineux valorizzano vigneti di Chenin Blanc, Syrah e Semillon che hanno 60-100 anni, producendo vini che esprimono il carattere unico del terroir granitico di Swartland. Anche produttori come David & Nadia Sadie (non imparentati con Eben), Testalonga di Craig Hawkins, e Thistle & Weed stanno contribuendo alla riscoperta di vigneti abbandonati con viti vecchie. Il movimento di conservazione delle viti vecchie sudafricane ha ricevuto un forte impulso con la fondazione nel 2016 dell’Old Vine Project, guidato da viticulturista Rosa Kruger. Il progetto ha catalogato tutti i vigneti del paese con più di 35 anni (circa 3.200 ettari, meno del 4% della superficie vitata totale) e ha creato un sistema di certificazione che permette ai produttori di indicare sulle etichette “Certified Heritage Vineyards”, insieme all’anno di impianto. Particolarmente importante è il recupero di varietà storiche come Semillon (localmente chiamato Groendruif), Palomino, Muscat d’Alexandrie e Cinsault, che stavano scomparendo a favore di varietà internazionali più commerciali. Alcuni di questi vigneti sono sopravvissuti solo grazie alla testardaggine di vecchi viticoltori che si sono rifiutati di espiantarli nonostante le pressioni economiche.
Colares, Portogallo: vigne pre-fillossera sulla sabbia atlantica
A Colares, minuscola denominazione a ovest di Lisbona, la varietà Ramisco viene coltivata in un modo unico: le viti vengono piantate in profonde trincee scavate nella sabbia, con radici che possono arrivare fino a 8 metri di profondità per raggiungere l’argilla sottostante. Questa sabbia ha protetto le viti dalla fillossera, permettendo loro di vivere su radici proprie per oltre 150 anni. La produzione è minuscola – circa 10.000 bottiglie all’anno per l’intera denominazione. L’Adega Regional de Colares, fondata nel 1931, è il principale custode di queste viti pre-fillossera, mentre Viúva Gomes possiede alcuni dei vigneti più antichi, che secondo tradizione familiare risalirebbero alla metà del XIX secolo. La lista dei guardiani di questa tradizione comprende anche: Casal Sta. Maria, tenuta storica che conserva viti stimate tra 120 e 150 anni; Fundação Oriente, che ha acquisito vecchi vigneti per preservare il patrimonio viticolo locale; Casca Wines, progetto che collabora con antichi viticoltori locali; Quinta da Boavista, con vigneti che si ritiene contengano viti piantate nel XIX secolo; e António Bernardino Paulo da Silva, uno degli ultimi produttori tradizionali rimasti. La denominazione è oggi minacciata dallo sviluppo urbano, dall’abbandono dell’agricoltura e dall’invecchiamento dei viticoltori tradizionali. Da un massimo di circa 7.000 ettari nel XIX secolo, si è ridotta a meno di 20 ettari, rendendo questi vini tra i più rari al mondo. Le tecniche di coltivazione sono rimaste quasi invariate per secoli: le viti vengono piantate in trincee profonde fino a 8 metri, protette dal vento oceanico con canne intrecciate, e la raccolta viene effettuata manualmente. Anche la vinificazione segue metodi tradizionali, con fermentazione in vasche di cemento e lungo invecchiamento in botti di castagno. La sopravvivenza di questo patrimonio è legata oggi a un piccolo gruppo di appassionati locali e internazionali che stanno cercando di rivitalizzare la regione, acquistando e restaurando vecchi vigneti abbandonati. Un lavoro prezioso che mantiene viva una delle più antiche tradizioni viticole europee.
Sopron, Ungheria: le misteriose viti blu di Kékfrankos
Nella regione di Sopron, al confine tra Ungheria e Austria, si trovano vigneti di Kékfrankos (Blaufränkisch) che risalgono al periodo pre-fillossera. Alcuni di questi vigneti hanno più di 130 anni e sono sopravvissuti non solo alla fillossera, ma anche a due guerre mondiali e al periodo comunista. Franz Weninger possiede alcuni dei vigneti più antichi della regione, con viti di Kékfrankos che risalgono al 1910 circa. La storia di questi vigneti è particolarmente affascinante considerando che la regione è stata storicamente contesa tra Ungheria e Austria, con il confine ridisegnato più volte. Alcune di queste viti hanno quindi cambiato “nazionalità” diverse volte durante la loro lunga vita. Il panorama dei custodi di queste viti secolari include anche: le sorelle Birgit e Katrin Pfneiszl, che lavorano con vigneti familiari piantati prima della Prima Guerra Mondiale; József Ráspi, pioniere della viticoltura biologica in Ungheria con viti degli anni ‘20 nella zona di Fertőrákos; Luka Enikő, con vigneti familiari tramandati per generazioni che contengono viti vecchie di 80-100 anni; Kurt Taschner, con alcune parcelle pre-Seconda Guerra Mondiale; e Gangl, una delle più antiche tenute della regione. L’importanza di questi vigneti storici va oltre la qualità dei vini prodotti: rappresentano una testimonianza vivente della complessa storia politica e culturale della regione. Molti di questi produttori lavorano su entrambi i lati del confine, creando vini che uniscono tradizioni enologiche austriache e ungheresi, e preservando tecniche di coltivazione e vitigni che rischiavano di scomparire durante il periodo comunista, quando la quantità era privilegiata rispetto alla qualità. Negli ultimi anni si è assistito a un rinnovato interesse per questi vini, con un numero crescente di giovani produttori che recuperano vecchi vigneti abbandonati, spesso coltivandoli secondo principi biodinamici o naturali per valorizzare appieno il carattere unico di queste viti centenarie.

Altre menzioni notevoli
Douro, Portogallo: i vigneti ancestrali del vino fortificato
La Valle del Douro, prima regione viticola delimitata al mondo (1756), ospita alcuni dei vigneti più antichi d’Europa. Quinta do Noval produce il leggendario “Nacional” Vintage Port da un piccolo appezzamento di viti pre-fillossera piantate su radici proprie, che sono sopravvissute misteriosamente all’epidemia che devastò la regione nel XIX secolo. Taylor’s Port possiede vigneti con più di 100 anni nelle tenute di Quinta de Vargellas e Quinta de Terra Feita. Niepoort gestisce diversi vigneti centenari, alcuni dei quali contengono fino a 30-40 diverse varietà di uve piantate insieme secondo la tradizione portoghese. Altri custodi di vigne storiche includono: Quinta do Crasto, con vigneti pre-fillossera nella zona di Vinhas Velhas; Quinta do Vallado, con parcelle risalenti al 1826; e Poeira, che lavora con vigneti centenari a quote elevate.
Mosel, Germania: i sopravvissuti dei pendii più ripidi
Lungo il fiume Mosella in Germania, crescono viti di Riesling su pendenze che possono superare il 70%. Ernst Loosen di Dr. Loosen possiede diverse parcelle di viti non innestate che hanno più di 120 anni, come il vigneto “Erdener Prälat”. Willi Schaefer coltiva viti di Riesling che in alcuni casi hanno più di 100 anni nei vigneti di Graacher Domprobst e Graacher Himmelreich. Altri produttori come J.J. Prüm, Fritz Haag, Egon Müller e Markus Molitor lavorano con vigneti storici che producono alcuni dei più longevi e complessi vini bianchi al mondo. Questi vigneti sono spesso coltivati su terrazzamenti di ardesia così ripidi che richiedono lavoro esclusivamente manuale, con tecniche rimaste invariate per secoli.
Altre regioni con vigneti storici significativi:
- Pico, Azzorre: Viti centenarie di Verdelho crescono tra formazioni laviche in un ecosistema unico riconosciuto dall’UNESCO.
- Bierzo, Spagna: Produttori come Descendientes de J. Palacios e Raúl Pérez recuperano vigneti di Mencía vecchi di 80-100 anni su ripidi pendii di ardesia.
- Jura, Francia: Vigneti pre-fillossera di varietà autoctone come Poulsard, Trousseau e Savagnin sono mantenuti da produttori come Jean-François Ganevat e Pierre Overnoy.
- Etschtal/Valle dell’Adige, Alto Adige: Tenuta Manincor ed Elena Walch preservano vigneti di Lagrein vecchi fino a 140 anni.
- Georgia: Vigneti millenari nelle regioni di Kakheti e Imereti mantengono metodi di vinificazione in anfora (qvevri) invariati da oltre 8.000 anni.
- Armenia: Nella regione di Vayots Dzor, vigneti di Areni Noir crescono a 1.400 metri e contengono viti stimate attorno ai 100-120 anni.
- Valle de Guadalupe, Messico: Vigneti di Mission (Listán Prieto) risalenti alle missioni spagnole del XVIII secolo sono ancora in produzione.
- Mendoza, Argentina: Vigneti pre-fillossera di Malbec piantati a fine ‘800 da immigrati francesi sopravvivono nelle zone più elevate della regione.
- Champagne, Francia: Bollinger coltiva viti pre-fillossera di Pinot Noir secondo il metodo tradizionale “en foule” per il loro rarissimo “Vieilles Vignes Françaises”.
- Alentejo, Portogallo: Il progetto “Amphora” di Herdade do Rocim utilizza viti vecchie di Moreto, Trincadeira e Aragones per produrre vini in anfore di terracotta (talhas) secondo metodi che risalgono all’epoca romana.
- Jerez, Spagna: Produttori come Valdespino e Bodegas Tradición mantengono vigneti di Palomino su terreni di albariza con oltre 80 anni, utilizzati per Sherry di straordinaria complessità.
- Lavaux, Svizzera: Terrazzamenti patrimonio UNESCO con vigneti di Chasselas vecchi fino a 100 anni, lavorati da famiglie che si tramandano la gestione da 15-16 generazioni.
- Creta, Grecia: Viti centenarie di Vidiano e Liatiko resistono alle condizioni aride dell’isola, preservate da produttori come Lyrarakis e Douloufakis.

E l’Italia?
Nelle colline del Veneto, Giuseppe Quintarelli ha preservato vigneti antichi di varietà locali quasi dimenticate. Romano Dal Forno mantiene viti vecchie di Corvina, Rondinella e Molinara piantate negli anni ‘30. Monte dei Ragni lavora con vigne pre-seconda guerra mondiale secondo metodi tradizionali. La famiglia Tedeschi custodisce viti centenarie nei loro vigneti “La Fabriseria” e “Monte Olmi”, alcuni dei quali contengono varietà rare come Oseleta e Negrara recuperate dall’estinzione.
- Sicilia, Italia: Oltre all’Etna, i vigneti pre-fillossera di Frappato e Nero d’Avola a Vittoria e i Moscato di Pantelleria allevati ad alberello su terreni vulcanici rappresentano esempi straordinari di viticoltura ancestrale.
- Marche, Italia: Le viti di Verdicchio di Ampelio Bucci, piantate negli anni ‘30, producono vini bianchi di straordinaria longevità.
- Valle d’Aosta, Italia: Le viti di Prié Blanc coltivate a oltre 1.200 metri di altitudine, alcune vecchie di 80-100 anni, rappresentano la viticoltura d’alta montagna più estrema d’Europa.
- Piemonte, Italia: Nel territorio di Vinchio Vaglio Serra, nel cuore del Monferrato astigiano, sono custoditi alcuni dei più antichi vigneti di Barbera d’Italia, L’espressione più alta di questo lavoro di conservazione è rappresentata dalla “Sei Vigne Insynthesis”, una Barbera d’Asti Superiore prodotta da sei parcelle storiche con viti che hanno tra 60 e 100 anni di età.
Il futuro delle viti antiche
Come proteggere queste viti centenarie dall’avidità del mercato, dai cambiamenti climatici, dalle malattie emergenti? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: valorizzazione economica. È necessario pagare di più per i vini provenienti da viti vecchie. I produttori devono riconoscere un premium price per le uve di questi vigneti storici. I governi dovrebbero smettere di finanziare l’espianto di viti vecchie e al contrario incentivare la loro conservazione attraverso sgravi fiscali e programmi di tutela. L’Old Vine Registry è un passo importante in questa direzione, ma non basta. Serve un impegno collettivo del mondo del vino: produttori, critici, consumatori. Tutti abbiamo la responsabilità di proteggere questo patrimonio che non è solo viticolo, ma culturale nel senso più ampio del termine.
In un’epoca in cui tutto sembra dover essere nuovo, efficiente, economicamente ottimizzato, le viti centenarie ci ricordano che nel vino la vera innovazione spesso significa rispettare il passato, comprendere la sapienza antica e valorizzarla con tecniche moderne ma rispettose. Ogni bottiglia acquistata da viti centenarie è un piccolo contributo alla preservazione di un patrimonio inestimabile. Il futuro del vino passa anche attraverso le sue radici più antiche. Non dimentichiamolo.
La foto di apertura è di Nina Jašarević su Unsplash