L’esercito fantasma di Napa
La fiorente industria vinicola della California del Nord fu costruita da una forza lavoro prevalentemente cinese, che nell’Ottocento costituiva l’80% dei braccianti agricoli. Dalla preparazione dei terreni allo scavo delle cantine, il loro contributo fu fondamentale ma sistematicamente cancellato dopo la Legge sull’Esclusione Cinese del 1882. La mancanza di documenti e il divieto di possedere terre facilitarono la loro rimozione dalla narrazione storica. Oggi, storici e attivisti lottano per riportare alla luce questa eredità dimenticata.
La fiorente industria vinicola della California del Nord fu costruita da una forza lavoro prevalentemente cinese, che nell’Ottocento costituiva l’80% dei braccianti agricoli. Dalla preparazione dei terreni allo scavo delle cantine, il loro contributo fu fondamentale ma sistematicamente cancellato dopo la Legge sull’Esclusione Cinese del 1882. La mancanza di documenti e il divieto di possedere terre facilitarono la loro rimozione dalla narrazione storica, a favore degli immigrati europei. Oggi, storici, attivisti e una nuova ondata di viticoltori asiatici lottano per riportare alla luce questa eredità dimenticata.
Un ideogramma cinese inciso sulla parete di pietra di una sala di pressatura. Un batacchio a forma di pesce koi sulla porta di una cantina. Una baracca per operai, a lungo abbandonata. Sono queste le tracce quasi invisibili di una storia volutamente cancellata, un’epopea di lavoro e oblio che la testata californiana KQED, in un notevole articolo firmato da Julie Zigoris, ha riportato alla luce. Una storia che svela come la maggior parte della forza lavoro che piantò le iconiche vigne della California del Nord fosse cinese.
“Negli anni ’80 dell’Ottocento, i cinesi costituivano l’80% della forza lavoro agricola della regione“, afferma lo storico David Lei, una delle voci interpellate nell’inchiesta. Un’affermazione che scardina la narrazione convenzionale. Un intero decennio prima del completamento della Ferrovia Transcontinentale, i braccianti cinesi faticavano già nei campi della Sonoma Valley, spesso più abili dei loro stessi datori di lavoro, forti di una profonda cultura agricola.
Il loro impiego era dettato da ragioni pragmatiche: onoravano i contratti, non scioperavano, erano tendenzialmente sobri — riducendo così violenza e inefficienza — e costavano circa un terzo in meno della manodopera bianca. Erano inoltre autosufficienti, gestendo in proprio vitto e alloggio. Le fotografie d’epoca di Eadweard Muybridge, conservate nella storica cantina Buena Vista, li ritraggono al lavoro nelle vigne e durante lo scavo a mano delle immense cantine che ancora oggi ospitano le botti.
Da Sonoma, l’onda del loro lavoro si spostò alla Napa Valley, dove gli operai reduci dalla ferrovia trovarono nuovo impiego. Nacquero piccole Chinatown a Napa, Calistoga e St. Helena. Ma dopo decenni di contributo fondamentale, tutto cambiò. Il punto di rottura, come ricostruisce l’articolo, fu la Legge sull’Esclusione Cinese del 1882. Quella norma non solo bloccò l’immigrazione, ma avviò un processo di rimozione collettiva. Una successiva crisi economica mise in ginocchio molte cantine; i cinesi, a cui era preclusa la proprietà terriera, non poterono rilevarle. Furono gli immigrati italiani a farlo, diventando così, nell’immaginario pubblico, i “padri fondatori” della viticoltura locale.
I braccianti cinesi, spesso registrati nei censimenti con il nome generico di “John Chinaman” e senza figli che potessero tramandarne la memoria, svanirono dalla storia. “La storia è come un puzzle“, commenta amaramente Jack Ding, ex sindaco di Sonoma, “se manca un pezzo, non si può raccontare la storia“.
Oggi, però, qualcosa si muove. Contro questo mare di anonimato è stata avviata un’ondata di memoriali: targhe, lapidi e padiglioni onorari stanno sorgendo per restituire un nome e una dignità a quell’esercito dimenticato. Ma l’eredità non è solo nel passato. Il reportage di KQED ci presenta anche il volto moderno di questa comunità, come Paul Gee, il primo viticoltore cino-americano degli Stati Uniti, e Susan Lin, fondatrice della Asian Wine Association of America, creata per supportare i produttori di origine asiatica.
Milioni di turisti, oggi, visitano la regione e, come conclude l’articolo, sorseggiano il loro Chardonnay del tutto ignari che le uve nel loro bicchiere nascono da vigne piantate, un secolo e mezzo fa, da mani cinesi. “La maggior parte delle persone non associa ‘asiatico’ e ‘vino’ nella stessa frase”, afferma Susan Lin. “Ma siamo sempre stati parte di questa industria“.