Liquirizia, l’oro nero d’Abruzzo

Glychyrrhiza glabra è il nome scientifico della liquirizia. Dal greco γλυκύς, dolce, e ῥίζα, radice. Glabra per via delle caratteristiche del fusto e del legume della pianta, liscio e privo di peli. I semi racchiusi in un baccello, piccoli come quelli di papavero. Le foglie simili a quelle dell’acacia. Gli antichi Egizi ne facevano grande uso. Si dice che dei bastoncini di liquirizia siano stati ritrovati nella tomba di Tutankhamon. Quel che è certo è che tanto nell’antico Egitto quanto in Grecia, in Assiria, in India e in Cina le proprietà terapeutiche di questa radice fossero ben note: immunostimolante, antidepressivo, epatoprotettore, gastroprotettore ne sono solo alcune.

Un’antica tradizione
Grande produttrice di liquirizia in Italia è la Calabria, impossibile non citare la Amarelli di Rossano Calabro. Poi c’è Atri, nel comprensorio delle Terre del Cerrano, in provincia di Teramo, la capitale della liquirizia in Abruzzo. A caratterizzare il paesaggio i Calanchi, imponenti architetture naturali note come “Bolge dantesche”, frutto del ruscellamento delle acque sulle argille nate 2,5 milioni di anni fa, portate a nudo da sollevamento, erosione e deforestazioni. Localmente sono chiamati “li ripe” o “li scrimun”, ai loro piedi cresce la liquirizia. “Le prime notizie sulla presenza della liquirizia in Abruzzo risalgono al 1433 e vengono confermate anche molti anni dopo. Nella pubblicazione di Don Bruno Trubiani, canonico di Atri, relativa al Regesto delle Pergamene dell’Archivio Capitolare della città, si trova una pergamena dove è riportato un affitto di terreno sito in Contrada de le Revolizie, antico nome con cui veniva chiamata la pianta” spiega Adriano De Ascentiis, direttore della Riserva Naturale Regionale/Oasi WWF Calanchi di Atri, che sulla storia della liquirizia in Abruzzo ha scritto un libro.

Spirito imprenditoriale e tanta passione
La Menozzi De Rosa è la più antica fabbrica di liquirizia d’Abruzzo. Fu il Cav. Raffaele De Rosa, giunto dalla Calabria, a fondarla nel 1836 nel cuore di Atri, presso il convento dei Domenicani, dove gli stessi frati da 400 anni lavoravano la liquirizia. Allora si chiamava “Fabbrica di sugo di liquirizia”. De Rosa riuscì a impiantare e ad avere la privativa. Instaurò anche una seconda fabbrica a Fossacesia. La famiglia De Rosa mantenne la proprietà della fabbrica fino al 1922, anno in cui fu acquistata dai fratelli De Donatis che a loro volta la cedettero nel 1932 al dott. Parodi. Lo spirito imprenditoriale di Parodi lasciò il segno. “Grazie al Parodi furono apportate diverse migliorie utili alla modernizzazione dei processi di lavorazione. Parodi si avvaleva di un bravo ingegnere del Nord, Guido Luzzatti, che con dedizione indicava al proprietario le opportune migliorie da fare con indicazioni su quali fossero le strumentazioni utili all’implementazione dell’azienda ma soprattutto a cercare sempre di far coincidere qualità e risparmio. Oltre a curare l’ammodernamento della fabbrica curò per il Parodi tutte le fasi per la realizzazione di una linea Decauville per l’approvvigionamento di lignite da una cava che fu realizzata in C.da Camerino di Atri, dove ora sorge il lago Mignattaro” racconta De Ascentiis, che è riuscito a recuperare fotografie, documenti, lettere e qualche attrezzo dal vecchio stabilimento. Dal 1950 Aurelio Menozzi ha avviato una nuova attività industriale per l’estrazione della liquirizia e in seguito all’acquisizione della R. De Rosa ha fuso le due attività con l’avvio della Menozzi De Rosa Srl. Nel 2003 lo stabilimento è stato trasferito nella zona industriale Piane Sant’Andrea dove si trova ancora oggi con a capo Angelo, Stefano e Aurelio Menozzi.



Il profumo nel vento
Quando soffia lo scirocco – raccontano gli atriani – si diffonde il profumo della vaniglia della Pan Ducale, altra storica industria dolciaria di Atri, quando soffia la tramontana l’aria si impregna del profumo della liquirizia. Lo stesso odore di liquirizia e menta che inonda la vicina Silvi, dove si staglia la Saila, altra storica azienda abruzzese. Amante dei terreni sabbiosi, la liquirizia cresce spontanea. Gli agricoltori ne sono addirittura terrorizzati tanto è infestante. Ai tempi della mezzadria era considerata una risorsa. Spesso mandavano i bambini nei campi a raccoglierla, facevano i fasci e la portavano al concio. Le radici vengono sminuzzate e gettate in un grandissimo bollitore; inizia così l’estrazione del succo che viene bollito fino a diventare denso. Così denso da sembrare un blocco di catrame, per poi essere tagliato nelle forme desiderate. Difficile ad Atri incontrare qualcuno la cui vita non si sia intrecciata con la storia della Menozzi e della liquirizia, come il signor Piero, oggi in pensione, che produsse liquirizia per 40 anni. Quando entrò nello stabilimento, nel 1965, era il 162º dipendente. E vi rimase anche oltre, per formare le nuove leve, lui che conosce il funzionamento delle macchine alla perfezione. Ricorda ogni dettaglio, ogni aneddoto, ogni trasferta. Come quella in Kazakistan, da dove rientrò con una formula chimica scritta in cirillico e della “polvere” che il finanziere, sospettoso, all’aeroporto non riusciva proprio a concepire che fosse destinata all’industria farmaceutica.


Ne mangio mille al giorno, vuoi sapere perché?
Passeggiando per Corso Elio Adriano si incontra il primo negozio di liquirizia di Atri. Dietro il bancone c’è Cosetta. Sono passati 42 anni da quando sua mamma aprì la bottega. Prima era un negozio di macchine da cucire, lo zio faceva la spola Atri-Milano per comprare i ricambi. Lassù c’era un suo amico che tirava sempre fuori dalla tasca delle Tabù. Prodotte ad Atri naturalmente. Così decise di aprire una rivendita. “Dopo anni che vendo la liquirizia, vista anche la difficoltà di reperire la materia prima, insieme al mio compagno ho deciso di metter su una piantagione. La scorsa estate abbiamo iniziato a raccogliere i semi. Accanto alla liquirizia la lavanda, a breve anche una concimaia di lombrichi” racconta Cosetta, felice se un domani la DOC venisse istituita anche in Abruzzo. “Ne mangio mille al giorno, vuoi sapere perché? Sei tutta naturale, niente è meglio di te. Ta-taa Ta-tabù!”. Saluto Atri con questo motivetto in testa e tra le mani l’originale scatoletta rotonda in metallo delle Tabù, ormai introvabile.

