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Trend e Mercati
15/10/2024
Di Redazione AIS

Lanciare un brand di vino oggi: la fine delle vecchie regole

In un mercato saturo e dai costi proibitivi, le vecchie formule non funzionano più. Un’analisi di Kate Dingwall, ricca di casi americani, offre un manuale di strategie innovative che parlano direttamente anche alla realtà dei nuovi produttori italiani.

Fino ai primi anni Duemila, lanciare un marchio di vino seguiva una formula consolidata: trovare un terreno, magari in una regione allora emergente, piantare le vigne, costruire una cantina e presentarsi al mondo. Oggi, a meno di non disporre di capitali a otto cifre, quel modello non è più percorribile. I costi dei terreni, della manodopera, del vetro, dei tappi e della logistica sono alle stelle. Allo stesso tempo, i consumi sono in calo e il mercato è affollato. Avviare una nuova azienda vinicola può sembrare una missione folle, ma come illustra un articolo di Kate Dingwall per la testata SevenFifty Daily, non è impossibile. Servono però nuove competenze: agilità, creatività, esperienza e una buona dose di coraggio. Sebbene i casi analizzati siano americani, le lezioni che se ne traggono sono un prezioso manuale anche per la realtà italiana.

Il primo passo, oggi più che mai, è avere un perché forte e convincente. Shalini Sekhar, enologa affermata, non aveva mai pensato di creare un proprio marchio, ma l’accesso a uve intriganti come il grüner veltliner l’ha spinta a sperimentare, dando vita a Ottavino Wines come spazio per la sua ricerca personale. La domanda fondamentale è: cosa aggiungerà il vostro brand a una categoria già affollata? Jess Druey, fondatrice di Whiny Baby, ha trovato la sua risposta rivolgendosi alla sua generazione, la Gen Z, un segmento che l’industria del vino fatica a intercettare. “Non mancano i vini, ma mancano i marchi in cui i consumatori si riconoscano“, afferma. Druey usa un linguaggio che i suoi coetanei possano capire — “paragono lo zinfandel al sapore del ‘fruit punch’, non descrivo note che non conoscono” — e ha creato etichette che si staccano per diventare adesivi, trasformando il packaging in marketing virale. La sua strategia, mirata a vendere un’esperienza più che un prodotto, ha funzionato: nel settembre 2025, il suo marchio è stato acquisito dal colosso Gallo.

Il secondo pilastro è una solida base commerciale e finanziaria. L’aspetto romantico della produzione deve fare i conti con la dura realtà dei costi. Sekhar sottolinea l’importanza di conoscere gli aspetti meno affascinanti del settore, come i prezzi dei trasporti e dei magazzini. Per abbattere i costi iniziali, oggi molti scelgono di non costruire una propria cantina. La soluzione è lavorare in spazi condivisi, una sorta di co-working enologico dove si paga una tariffa per tonnellata d’uva lavorata, avendo accesso a tutte le attrezzature necessarie. Questo modello, oltre a ridurre drasticamente l’investimento, favorisce la collaborazione e lo scambio di idee tra produttori. “Prima di lanciare un marchio“, consiglia Sekhar, “dovete capire come venderete. Avete già contatti con i ristoranti? Conoscete un distributore disposto a scommettere su di voi? Pensate a vendere una cassa alla volta: quante vendite dovrete chiudere per stare in piedi?“.

Una volta prodotto il vino, inizia la vera sfida: la vendita. Ted Glennon, proprietario di Vinos Finos de California, riassume così il concetto: “se non sei in cantina, sei in viaggio a vendere. Devi costantemente promuovere e raccontare il tuo vino“. La vendita diretta e la costruzione di relazioni personali sono spesso l’unica via per emergere. Se la produzione consente di avere una distribuzione, la scelta del partner è fondamentale. I nuovi marchi indipendenti rischiano di perdersi nei grandi portfolio, dove gli agenti sono incentivati a spingere i brand più grandi. La soluzione, suggerita sia da Glennon che da Sekhar, è cercare distributori più piccoli e specializzati, che condividano la stessa visione e possano davvero farsi portavoce del marchio.

Infine, in un mercato affollato, è essenziale sapersi distinguere e creare una comunità. Nick Perr di Neighborhood Winery, non avendo i numeri per una distribuzione nazionale, ha scelto di incontrare i consumatori dove si trovano: organizza pop-up in caffetterie, collabora con hamburgerie locali e organizza eventi con DJ. Questi momenti informali creano un legame personale con i clienti. Per chi, come Sekhar, ha una produzione limitata, la costruzione di un solido wine club è un pezzo fondamentale del puzzle. “Vuoi persone che credano nel tuo marchio e lo bevano regolarmente“, spiega. “Diventano una fonte di reddito costante e i tuoi primi ambasciatori“. Anche l’esclusività forzata può essere controproducente. Invece di lanciare il loro marchio di Napa con una lista d’attesa, come fanno molti brand di lusso, Annulus Cellars ha scelto di essere accessibile a tutti fin dall’inizio, partecipando a eventi di beneficenza e parlando a un pubblico nuovo. L’obiettivo, come dicono, è uno solo: “portare il nostro vino nelle cantine delle persone“.

Redazione AIS
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