L’elefante nella stanza che la critica enologica finge di non vedere

Mentre da anni il coro dei critici e degli addetti ai lavori inneggia alla leggerezza e alla freschezza, i consumatori continuano a preferire vini di corpo e sostanza. Un’indagine di Justin Keay svela una realtà di mercato che molti sembrano ignorare, mettendo in luce il successo di etichette che fanno del “sapore senza compromessi” la loro bandiera. È tempo di affrontare “l’elefante nella stanza.
Per un giornalista del vino come Justin Keay, autore di questo pezzo, aggirarsi tra le corsie dei supermercati può riservare autentiche epifanie. Lo stesso Keay racconta di essersi dedicato, proprio questo mese, a un informale “safari enologico” tra gli scaffali di alcuni grandi negozi inglesi, cercando di osservare, con la massima discrezione, le scelte dei consumatori.
Il copione, per certi versi, era prevedibile: Champagne e Prosecco a fiumi, naturalmente. Così come i classici campioni di vendite – Sauvignon neozelandesi e Pinot Grigio veneti – andavano letteralmente a ruba.
Ma è sul fronte dei rossi, nota Keay, che la scena si è fatta più intrigante. L’autore ha osservato una vera e propria corsa ai Malbec, agli Shiraz australiani e ai Cabernet Sauvignon – complici anche le offerte su etichette blasonate come Peter Lehmann, St Hallett e Penfolds. Nella sofisticata Chelsea, una clientela elegante puntava decisa verso Châteauneuf-du-Pape, Amarone, alcuni robusti e promettenti rossi del Douro e Rioja vecchio stile, di quelli che non fanno sconti sulla struttura. E i Pinot Noir, i Beaujolais, i rossi della Loira, che la stampa specializzata indica come l’ultima frontiera del cool? Secondo le osservazioni di Keay, restavano saldi sugli scaffali, almeno in questi vivaci punti vendita.
Certo, ammette l’autore, si è trattato di un’osservazione tutt’altro che scientifica (condotta appena dopo l’inverno e limitata a supermercati, seppur in quartieri benestanti, e non a enoteche specializzate). Tuttavia, per Keay, questa esperienza sul campo è stata la conferma di un sospetto che nutriva da tempo: la maggioranza sembra preferire vini rotondi e corposi – specialmente i rossi – rispetto agli stili più esili e sfumati tanto decantati da gran parte dei critici e degli influencer.
Keay, peraltro, non è l’unico ad averlo notato. Cita infatti Will Lyons, stimato critico enologico del Sunday Times, che ha recentemente commentato: “se ho imparato una cosa, è che quando si parla di vino bianco, ci sono ancora migliaia di appassionati là fuori che amano un tocco di legno. Forse il pendolo si è spinto troppo oltre verso Chardonnay scarni, minerali, in stile Chablis.” A dirla tutta, osserva l’autore, acidità e mineralità non sembrano essere in cima alla lista dei desideri della maggior parte dei bevitori al momento della scelta, e men che meno quei vini astringenti, quasi acerbi, osannati da alcuni scribi del vino. Al contrario, struttura e corpo godono ancora di grande popolarità, suggerendo che i gusti del grande pubblico potrebbero non essere poi così diversi da quelli di 30-40 anni fa, nonostante le epocali trasformazioni che hanno attraversato il settore.
E malgrado gli sforzi governativi per penalizzare i vini ad alta gradazione con accise più salate, i rivenditori sembrano contrattaccare con promozioni mirate proprio su queste tipologie, presumibilmente per sostenerne la domanda. Al momento della stesura dell’articolo originale, per esempio, Waitrose promuoveva una selezione di Malbec e Shiraz con sconti importanti, nell’ordine del 30%. Evidentemente, conclude Keay, la sostanza vende ancora.
L’elefante nella stanza
Per affrontare direttamente “l’elefante nella stanza”, Keay ci invita a volgere lo sguardo alla gamma Elephant in the Room, appunto, lanciata nel Regno Unito da Fourth Wave Wines. Basta un’occhiata alla retroetichetta per capire la filosofia: “i vini potenti, ricchi di sapore, sono sempre più difficili da trovare. Curiosamente, i produttori detestano parlarne, eppure i consumatori li adorano. C’è un’ottima ragione: sono incredibilmente buoni da bere!”. E i vini – attualmente un Viognier intenso (forse il migliore del terzetto), uno Chardonnay avvolgente e un Pinot Nero molto succoso, con altre varietà in arrivo tra cui un Fiano e un Merlot – colpiscono nel segno, con un prezzo interessante attorno alle 10-11 sterline.
Lanciati prima in Australia, stanno ottenendo un grande successo anche nel Regno Unito, tanto che Fourth Wave ha raddoppiato con un’altra linea, Little Giant, che include uno Shiraz della Barossa e un Cabernet di Coonawarra (con simpatici e paffuti vombati in etichetta, marsupiali tipici del continente). Prezzo leggermente superiore – circa 13 sterline – ma stesso approccio: “piccola, potente e dalla buccia spessa, proprio come il vombato, l’uva shiraz è il piccolo gigante del mondo del vino. Questo piccoletto scuro può essere piccolo, ma il gusto è potente – corposo, con frutti neri, pepe, spezie e cioccolato fondente”.
Keay ha poi interpellato Ross Marshall, amministratore delegato di Fourth Wave, riguardo alla filosofia dietro. “Questi vini dimostrano che esiste un chiaro mercato per i vini più ricchi di sapore, a patto che non siano eccessivi o sovraccaricati di legno,” afferma Marshall, aggiungendo che entrambe le etichette puntano “più sul frutto che sulla componente legnosa.”
“Entrambi questi marchi offrono stili di vino caldi, avvolgenti, colmando così una precisa nicchia di mercato,” prosegue Marshall, sottolineando come si tratti di vini ben fatti, moderni e con un packaging accattivante, un gradino sopra prodotti più commerciali. “In Australia, Little Giant è stato uno dei lanci di maggior successo degli ultimi anni e, data la somiglianza del mercato, siamo fiduciosi che otterranno gli stessi risultati qui.” Marshall rivela che Fourth Wave ha condotto ricerche per capire se i clienti avrebbero preferito vini a prezzo inferiore ma con meno alcol: la risposta è stata un plebiscito per il “no”.
L’ultima avventura di Fourth Wave in Australia, riporta Keay, spinge il concetto ancora più in là: a novembre scorso sono stati lanciati i Mullet Wines, definiti “il primo marchio di vino ‘duro’ d’Australia”, dove “ai livelli alcolici non è stata data una sforbiciata”. E infatti, troviamo un Hard Pinot da 15% e un Hard Shiraz da ben 17%. Probabilmente, conclude l’autore, li vedremo presto anche nel Regno Unito.
La categoria dei vini “audaci e ricchi” non è confinata alla grande distribuzione, osserva Keay, sebbene le regioni del Nuovo Mondo – che privilegiano le varietà piuttosto che i blend – sembrino predominare. Cita come primo esempio Rombauer Vineyards della Napa Valley, che ha recentemente festeggiato il suo 40° anniversario ed è stata acquisita da Gallo due anni fa. La cantina, che vende gran parte della sua produzione direttamente a una clientela affezionata, è fedele alle sue tradizioni, offrendo Chardonnay, Zinfandel (16% vol.) e Cabernet Sauvignon di alta qualità, potenti e senza compromessi sul gusto, nelle parole dell’enologo Richie Allen.
Come secondo esempio, Keay presenta Rockford Wines della Barossa Valley. Visitare questa cantina, dicono in molti, è come fare un salto indietro nel tempo, una scelta deliberata del fondatore Robert O’Callaghan, che nel 1971 trasformò una fattoria fatiscente del 1850 nella sede di Rockford, allestendola con attrezzature del secolo scorso. “È autenticità pura, e i nostri vini continuano a essere fatti così,” afferma David Kalleske: “i nostri rossi nascono da uve raccolte a mano da una selezione di viticoltori storici della Barossa e vinificate con attrezzature d’epoca, come il diraspatore Bagshaw del 1880 e la pressa a cesto Robinson del 1890.” Per chi si è abituato ai vini australiani di nuova generazione, più leggeri e sfumati, Rockford è un tuffo impenitente nel passato, offrendo vini vecchio stile, intensi ma ricchi di nuance, che raccontano la storia enologica dell’Australia Meridionale. Accanto al terroso e opulento Basket Press Shiraz, troviamo l’elegante Rifle Range Cabernet Sauvignon, classico e tradizionale, e il Black Shiraz, un’interpretazione iconica dello Sparkling Shiraz australiano dal colore viola-nero impenetrabile. La domanda per questi vini è tale che spesso si creano liste d’attesa per le nuove annate. “Il nostro principio di preservare i migliori aspetti del commercio vinicolo ‘tradizionale’ significa che abbiamo deciso di non farci influenzare da mode o tendenze. La coerenza stilistica e la nostra autenticità hanno conquistato i nostri sostenitori di lunga data,” conclude Kalleske.
In un’epoca in cui molte regioni famose per i grandi vini se ne stanno allontanando – basti pensare a Ribera del Duero, Rioja, Priorat e Valpolicella – e in cui i produttori cercano di attrarre i bevitori più giovani con stili più leggeri e meno alcolici, forse, suggerisce Keay, sarebbe il caso di osservare più da vicino ciò che molti consumatori desiderano realmente.