La degustazione al buio, un esercizio intimo e destabilizzante
C’è chi si è sinceramente emozionato, chi ha avvertito un po’ di comprensibile spaesamento, chi al contrario si è sentito quasi più libero di dare spazio alla sua immaginazione descrittiva. Alcuni hanno faticato ad associare i profumi a una specifica tipologia, qualcuno ha tentennato persino sul riconoscimento del colore.
Tutto normale e come da copione, probabilmente, quando la degustazione del vino non si svolge soltanto alla cieca, senza conoscere quindi tipologia, vitigni e annate, ma proprio al buio, con una mascherina nera posizionata sugli occhi e la promessa di tenere anche gli occhi ben chiusi.
A organizzare recentemente questa esperienza, che per alcuni non è più una novità, non è stata la Fondazione Istituto dei Ciechi, come ha fatto qualche anno fa a Milano, né un’Associazione come la stessa AIS, sebbene in diversi contesti regionali sia già stata sperimentata in passato, ma un’azienda piemontese delle Langhe che ha deciso di presentare alcuni suoi vini in questo modo e, soprattutto, ha fatto condurre le danze a Luca Boccoli, sommelier non vedente.
“Ho 54 anni e da una trentina degusto. Sei anni fa ho avuto un incidente stradale e ho perso completamente la vista, ma non è di questo che voglio parlarvi”. Siamo a Monforte d’Alba all’interno di Cascina Rovella, in località Bussia, uno dei luoghi iconici delle Langhe del Barolo. La cantina è quella di Parusso, gestita dai fratelli Marco e Tiziana e, da qualche anno, anche dai rispettivi figli, Giulia e Francesco. Quattro bicchieri davanti a sé, una mascherina davanti agli occhi e Luca Boccoli introduce un gruppo di giornalisti a confrontarsi non solo e tanto con il vino, quanto probabilmente con se stessi e il proprio modo di degustare a approcciare questa nobile bevanda.
Se, infatti, nella classica degustazione alla cieca, si è in qualche modo condizionati da una serie di informazioni come la forma delle bottiglie, la tipologia e le annate eventualmente svelate in precedenza e soprattutto il colore, in quella al buio si entra in un’altra dimensione dove la concentrazione deve necessariamente rivolgersi ai soli profumi e alle sensazioni tattili del palato. Forse anche al suono del vino, nel momento in cui viene servito. Ma il tutto avviene in una situazione talmente distante dalla normale consuetudine alla quale è abituato chi è vedente, che inevitabilmente questo genere di degustazioni ha il potere di riuscire a cambiare ulteriormente le carte in tavola. Costringono, chi si cimenta, a uscire dalla propria comfort zone, togliendo punti di riferimento che apparivano ben saldi e fermi.
Niente colore, più attenzione ai profumi, ma soprattutto al palato
Luca Boccoli, da quando è non vedente, sta sperimentando questo differente modo di degustare con il quale si è necessariamente trovato a fare i conti, portandolo in giro per l’Italia in cantine, ristoranti, manifestazioni, persino teatri e ovunque lo chiamino, coinvolgendo giornalisti, enologi e appassionati. La sua esperienza nel mondo del vino, prima dell’incidente, era quella di un professionista già affermato: dopo la scuola alberghiera e i classici corsi AIS, la carriera lo porta a lavorare in grandi alberghi e ristoranti per poi intraprendere l’attività di formatore e selezionatore. Oggi ha un’enoteca a Grottaferrata, poco fuori Roma, e da un anno anche una vineria nel centro della Capitale in zona Prati con altri due soci. “Sono attivo al 100%, il mio naturalmente è ora un lavoro di relazione, conduco una degustazione a settimana e, una volta al mese, faccio una degustazione al buio”. Da non vedente, ci spiega Boccoli, è cambiato il suo modo di degustare e selezionare il vino: “Prima di tutto sono cambiato io, per cui mi è cambiato un po’ anche il gusto. Per me il vino adesso è totalmente di bocca, per cui io annuso il vino, certo, ma poi dedico molta importanza al palato”.
Come funziona la degustazione al buio
Dopo aver indossato la mascherina, per circa 15 minuti ci si concentra solo sui vini, in assoluto silenzio e con una musica in sottofondo. Dopodiché, sempre senza togliere la mascherina, inizia un dialogo dove i partecipanti si confrontano più che con l’intento di indovinare ciò che c’è nel bicchiere (anche se è inevitabile farlo), con le proprie sensazioni e ciò che si è provato. Prima di iniziare la degustazione Boccoli chiede di fare alcuni esercizi di respirazione per rilassarsi e concentrarsi: inspirazioni ed espirazioni solo con il naso e poi solo con la bocca. Niente eccessive rotazioni del bicchiere, non solo perché non necessarie, ma anche perché al buio, per chi non è abituato, sono ancora più difficili. Con la mano sinistra e toccando il primo bicchiere a sinistra, si prendono un po’ le misure dello spazio davanti a sé e poi si parte. Sebbene l’essere in una determinata cantina e, di conseguenza, poter immaginare che vini possano essere versati nel bicchiere tolga probabilmente un po’ dell’imprevedibilità presente invece in una classica degustazione al buio, non sono mancati spunti e sorprese.
Tre nebbioli e un sauvignon. Tutto chiaro? Non proprio
Serviti tutti più freddi del dovuto e lasciando che cambiassero nel bicchiere nei 15 minuti riservati all’analisi, non è stato così facile in realtà capire, ad esempio, che la vinosità del primo campione, un Langhe Nebbiolo del 2022, richiamasse con certezza alle peculiarità di questo vitigno, anche perché la delicata tannicità al palato poteva far pensare anche ad altre varietà.
I due Barolo, entrambi del cru Bussia, il primo una Riserva del 2015 e di una precisa vigna, le Rocche, e il secondo più giovane, del 2020, proveniente da più parcelle, sono apparsi ancora più distanti e differenti, soprattutto al naso, di quanto non sarebbe successo in una normale degustazione alla cieca: con il passare del tempo e l’ossigenazione, il più vecchio ha confuso alcuni dei presenti con alcune sensazioni vegetali e balsamiche che hanno lasciato intendere potesse non essere necessariamente un nebbiolo. E questo nonostante la trama tannica fosse in realtà una firma non solo del fatto che ci trovassimo nella Langa del Barolo, ma in un preciso cru, per via di quella sua grana gessosa e polverosa, molto evidente nel campione del 2020.
Il quarto campione, un sauvignon del 2021, vuoi per un’aromaticità non così riconducibile con estrema chiarezza al vitigno di partenza, vuoi per una piccola, ma percettibile, presenza tannica al palato dovuta ad una macerazione più lunga del solito, ha rimescolato ulteriormente le carte, mettendo in discussione la certezza di essere di fronte a un vino bianco, come inizialmente intuito dalla maggior parte dei presenti. “È assolutamente normale poter scambiare un bianco con un rosso e viceversa in queste degustazioni al buio” ha spiegato ancora Luca Boccoli, che abbiamo raggiunto il giorno dopo al telefono. “Se prendi due pinot nero di Borgogna, un Morey-Saint-Denis e uno Chambolle-Musigny, ad esempio, e abbassi la temperatura di servizio intorno ai 14°, avendo questi vini una trama tannica lieve, al buio, poi tranquillamente scambiarli per dei vini bianchi”.
È una degustazione più intima e sussurrata, di testa ma anche di pancia, forse anche meno stressante, sebbene la curiosità di capire cosa ci sia nel bicchiere e il conseguente desiderio di togliersi la mascherina, aumentano mano a mano che trascorre il tempo. Questa componente giocosa, insieme a una concentrazione inevitabilmente più personale e intima, si fondono e costringono chi degusta a fare i conti con sensazioni, ricordi e sentimenti che spesso vengono lasciate invece in disparte. Un’esperienza che serve certamente a chi degusta, per hobby o per lavoro, ma anche naturalmente a chi produce.