La Georgia del vino guarda a Occidente, tra tradizione e nuovi mercati
Stretta tra la storica influenza russa e il desiderio di aprirsi all’Europa, la viticoltura georgiana cerca una nuova strada, puntando sulla qualità e la valorizzazione dei vitigni autoctoni. Ne parlano Ivan Nechepurenko and Emile Ducke sul New York Times.
Nelle verdi colline della Kakheti, cuore pulsante della produzione vinicola georgiana, la vendemmia è un rituale antico che si ripete ogni anno con immutata passione. Ma dietro l’apparente immobilità del paesaggio, si nasconde un acceso dibattito sul futuro di questo settore, diviso tra la dipendenza dal mercato russo e il desiderio di aprirsi a nuovi orizzonti.
Da un lato, ci sono produttori come Levan Eloshvili, che con il suo vecchio camion sovietico trasporta le uve verso grandi aziende vinicole, destinate a produrre vini per lo più dolci e a basso costo, pensati per il mercato russo. Dall’altro, vignaioli come Kakha Tchotiashvili, che nella sua piccola cantina utilizza qvevri, le tradizionali anfore di terracotta interrate, per creare vini rossi e ambrati di grande finezza, destinati a ristoranti e wine bar di tendenza in Europa e negli Stati Uniti.
La Georgia, terra dal patrimonio vitivinicolo millenario, si trova oggi a un bivio. Molti, soprattutto tra i giovani e gli abitanti delle città, guardano all’Europa come al futuro politico e culturale del paese. Altri, invece, ritengono fondamentale mantenere la stabilità economica garantita dal mercato russo, che assorbe gran parte della produzione vinicola georgiana, soprattutto dopo l’embargo imposto ai vini europei a seguito della guerra in Ucraina.
Ma la dipendenza dalla Russia è un’arma a doppio taglio. Come sottolinea Tina Kezeli, a capo dell’associazione georgiana del vino, “il mercato russo è sempre stato molto politicizzato”, con il rischio di improvvisi embarghi e pressioni commerciali. Per questo, molti produttori ritengono sia giunto il momento di diversificare i mercati, puntando su Europa e Stati Uniti, dove i vini georgiani – con la loro unicità e la loro storia – possono raggiungere un pubblico più ampio e apprezzato.
“Non vendiamo solo vino, vendiamo la nostra cultura“, afferma con orgoglio Kakha Tchotiashvili, che firma personalmente ogni etichetta delle sue 50.000 bottiglie prodotte ogni anno. “Non abbiamo petrolio in Georgia, ma abbiamo il vino”.
La rinascita del vino georgiano è iniziata negli anni 2000, con vignaioli come Giorgi Dakishvili, che hanno riscoperto le antiche tecniche di vinificazione in qvevri, dando vita a vini ambrati – oggi molto apprezzati in Occidente – che all’inizio venivano addirittura “scambiati per vini difettosi” a causa del loro colore particolare.
L’embargo russo del 2006, pur avendo creato gravi difficoltà, ha anche stimolato l’innovazione e la ricerca di nuovi mercati. “Dobbiamo ringraziare l’embargo russo”, afferma Dakishvili, “perché senza quei tempi difficili avremmo impiegato molto più tempo per raggiungere la situazione attuale”.
Oggi, la Georgia del vino si trova di fronte a una scelta cruciale: continuare a puntare sul mercato russo, con i suoi rischi e le sue limitazioni, oppure guardare con fiducia all’Occidente, investendo sulla qualità, la sostenibilità e la valorizzazione dei vitigni autoctoni, come il Saperavi e il Rkatsiteli.
Una sfida che richiede coraggio, lungimiranza e la consapevolezza di poter contare su un patrimonio unico al mondo, capace di conquistare gli appassionati di vino di tutto il mondo.