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Coltivare e Produrre
04/04/2025
Di Carmen Buongiovanni

La questione NoLo

La frattura rischiava di farsi sempre più ampia tra i desideri dei consumatori e i limiti imposti dalla legislazione. Perché l’Italia ha ritardato tanto per adeguarsi al resto dell’Europa sugli alcol-free wines?

Vinitaly apre le porte il prossimo 6 aprile e tra i primi interventi ci sarà quello del prof. Attilio Scienza, professore ordinario presso l’Università degli Studi di Milano ed esperto internazionale del settore vitivinicolo, che illustrerà uno dei temi più scottanti del momento: “NoLo: opportunità o illusione?”.
I NoLo, cioè “no alcol” o “low alcol” wine, si stanno diffondendo in Europa già da tempo. L’Italia, invece, li ha inseriti all’interno della categoria vini solo dal 20 dicembre dello scorso anno con il decreto MASAF (Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste) n. 672816, invalidando in parte le parole del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida che, proprio un anno fa nel corso della stessa kermesse, aveva dichiarato che i tempi non erano ancora maturi per poter chiamare vino il “dealcolato”, specificando che il vero rischio era di andare ad abbassare un prodotto di eccellenza. “In parte” perché è vero che dallo scorso dicembre il dealcolato è inserito all’interno della categoria vini,ma è anche vero che le denominazioni non sono state ancora toccate; quindi, i prodotti di eccellenza restano tali. Anche se, in Europa, si comincia a vociferare di un intervento legislativo a riguardo e, sembra, che uno dei primi paesi che probabilmente attuerà questa riforma sarà proprio la Francia.
Il fenomeno NoLo sembra essere di estrema attualità ma, in realtà, si è cominciato a produrre vino dealcolato già nei primi anni del XX secolo.
Carl Jung, un imprenditore tedesco, nel 1908 ha brevettato il metodo di dealcolazione sottovuoto nel suo stabilimento vinicolo scoprendo che, in condizioni di bassa pressione, l’alcol evaporava a temperature inferiori rispetto all’acqua e ai composti aromatici del vino, permettendo così di rimuoverlo senza ebollizione. Col tempo la tecnica, pur fondandosi sui principi base di questa metodologia, è stata perfezionata. Oggi ci sono vari metodi per dealcolare il vino: l’osmosi inversa, la nanofiltrazione e lo spinning cone column, solo per citarne alcuni. Questi metodi isolano le componenti alcoliche con macchinari partendo dal fermentato. Ma si potrebbe partire anche dalla vigna, creando un’uva contenente meno zucchero oppure studiare una vendemmia in modo da avere una massimizzazione della maturità aromatica e fenolica, ma non quella tecnologica.
Unica cosa che a oggi legalmente non è consentito è incrementare la percentuale di zucchero del mosto o aggiungere acqua o aromi.

Perché l’Italia ha tardato tanto a chiamare “vini” i dealcolati?

La risposta la troviamo nel regolamento UE n. 491/2009 (l’ultimo in materia): “Il vino è il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o meno, o di mosti di uve”.
Da qui si deduce chiaramente che il vino è una bevanda alcolica.

Allora il vino senza alcol che tipologia di vino è?

Nel decreto MASAF del 20 dicembre scorso leggiamo che il vino dealcolato è “un vino a cui è stato possibile ridurre parzialmente o totalmente il tenore alcolico. La designazione della categoria è accompagnata dal termine:

a) “dealcolato” se il titolo alcolometrico effettivo del prodotto non è superiore a 0,5 % vol.;

b) “parzialmente dealcolato” se il titolo alcolometrico effettivo del prodotto è superiore a 0,5% vol. ed è inferiore al titolo alcolometrico effettivo minimo della categoria che precede la dealcolazione.”

In sintesi, se parliamo di vino in generale, si tratterà di una bevanda alcolica; se vogliamo far riferimento alla tipologia NoLo, dovremmo associare l’aggettivo “dealcolato” o “parzialmente dealcolato” accanto alla parola vino.

Perché produrre vini senza alcol?

Le motivazioni che stanno portando i vari produttori a creare una linea NoLo sono molteplici, ma sicuramente la più importante è raggiungere una quota di mercato sempre più ampia, soddisfacendo la domanda di chi non può o non vuole bere alcol, per ragioni fisiche, culturali, di salute o semplicemente personali.
Il segretario generale di UIV (Unione Italiana Vini) Paolo Castelletti ha detto: ”Bisogna tener conto che, da alcune ricerche fatte in Italia, è risultato che il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate, cioè significa circa un milione di persone; a questo si aggiunge una platea di consumatori di vino o altre bevande (circa 14 milioni) che li ritiene una alternativa di consumo in situazioni specifiche, come quando ci si deve mettere alla guida”.
Da qui risulta chiaro che non solo si aprirebbe uno sbocco di mercato alternativo, ma questo avverrebbe senza impattare direttamente sulla produzione tradizionale di vino.

Perché bere vini senza alcol?

Altrettanto numerose sono le ragioni che spingono sempre più consumatori a cercare vino senza alcol partendo dalle sanzioni imposte dal nuovo codice della strada fino ad arrivare a motivazioni ideologiche e religiose, anche se sembra essere predominante l’informazione mediatica (sempre più forte e insistente) sui pericoli dell’alcol. Basti pensare all’ultima campagna europea dell’OMS “Redefine alcohol”, in cui è stato chiaramente dichiarato che l’alcol è collegato direttamente a centinaia di malattie tra cui (almeno!) sette tipi di cancro. Inoltre, la stessa campagna ha voluto sensibilizzare la popolazione su rischi e pericoli associati al consumo di alcol, non solo dal punto di vista della salute, ma anche come collegamento alla violenza sessuale e di genere oltre che agli incidenti stradali.
In questo modo, chi beve vino dealcolato si sente più tranquillo, godendo del piacere di bere in compagnia senza preoccuparsi di mettersi alla guida subito dopo né di avere ripercussioni dal punto di vista della salute o di altro genere.

Ma se è così pericoloso, perché si beve ancora vino tradizionale?

Innanzitutto, tutti i collegamenti dell’alcol con tumori o malattie generiche sono analizzati e calcolati dal punto di vista strettamente statistico, inoltre l’alcol non si ingerisce solo con il vino, anzi, tra le tante bevande alcoliche forse il vino è quello che non solo ne contiene meno ma lo produce in maniera naturale.
Infine, volendo usare le parole di Angelo Gaja: “Nessun’altra bevanda prodotta in Occidente ha lo spessore culturale del vino: che affonda le radici nell’umanità, storia, cultura, paesaggio, tradizione, religione.  Già Noè, nella Genesi, cessato il diluvio e sceso dall’arca, piantò per prima la vite perché si potesse godere del vino come alimento e per festeggiare in compagnia”.
Sicuramente bisogna tener conto che è importante bere con consapevolezza e moderazione per tutti i motivi elencati, ma demonizzare il vino esclusivamente per il fatto di contenere alcol, come viene fatto nell’ultimo periodo, sembra eccessivo. Allo stesso tempo, i NoLo in Italia, come è già successo nel resto dell’Europa e del mondo, da quest’anno cominceranno a diffondersi sempre più e saranno considerati sicuramente (ed esclusivamente) una valida alternativa al vino tradizionale.

Carmen Buongiovanni
Carmen Buongiovanni

Dovessi definirmi in un modo sarebbe sicuramente con il nome della famosa cantina di Barolo “L’Astemia Pentita”. Ho cominciato a bere vino poco più di dieci anni fa per una scommessa con una amica, che non finirò mai di ringraziare, ho cominciato il corso di sommelier per condividere la passione che cominciava a nascere con il mio primogenito e tra i tanti corsi ho scelto l’AIS per una precisa indicazione di Alessandra, amica del cuore. Laurea in Statistica computazionale, master di economia e finanza e più di 20 anni come manager in TIM. Doveva essere una pausa, ma questa è stata l’inizio di una nuova vita. Ad oggi sommelier AIS, SAKE sommelier e Master of Whisky, domani… chissà!

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